A che punto è la notte

“Casi freddi” riaperti: l’omicidio della signora delle dune

I am; I was. I want to be. [1]
(Joe Hill)

Questa è una storia estiva, una storia del New England. Se non fosse vera, sembrerebbe uscita da una sceneggiatura di un film d’atmosfera più che di trama, da un racconto breve di Stephen King. È una vicenda giunta a una svolta decisiva, dopo quasi cinquant’anni, il giorno di Halloween del 2022. Ma partiamo dall’inizio.

Un macabro ritrovamento sulla spiaggia

L’estate inoltrata picchia sul mare di Cape Cod, fra fari immortalati in mille fotografie e le case dove hanno vissuto Edward Hopper e Kurt Vonnegut. È il Massachusetts, baby. La zona si chiama Race Point Dunes, ed è proprio dietro una serie di dune che la mattina del 24 luglio 1974 Sandra Lee, nove anni, portava a spasso il cane.

A differenza di quanto accaduto ad altri protagonisti di storie del genere, Sandra Lee non si è mai sottratta al suo ruolo di testimone e ha anche scritto un libro [2] per raccontare come quella normale mattina d’estate, dietro le dune, trovò il cadavere in avanzato stato di decomposizione di una donna nuda e semi-decapitata. E un primo, piccolo mistero compare già qui, perché in realtà non ci sono prove che sia stata davvero Sandra Lee a scoprirlo. 

La data di ritrovamento ufficiale della Signora delle dune è infatti il 26 luglio 1974, ad opera della dodicenne Leslie Metcalfe. La ragazzina stava passeggiando nella riserva naturale con i genitori e inseguiva anch’essa il proprio cane quando, improvvisamente, l’animale si allontanò e si mise ad abbaiare dietro le collinette di sabbia. Solo dopo quest’episodio si fece avanti Sandra Lee, che dichiarò di aver visto il cadavere due giorni prima, ma di aver avuto troppa paura per farne parola con qualcuno. Leslie, invece, avvertì subito i genitori che, a loro volta, allertarono la polizia.

Le indagini

In breve tempo, gli investigatori furono in grado di stabilire che la donna si trovava lì da circa un paio di settimane ed era morta esattamente in quel punto, senza essere spostata, senza aver opposto resistenza. La posizione, su un fianco con il viso verso il basso, suggeriva che potesse essere stata uccisa nel sonno, probabilmente da qualcuno che conosceva. Qualcuno che forse era con lei fin dall’inizio, perché il cadavere occupava solo una parte del telo verde da spiaggia su cui era adagiato, come se la vittima fosse stata sdraiata accanto ad un’altra persona.

Il corpo presentava diverse ferite, tra cui una fatale alla testa, che gli investigatori ritennero sferrata con una vanga, di quelle usate dall’esercito per costruire trincee. Mancavano un braccio, le mani e diversi denti. Quelli rimanenti presentavano lavori odontoiatrici di buon livello, nello stile newyorchese, com’era chiamato ai tempi. Dove avrebbero dovuto trovarsi le mani c’erano dei mucchietti di aghi di pino. I capelli, biondo fragola, erano legati con un elastico dorato, le unghie dei piedi erano dipinte di rosa. L’età fu stimata fra i 20 e i 40 anni. Sotto la testa, a mo’ di cuscino, giacevano un paio di jeans Wrangler e una bandana blu. Furono rilevate due serie di impronte sul corpo e tracce di pneumatici a meno di 50 metri da esso. C’erano anche segni di aggressione sessuale, probabilmente avvenuta dopo il decesso.

Come spesso accade in questi casi, le indagini non portarono da nessuna parte: le ricerche fra le segnalazioni di persone scomparse e veicoli registrati in zona non diedero risultati apprezzabili. Per coniare una frase originale, il caso divenne freddo quasi subito, e a ottobre la Signora delle dune venne seppellita nel cimitero di Provincetown. La sua lapide recitava “Donna non identificata rivenuta a Race Point Dunes – 26 luglio 1974”. 

Una voce dal Canada

Nel corso del tempo, la polizia racimolò qualche indizio o suggerimenti di piste da seguire, ma non moltissimo. L’episodio più interessante fu probabilmente quello del 1987, quando una signora canadese rilasciò una dichiarazione spontanea alla polizia locale in cui sosteneva che nel 1974, quando aveva appena cinque anni, aveva visto suo padre strangolare una donna, mentre si trovavano in vacanza in Massachusetts. La Royal Canadian Mounted Police fornì l’informazione ai colleghi americani, ma nel frattempo la testimone si era trasferita altrove e non furono più in grado di rintracciarla. Tuttavia, le fonti non concordano sui dettagli di questa testimonianza, di cui non sono riuscita a trovare evidenze indiscutibili. Ad ogni modo, non vi fu nessuna svolta significativa per le indagini. 

L’ipotesi Kesinger

Nel corso degli anni qualche tentativo ulteriore venne fatto risalendo direttamente alla sorgente. Il corpo venne infatti riesumato tre volte: una prima nel 1980, che non fornì indicazioni utili, una nel 2000 e una nel 2013, quando le autorità ebbero più fortuna e riuscirono a estrarre alcuni campioni di DNA, che poi confrontarono con quelli della madre di una ragazza chiamata Rory Gene Kesinger

Kesinger era una criminale di modesta portata, bellissima, con occhi di un impressionante azzurro ghiaccio. Figlia di una guardia giurata che – ironia della sorte – si sa che scrisse una lettera a un giornale locale per denunciare i giovani sbandati dediti al taccheggio nella zona. La ragazza trovò la via di fuga ideale nello zeitgeist dei pieni anni ’60 e nella cultura hippie, la prima grande ondata di ribellione giovanile contro l’ordine costituito.

Rory scappò di casa a 15 anni e non ebbe mai più contatti con la famiglia, dandosi a una vita di droga e furti, costellata di episodi degni della Golden Age di Hollywood. Come quando, a gennaio del 1973, un poliziotto la trovò che vagava fra i boschi gelidi con indosso solo della biancheria intima, smarrita e spaventata, dicendo di essere stata violentata

Degli eventi successivi si conosce solo la versione di lui, che – a voler essere generosi – risulta un po’ lacunosa, se non proprio incoerente. L’uomo disse di averla portata a casa propria per darle un primo soccorso e abiti caldi. Rory riuscì a spegnere le luci e, al buio, sottrargli la pistola d’ordinanza, che poi gli puntò addosso dicendo freddamente “Mi dispiace, ora devo ucciderti”. [3] Durante la colluttazione che seguì l’uomo riuscì a disarmarla, e la ragazza fu ricoverata in ospedale, dove, di nuovo, si impadronì dell’arma di un poliziotto messo a sorvegliarla e la puntò addosso a tutti gli astanti gridando “Morite, porci maledetti”. [4] Fu di nuovo atterrata e ammanettata. 

Finì in prigione, alla Plymouth County House of Correction, ma non scontò tutta la pena. La notte del 26 maggio 1973, infatti, evase utilizzando un seghetto che qualcuno era riuscito a farle arrivare in cella. Da allora, di lei non si è più saputo nulla. Qualcuno pensò che potesse essere lei la Signora delle dune, viste anche alcune somiglianze fra i suoi tratti e quelle di alcune ricostruzioni facciali prodotte nel corso degli anni, ma il test del DNA escluse del tutto la corrispondenza.

Sospetto numero uno: la suggestione Bulger

Foto segnaletica di Bulger ad Alcatraz nel 1959, pubblico dominio

Più interessanti sono stati i collegamenti individuati nel tempo con alcuni potenziali autori dell’omicidio, che non erano criminali qualsiasi, ma vere e proprie leggende del lato oscuro della legge. Si è ipotizzato, ad esempio, che ad uccidere la Signora delle dune potesse essere stato James “Whitey” Bulger, un nome e una carriera degni di un personaggio di James Cagney. [5]

Bulger ricevette la sua prima condanna per furto già a 14 anni e continuò a entrare e uscire di prigione per più di un decennio, fino a ritrovarsi coinvolto, nel 1956, nel famigerato progetto MK-Ultra, la serie di esperimenti su cavie umane condotti dalla CIA al fine di sviluppare tecniche di controllo mentale sulle persone. Dopo un breve periodo nel celebre penitenziario di Alcatraz, ottenne la libertà vigilata nel 1965. Da quel momento in poi visse da uomo libero, membro della temibile Winter Hill Gang, fino a diventare un informatore dell’FBI, che lo ripagava chiudendo un occhio sulle sue attività criminali. 

A inizio anni ’90, tuttavia, un’operazione che coinvolse diverse sigle dei servizi americani diede il via allo smantellamento della banda. Bulger rimase latitante per 16 anni, di cui 11 passati al secondo posto nella lista dei dieci fuggitivi più ricercati dall’FBI, subito dopo Osama Bin Laden. Dopo la cattura, nel 2013 venne condannato all’ergastolo per undici omicidi e altri capi d’accusa, ma nel 2018 fu incomprensibilmente trasferito nel carcere di Hazelton, West Virginia, dove morì la notte del suo arrivo: un probabile regolamento di conti tra mafiosi, conclusosi in un pestaggio mortale. 

In realtà non è mai stato trovato alcun collegamento reale fra Bulger e la Signora delle dune, se non qualche vaga testimonianza di qualcuno che aveva visto il gangster in compagnia di una donna che poteva ricordare la vittima. È tuttavia una delle ipotesi preferite da Sandra Lee, che conosceva bene “zio Jimmy”, socio d’affari del suo patrigno. Secondo la testimone, Bulger e la sua banda avrebbero ucciso la donna conservandone per un periodo il corpo in congelatore, per poi liberarsene intorno al 4 luglio tra le dune remote di Cape Code. Una dinamica simile a quel che avevano già fatto con il corpo di Debbie Davis, altra presunta vittima della banda. Tuttavia, prove concrete a sostegno della tesi non sono mai emerse.

Sospetto numero due: la pista Clark

Più promettente era invece la pista che coinvolse Hadden Clark, assassino americano e presunto serial killer. Clark veniva da un contesto familiare estremamente degradato, il fratello era a sua volta un omicida cannibale, la madre lo vestiva da bambina, il padre si era suicidato, e lui torturava e uccideva gli animali dei compagni che lo bullizzavano a scuola.

Fu congedato dalla marina con una diagnosi di schizofrenia paranoide. Finì in prigione a inizio anni ‘90, a seguito di un omicidio che permise alla polizia di ricollegare Clark anche a un altro caso irrisolto, l’assassinio della seienne Michelle Dorr, avvenuto nel 1986. In carcere, Clark confessò decine di ulteriori omicidi, tra cui, nel 2004, proprio quella della Signora delle dune, di cui avrebbe anche conosciuto il nome e l’identità: addirittura, a sostegno delle proprie parole, Clark accluse anche un disegno di come era stato ritrovato il corpo e una mappa dell’area. La polizia non si sentiva di escludere del tutto che potesse essere vero, ma gli indizi forniti da Clark alla fine si rivelarono sbagliati, e la schizofrenia spesso può portare a comportamenti mitomani di questo tipo. Tutto finì anche questa in un nulla di fatto. 

Un indizio “cinematografico”: lo squalo di Spielberg

La storia, completamente fredda, balzò di nuovo agli onori delle cronache nell’estate del 2015, quando i cinema di tutto il mondo celebrarono i quarant’anni de Lo Squalo di Steven Spielberg.

Fra i molti fan che approfittarono dell’occasione per vedere finalmente il cult su grande schermo c’era anche lo scrittore Joe Hill. Nato e cresciuto in New England, fra Maine e Massachusetts, era uno di quei fan che conosce a memoria sequenze e dialoghi, per cui sapeva bene che il film fosse stato girato a Martha’s Vineyard, a circa cinquanta miglia da Cape Code.

Durante quella proiezione commemorativa, forse perché uno schermo da cinema permetteva di notare meglio i dettagli, che Hill si accorse per la prima volta di una comparsa fra la folla che scendeva dal traghetto per andare a celebrare il 4 luglio sull’isola. Era una ragazza che faceva capolino alla sinistra dello schermo. Aveva capelli marroni lisci e lunghi, jeans Wrangler, euna bandana blu fra i capelli. Negli anni ‘70 era praticamente il look d’ordinanza di una buona parte delle ragazze, ma Joe Hill non era uno spettatore qualsiasi. Hill è il figlio di Stephen King ed è uno scrittore a sua volta, specializzato in thriller. Aveva quindi una certa familiarità con il true crime e conosceva perfettamente la storia del delitto più efferato di quell’area pacifica.

Il passaggio della ragazza dura un istante, abbastanza però perché si volti di tre quarti verso lo schermo. Da quella distanza, con quell’angolazione, quella donna somiglia moltissimo alla ricostruzione facciale del 2010. Non esiste un registro delle comparse con cui provare a risalire all’identità della ragazza con la bandana, e alcuni dettagli (per esempio il modello dei jeans) non combaciano con quelli della Signora delle dune. Ma di questa non furono mai ritrovati altri effetti personali, ed è perfettamente plausibile che avesse più paia di pantaloni, magari della marca con cui si trovava meglio o che le era più facile reperire.

È altrettanto plausibile che una ragazza capitata in zona per una qualsiasi ragione decidesse di partecipare alle riprese di un film, è un’esperienza eccitante che attrae chiunque. Hill sapeva che la sua ipotesi era tanto indimostrabile quanto non del tutto ignorabile, ed era fermamente convinto della sua fondatezza.

L’identificazione

Anche Hill, come tanti prima di lui, era stato catturato da un morto senza nome e, come ogni bravo scrittore, era stato per anni in cerca di un degno finale. L’epilogo della vicenda, tuttavia, alla fine è arrivato per tutt’altra strada. Il 31 ottobre del 2022, grazie alle nuove tecniche di genealogia forense di cui abbiamo parlato nell’articolo su Joseph Zarelli.

Quel giorno, il dipartimento di Boston dell’FBI ha infatti rivelato di aver identificato la signora delle Dune: il suo nome era Ruth Marie Terry, nata in Tennessee nel 1936. Da giovane si era trovata in un matrimonio infelice, finito presto, e aveva avuto un figlio, poi dato in adozione perché non poteva mantenerlo. Per molto tempo rimase lontana dalla sua città e dalla sua famiglia, tornando a far loro visita solo agli inizi degli anni ’70, e poi di nuovo nel 1974, insieme al suo secondo marito, Guy Rockwell Muldavin.

Il volantino rilasciato dall’FBI sulla scomparsa di Ruth Marie Terry, da qui

Alla famiglia quell’uomo non piacque: Ruth ne sembrava completamente soggiogata. Così, prevedibilmente, i parenti di lei non trovarono convincente il suo racconto quando, alla fine dell’estate, questi tornò da loro per dire che Ruth era fuggita e lui non sapeva dove fosse.

Muldavin è morto nel 2002, ma è finito diverse volte al centro di controversie e sospetti in merito a persone scomparse o ritrovate morte in circostanze misteriose. L’FBI non ha ancora avanzato alcuna ipotesi su chi possa aver ucciso Ruth dietro le dune di Cape Cod e perché, ma il caso è al momento aperto. Anche Joe Hill non ha chiuso le proprie ricerche, e continua a ritenere possibile che, prima di venire brutalmente assassinata, Ruth si sia regalata un momento di sogno grazie alla magia del cinema.

Per approfondire

Come sempre, Reddit è una miniera di informazioni e teorie: questo è un buon write-up della storia della Signora delle Dune, con un puntamento a un celebre podcast per appassionati dell’argomento

Su Whitey Bulger, molto esaustivo è questo articolo del Post e questo approfondimento sul suo coinvolgimento nell’esperimento MK ultra.

La pagina dell’FBI con le rivelazioni sull’identità di Ruth e le sue foto.

E infine un bell’articolo sull’ossessione di Joe Hill.

Note

  • [1] Sono; ero. Voglio essere. – da La vendetta del diavolo, Sperling & Kupfer 2010
  • [2] The Shanty: Provincetown’s Lady in the Dunes, Publishamerica, 2012.
  • [3] I’m sorry, but I have to kill you.
  • [4] Die, you fucking pigs.
  • [5] E, non a caso, a raccontare la sua storia ci hanno pensato due gangster-movie contemporanei di una certa fama, The Departed di Martin Scorsese, in cui il personaggio ispirato a Bulger è interpretato da Jack Nicholson, e Black Mass – L’ultimo gangster di Scott Cooper, più strettamente autobiografico: Bulger è interpretato da Johnny Depp; suo fratello William, a lungo senatore e presidente del Senato del Massachussets, da Benedict Cumberbatch, l’agente FBI John Connolly da Joel Edgerton.

Immagine in evidenza: le dune di Princetown, foto di m01229, da Wikimedia Commons, CC BY 2.0.