Approfondimenti

Perché gli astronauti si allenano in piscina?

di Andrea Ferrero*

«Se nello spazio esterno ci fosse il vuoto, gli astronauti si eserciterebbero in camere a vuoto. Non in piscina. Lo spazio esterno è una bufala.» Così recita un post pubblicato lo scorso 25 ottobre da un terrapiattista su Instagram. La questione mi sta a cuore perché, dal 1999 a oggi, ho preso parte a esattamente trenta test nei quali un veicolo spaziale o un suo componente è stato attivato in una camera a vuoto per simulare l’ambiente che incontrerà nello spazio. Per svolgere queste prove serve una lunga preparazione e, dopo averle condotte, bisogna interpretare i risultati per capire che conseguenze ci saranno per le prestazioni del veicolo spaziale una volta in orbita. Se il test riguarda un intero satellite, la fase di preparazione può durare più di un anno, il test vero e proprio tre o quattro settimane e l’analisi dei risultati qualche altro mese. Quanto lavoro inutile, visto che lo spazio esterno non esiste!

Da dove nasce l’equivoco? È vero che a volte gli astronauti si allenano in piscina. Lo fanno per simulare non l’assenza di aria, ma l’assenza di peso. Sono due cose ben diverse. Dato che l’acqua ha una densità più o meno uguale a quella del corpo umano, quando ci muoviamo al suo interno riceviamo una spinta di Archimede pari al nostro peso, che viene così annullato: è un buon modo per preparare gli astronauti alle attività extraveicolari simulando una delle condizioni che incontreranno in orbita intorno alla Terra.

I test in piscina non sono gli unici collaudi che riproducono una delle caratteristiche dell’ambiente spaziale: proprio le prove in camera a vuoto sono tra le più importanti di tutte. Non sono, infatti, riservate solo ai satelliti, ma sono necessarie anche per gli astronauti: fanno parte del loro training. Esercitarsi con la tuta spaziale in camera a vuoto è utile per capire come cambiano i movimenti del corpo umano in assenza di atmosfera. Per le apparecchiature, i test in vuoto sono indispensabili perché in tali condizioni molti processi fisici si svolgono diversamente, primo fra tutti il trasferimento di calore.

Ci sono poi molti altri test ambientali che agli astronauti vengono risparmiati, ma che simulano una per una le altre gravose condizioni ambientali che un satellite incontrerà nella sua vita: ad esempio, le vibrazioni indotte dal lancio o le intense radiazioni a cui sarà esposto una volta fuori dalla protezione dell’atmosfera terrestre. Gli scudi termici vengono collaudati esponendoli a un getto di gas ionizzato ad altissima temperatura e a velocità supersonica per simulare l’immane riscaldamento che subiranno durante il rientro in atmosfera.

Ognuno di questi test ha le proprie difficoltà e le proprie sfide da superare: limitandomi a quelli a cui ho preso parte, cioè i test in vuoto, posso dire che, nonostante ne abbia fatti molti, ogni volta c’è qualche sorpresa e qualcosa di nuovo da imparare su come funzionano i satelliti nel vuoto. Incontrare un problema nuovo è stressante, ma riuscire a risolverlo è gratificante e interessante. Molto più che credere che lo spazio esterno non esista e la Terra sia piatta.

Nell’immagine in evidenza: il telescopio spaziale James Webb in procinto di essere sottoposto a test di termovuoto nella camera di test A del Johnson Space Center. Fonte: NASA

*Andrea Ferrero, coordinatore nazionale del CICAP, lavora come ingegnere presso un’importante azienda aerospaziale italiana. Si è occupato del progetto di moduli abitati della Stazione Spaziale Internazionale e di satelliti scientifici e per osservazione terrestre.

Andrea Ferrero

Ingegnere, lavora presso un’importante azienda aerospaziale italiana. Ha partecipato al progetto di moduli abitati della Stazione Spaziale Internazionale e di satelliti per osservazione terrestre. È coordinatore nazionale del CICAP.