Interviste

Il progetto SETI e la ricerca della vita nel cosmo: a che punto siamo? Intervista a Stefano Covino

La ricerca della vita al di fuori della Terra è un tema che ha appassionato da sempre l’umanità. Ma a che punto è la ricerca scientifica in questo campo? Ne abbiano parlato con Stefano Covino, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), che sarà tra i protagonisti del Convegno Nazionale del CICAP “Siamo soli nell’universo?” in programma per sabato 6 maggio a Como

Covino, quali sono le prerogative ed i compiti dell’INAF?

L’INAF è il principale ente di ricerca italiano che si occupa di astronomia. Raggruppa in un’unica entità istituti di ricerca come gli osservatori astronomici e vari laboratori una volta parte del CNR. Si occupa di astrofisica teorica, di osservazioni da Terra e dallo spazio e anche di progettazione, costruzione e gestione di strumenti per l’osservazione celeste.

La ricerca della vita al di fuori della Terra è un tema che ha appassionato da sempre l’umanità. Quali sono le linee di ricerca più promettenti?

Essenzialmente, da quando si è dedotto che il nostro Sole è solo una stella come tante altre, la domanda sull’esistenza di altri pianeti e, quindi, anche magari di altre forme di vita si è sempre presentata. E questo, quantomeno nel bacino culturale occidentale, già in epoca classica. Naturalmente il tema divenne vero e proprio argomento scientifico solo dopo la grande rivoluzione culturale operata da Galileo Galilei con l’osservazione del sistema di Giove. La crescente coscienza della relativa normalità del Sole rispetto alle altre stelle ha poi portato ad applicare un concetto analogo al principio copernicano anche in questo contesto, conducendo quindi alla accettazione come ipotesi ragionevole e plausibile, dell’esistenza di una grande pluralità di mondi. Ma è solo dalla metà degli anni ‘90 che queste congetture, sia pure molto ben poste, hanno ricevuto spettacolare conferma con l’identificazione solida del primo di tanti pianeti extra-solari. A tutti gli effetti possiamo affermare che molto plausibilmente in tutta la storia dell’umanità gli uomini hanno sempre sognato di altri mondi. Ma le nostre generazioni sono le prime ad avere certezza scientifica della loro esistenza! Naturalmente, dalla scoperta di altri sistemi planetari ad identificare forme di vita aliena il passo è lunghissimo, e non ancora compiuto. Ma, al meglio delle nostre conoscenze attuali, non abbiamo motivo di dubitare che l’universo possa brulicare di forme di vita ogni dove le condizioni siano tali da permetterlo.

Nel convegno del 6 maggio lei parlerà del progetto SETI, Come nasce? Quali sono i suoi obiettivi?

Il progetto SETI, “Search for Extraterrestrial Intelligence”, è in parte un sogno visionario nato dall’entusiasmo degli scienziati, ma è anche a tutti gli effetti un filone di ricerca sottostante a tutti i normali requisiti di una ricerca scientifica. Si tratta, in sostanza, della possibilità di ricevere, ma anche trasmettere, segnali elettromagnetici, diciamo per semplicità onde radio, emessi di proposito o meno, da altre civiltà. Spesso non si riflette sul fatto che il nostro pianeta emette segnali radio da quando abbiamo trasmissioni regolari, cioè letteralmente dall’invenzione della radio, e che per quanto deboli si propagano nello spazio alla velocità della luce. Un’ipotetica civiltà tecnologicamente avanzata nelle vicinanze, poche decine di anni luce, dal Sole potrebbe essere in grado di riceverle e plausibilmente intuirne l’origine artificiale. Il progetto SETI si occupa quindi della possibilità di ricevere, ma anche inviare, segnali dallo spazio e nello spazio costruiti appositamente per comunicare con civiltà aliene. Fino ad ora nulla è stato trovato, ma siamo davvero solo agli inizi.

Più che un progetto monolitico, il SETI sembra essere un insieme di progetti diversi.

Certamente. SETI è una specie di inviluppo per tutta una serie di attività fra loro naturalmente correlate ma anche in parte indipendenti. Abbiamo allora una serie di progetti, ad esempio SETI@home, il progetto ATA, BETA, ecc. Alcuni sono in fase operativa, altri sono ancora solo delle proposte in fasi più o meno avanzate di studi di fattibilità. Ci sono anche progetti per lavorare nell’ottico, non solo quindi alle onde radio. Non si può certo dire che si tratti di una ricerca prioritaria per la comunità scientifica, ma è comunque un’attività importante con proposte e nuove idee che vengono discusse ed elaborate in continuazione.

Quali sono i rapporti tra il SETI e l’Italia? Il nostro Paese contribuisce alla ricerca della vita extraterrestre?

Da una parte abbiamo la partecipazione della comunità scientifica nazionale, ovviamente con alcuni ricercatori più fortemente impegnati ed altri meno, ma anche alcuni strumenti italiani, come ad esempio il radiotelescopio di Medicina, vicino a Bologna ed altri strumenti. Si tratta di una partecipazione di rispettabile portata.

Anche se non abbiamo ancora trovato i nostri “fratelli spaziali”, è stato fatto qualche passo in avanti nel capire meglio dove e cosa cercare?

Questa è una domanda complessa. Il miglioramento delle nostre conoscenze biologiche di organismi “non usuali”, come ad esempio i batteri estremofili, ci ha mostrato come i meccanismi di adattamento evolutivo possono avere un’efficacia insospettata solo pochi anni fa. Questo ci ha aiutato a definire meglio il concetto, talvolta un po’ sfuggente, di ambiente favorevole allo sviluppo della vita. Tuttavia rimane vero che la vita che conosciamo sul nostro pianeta utilizza gli elementi chimici più comuni nell’universo e, sebbene non escludiamo certo, o addirittura consideriamo probabile grandi sorprese, appare plausibile che luoghi ragionevolmente simili alla nostra Terra siano i più promettenti per la ricerca dei “fratelli spaziali”. Questo punto è meno banale di quello che possa sembrare, se non altro per l’enorme varietà di ambienti che le moderne ricerche nel settore degli eso-pianeti ci hanno rivelato. 

Chiudiamo con due domande personali: come e quando ha deciso di dedicare la sua vita all’astronomia? Cosa consiglierebbe ad un giovane interessato a questa scienza?

Io faccio parte della generazione cresciuta con il mito delle missioni Apollo. Ero molto piccolo all’epoca, ma l’eco di quella straordinaria impresa tecnologica mi ha accompagnato per molto tempo. Di fatto faccio parte di quella categoria di scienziati che fin dall’età delle primarie diceva sempre che questa sarebbe stata la mia via nella vita. O, quantomeno, questo è quello che i miei genitori e parenti mi hanno sempre raccontato. Tuttavia, esistono scienziati che invece hanno maturato la loro “vocazione” più da adulti. Non c’è un percorso preferenziale in questo. Sono invece cambiate moltissimo le condizioni al contorno. In una maniera che solo ora il grande pubblico comincia a percepire. Ovvero l’effetto del crollo demografico fa sì che ci affacciamo ad un’epoca dove soffriremo di una peculiare e, da ogni punto di vista, grave mancanza di competenze. Anche solo per una banale asimmetria numerica fra chi si affaccia al mondo del lavoro e chi ne esce. Da un altro punto di vista, viviamo e non da oggi in un mondo del tutto globalizzato, per lo meno quando ci si riferisce ai paesi ad economia avanzata. L’insieme di questi fattori porta, per quanto alle generazioni più anziane possa sembrare paradossale, a delle prospettive fortemente positive per tutti coloro che sono in grado, per passione e ovviamente anche possibilità socio-economiche, di ottenere un’istruzione di alto livello. In pratica, se un giovane ha le giuste attitudini culturali, incluso il vedere il mondo come un’unica entità, le prospettive per una carriera scientifica sono assolutamente degne di nota e, per certi versi, migliori che nel recente passato.

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