George H. Williamson: la vita di un occultista fra dischi volanti e continenti scomparsi
di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Questa è la storia di un uomo incredibile, vissuto tra Atlantidi e altri regni sconosciuti, dischi volanti, contatti con extraterrestri, riti iniziatici di culture native nordamericane, ordinazioni come prete di chiese orientali. Tutto senza mai fermarsi un attimo, senza mai concedere nulla a una lettura razionale della realtà. Eppure, al tempo stesso, ha influenzato fortemente con le sue idee uomini e donne di mezzo mondo, Italia compresa.
Si chiamava George Hunt Williamson, ed era nato a Chicago il 9 dicembre del 1926.
Gli inizi tra i nativi americani
Williamson approdò rapidamente a una visione del mondo di tipo occultistico che lo avrebbe accompagnato sino alla fine dei suoi giorni: già da adolescente, infatti, visse esperienze “paranormali” di vario genere, e, soprattutto, decise di dedicarsi all’occultismo a causa di una OOBE – un’esperienza fuori dal corpo – capitatagli durante il periodo in cui frequentava un college. Avrebbe potuto facilmente diventare un seguace di grandi correnti come la Teosofia, oppure di una delle innumerevoli associazioni spiritualistiche presenti nel suo paese, e invece si diresse in un’altra direzione. A sua disposizione, vicina a lui anche fisicamente, c’era l’intera tradizione esoterica dei nativi nordamericani – una tradizione che, quando lui era giovanissimo – antropologi, folkloristi e occultisti avevano già iniziato a esaminare in maniera dettagliata.
Williamson s’innamorò della mitologia dei Chippewa e dei Sioux. Ne fu travolto: lasciò Chicago e visse a lungo nel Minnesota e nel Dakota del Nord insieme a membri di quelle due culture: gli incontri e la familiarità con esseri soprannaturali propri del folklore di quei popoli lo conquistarono.
Ma era soltanto il punto di partenza. I Chippewa, racconterà in seguito, gli avevano affidato un testo dal contenuto spirituale verso il quale aveva un compito fondamentale: quello del mediatore. I leaders del misticismo Chippewa gli avevano spiegato che doveva passarlo agli Hopi del sud-ovest degli Stati Uniti, popolo portatore di una delle maggiori culture native dell’America del Nord. Per questo, con la giovanissima moglie Betty, si trasferì a Tucson, in Arizona. Gli Hopi della regione ne accolsero il messaggio e, stando a quanto racconta Williamson, lo iniziarono a conoscenze esoteriche riservate a pochi.
Nel 1951, però, le sue prospettive subirono un mutamento radicale: si convinse che le entità misteriose e sagge di cui parlavano gli Hopi in realtà erano un aspetto del nuovo mistero venuto di moda da alcuni anni, cioè quello dei dischi volanti e dei loro equipaggi.
Prese a fregiarsi del titolo di antropologo e a definirsi archeologo, malgrado fosse molto giovane. In realtà, come altri ufologi avevano dimostrato già allora, le sue conoscenze delle lingue antiche erano dilettantesche, e le lauree di cui poi racconterà non erano documentabili da nessuna parte. Anche questo fu un aspetto del personaggio.
Il lato più “light”: UFO e contatti con gli alieni
Lo diremo più volte: i vari aspetti della vita e delle idee di George Williamson non possono essere separati. Vale per chiunque, ma, forse, ancora di più con protagonisti dell’antiscienza come lui.
Williamson aveva cominciato a interessarsi di dischi volanti nel 1951, quattro anni dopo la nascita del loro mito. Come visto, si era rapidamente convinto che quanto raccontato dai nativi fosse una manifestazione degli extraterrestri. Dalla primavera del 1952 viveva a Tucson, ma poco dopo si spostò nella più piccola Prescott, dove ben presto cominciò insieme alla moglie e ad altri occultisti una nuova esperienza: una serie di tentativi di contatto con i presunti equipaggi dei dischi volanti.
Degli esiti di questi scambi, che per Williamson avevano cominciato a funzionare nell’agosto del 1952, diremo meglio più avanti. Intanto, raccontiamo una conseguenza importante di questi “contatti”. Carico del peso di questi messaggi che sosteneva di ricevere sia per via mentale sia via radio, insieme alla moglie e ad altri membri del suo circolo a inizio autunno 1952 raggiunse l’occultista e contattista UFO George Adamski (1891-1965) nella sua villetta chiamata Palomar Gardens, situata alla base del monte Palomar, nell’estremo sud-ovest della California.
A quanto pare, da qualche tempo Williamson era terrorizzato dal tenore dei messaggi che riceveva: pessimistici, sembravano presagire una catastrofe in cui “cattivi” di altri pianeti avrebbero presto concordato con terrestri malvagi la distruzione del mondo. Per contrastarli, gli uomini di buona volontà dovevano unirsi con “gli uomini dell’Universo” dai sentimenti nobili, per ingaggiare il buon combattimento per la salvezza del mondo.
Fu anche per queste paure che l’opprimevano che Williamson cercò una via d’uscita in una nuova fase della sua attività – breve ma intensa – della sua vita mutevole. Così, lavorando accanto a uno dei fondatori del mito Ufo come fu George Adamski, si acquistò fama eterna presso legioni di appassionati.
Williamson e Adamski
Quando Williamson lo raggiunse, ormai da più di due anni Adamski descriveva ai suoi amici contatti telepatici con gli extraterrestri e ne fotografava insieme ad altri le grandi astronavi e i piccoli mezzi di ricognizione a forma di disco.
Il clima era di eccitazione enorme, ma in tutto ciò mancava ancora un tassello fondamentale: l’incontro diretto con gli extraterrestri. Nell’estate del 1952, mentre gli Stati Uniti erano travolti da un’ondata di avvistamenti senza precedenti, l’attesa del gruppo andò crescendo, finché, il 18 novembre, dopo una serie di “messaggi” mentali ricevuti in presenza di Williamson e dei suoi, Adamski annunciò che l’ora era giunta.
Il 20 novembre, con lo stesso Williamson e altri, si recò in un punto desertico prestabilito, lasciando però i compagni a una certa distanza. Rientrato, riferì di aver incontrato un essere sceso da un disco sormontato da una cupola (un “ricognitore”), che poi si rivelerà chiamarsi Orthon. Poche ore dopo, Adamski mostrò a Williamson e agli altri le foto di quel velivolo, che arrivava da Venere. Un modello di disco volante, quello del ricognitore venusiano, divenuto celeberrimo. Oggi disponiamo di una ricostruzione dettagliata della genesi di quelle foto e dell’oggetto che fu usato per realizzarle, una banale lampada (leggete qui, alle pagine 40-42).
Ciò detto, tutto indica che in quei mesi del 1952 Williamson era convinto che le cose che Adamski raccontava fossero realtà. Fra i due, anzi, si era creato un rapporto che presagiva un’azione comune e un’unione di intenti e di idee. Invece, nel giro di pochi mesi tutto andò in rovina. A metà gennaio 1953 Williamson e il suo gruppetto lasciarono in modo rocambolesco l’abitazione in cui risiedeva il gruppo di seguaci di Adamski e se ne tornò a Prescott tra accuse reciproche di furti e di sottrazioni di denaro.
Non è chiaro cosa fosse successo. Il miglior studioso di Adamski, Colin Bennett, nella sua biografia del contattista (Looking for Orthon, Paraview Press, New York, 2001), discute più volte l’orientamento sessuale di Adamski, tenuto sottotraccia dal matrimonio, ma che alla fine avrebbe urtato Williamson, contribuendo all’allontanamento e al decollo del suo percorso ufologico autonomo. Altri storiografi dell’ufologia danno altre spiegazioni. Williamson era arrivato da Adamski proponendo il “suo” contattismo, quello che aveva per mezzi la radio e la telepatia. Quando disse ad Adamski che voleva realizzare un volume sui suoi colloqui con gli alieni, quello cercò di dissuaderlo, sostenendo che lui stesso non raccontava tutte le comunicazioni psichiche che riceveva: ci avrebbe pensato lui a gestire tutto al meglio. Insomma, la causa della frattura sarebbe stato un potenziale problema di leadership.
Comunque sia andata, il risultato della separazione fu l’uscita nella primavera del 1954 del libretto di Williamson The Saucers Speak!, pieno di follie e pubblicato a Los Angeles dalla piccola casa di Franklin Thomas, un occultista che probabilmente influenzò sia Williamson sia altri contattisti dei primi anni ‘50.
I dischi parlano… dalla radio
Mentre frequentava il circolo di Adamski, Williamson si era costruito un suo gruppo personale di seguaci. I metodi utilizzati all’inizio da lui e da questi suoi amici per questi colloqui, quelli descritti in The Saucers Speak!, erano quelli tradizionali usati dagli spiritualisti già dalla seconda metà dell’Ottocento per entrare in rapporto con gli altri pianeti: la trance medianica, la telepatia. In questo senso, un caso esemplare, precedente di vent’anni nascita del mito UFO ma che lo conteneva già tutto, è stato presentato in un suo lavoro dallo storico dell’ufologia Maurizio Verga: è quello di Hugh Mansfield Robinson, che negli anni ‘20 riceveva contatti telepatici dal pianeta Marte.
Medianità a parte, Williamson ebbe un punto di svolta quando incappò in un articolo pubblicato per scherzo nel numero di settembre 1950 da QST, la principale rivista per radioamatori degli Stati Uniti. Uno dei radiotecnici più quotati del tempo – ma anche un noto burlone – descriveva in toni serissimi i suoi scambi radiotelegrafici con dischi volanti provenienti da vari pianeti. Williamson se ne entusiasmò ingenuamente e diede il via a una cosa che poi tenteranno ufologi di ogni paese: unì e mescolò telepatia e radiocomunicazioni, in modo tale da far diventare la radio una specie di tavola ouija del Ventesimo secolo.
In questo modo, Williamson raccontò di esser riuscito ad ascoltare i messaggi radiotelegrafici o in voce inviati al suo gruppo da marziani, saturniani, plutoniani, uraniani e gioviani, tutti con nomi come Ponnar, Zo, Touka, Regga, Nah-9, Adu, (che però veniva da Hatonn), Wan-4 (che arrivava dal sistema solare Safanian), e così via. Tutti questi pianeti fortunati erano uniti da una lingua universale, il Solex-Mal, nella quale la Terra si chiamava Saras, e Marte si chiamava Masar. Il vero nome dei dischi volanti era “campane di cristallo” (crystal bells). Tutti nomi, riferimenti e termini che negli ambienti ufologici incontreranno grande fortuna.
Il libro di Williamson, oscuro nella forma e marginale nella sua origine, in realtà fu importante soprattutto per la nascita dell’ufologia del nostro paese. Per quanto improbabile possa sembrare, infatti, nell’autunno del 1956 fu tradotto in italiano con il titolo I dischi parlano dall’Editoriale Domus di Milano – una casa che con occulto e dischi volanti non c’entrava niente. Il fatto è che la moglie del proprietario della Domus, Emma “Mimi” Robutti, cioè la traduttrice del libro, era anche una seguace attiva e importante della Teosofia. Ci sono pochi dubbi che sia stata lei la causa diretta della scoperta di Williamson da parte degli italiani.
I dischi parlano… all’Italia
Per la storia della nostra piccola e provinciale ufologia, il volumetto di Williamson fu un piccolo cataclisma: l’uscita avveniva in un momento fortunato, si era all’inizio del boom economico e della crescita straordinaria dei consumi moderni, motori della trasformazione culturale degli anni ‘60 (di cui la comparsa della prima generazione di ufologi italiani fu, a suo modo, un curioso effetto).
Se ne videro di tutti i colori. I primi segni comparvero nella primavera del 1957 su La Torre davidica, il bollettino della minuscola Chiesa giuris-davidica, l’erede di un movimento messianico socialisteggiante fondato negli anni ‘70 del XIX secolo dal visionario David Lazzaretti. Fu su quelle pagine che uno dei primi ufologi italiani, il giornalista Franco Polimeni, raccontò a una piccola cerchia di appassionati dell’occulto i contatti radio di Williamson e i suoi rapporti con maestri teosofici di vario tipo, quelli che avevano per centro il “Monastero dei sette raggi” che nel frattempo Williamson aveva impiantato a Moyobamba, cittadina del nord del Perù dove si era trasferito: ne parleremo meglio più avanti.
Da quel momento in poi, comunque, tra gli ufologi italiani fu una corsa a procurarsi I dischi parlano.
Gli effetti più clamorosi si ebbero a Catania. Un gruppo di spiritisti, alcuni dei quali membri di una loggia massonica, in quell’estate si misero anche loro a caccia di contatti radio e telepatici sulle pendici dell’Etna. Il più intraprendente, Franco Brancatelli (1934-2022), anche lui giornalista, riuscì a fare di più: scrisse a Williamson (nei suoi diari, conservati negli archivi del Centro Italiano Studi Ufologici, raccontava di averne avuto il recapito per chiaroveggenza) e organizzò, insieme a Polimeni e ad altri, una tournée italiana del contattista.
La cosa diventò parte di un giro più ampio che Williamson compì in diversi paesi sudamericani ed europei nell’estate-autunno del 1958. A Catania fece esperimenti di contatto radio con gli alieni insieme ai suoi fan locali, in primo con luogo Alfredo Scalia (1914-2005), che per diversi anni fu convinto anch’egli di parlare via radio con i piloti dei dischi; a Roma, Franco Polimeni gli organizzò una conferenza di grande successo, all’Argentario ebbe lunghi colloqui con uno dei personaggi italiani con cui fu in più stretti rapporti, l’occultista Costantino Cattoi (1894-1975), che sosteneva di aver ritrovato per via paranormale, grazie alla medianità della moglie, le tracce dell’esistenza di un’antica città abitata da giganti al largo della costa tirrenica. L’immaginazione di Williamson e Cattoi circa la presenza di esseri superiori nell’Italia antica e sulle Ande peruviane si muoveva su linee comuni.
Anche altri nell’Italia di quegli anni furono tributari delle idee tumultuose di Williamson. Fra questi, va ricordato almeno il musicista Marcello Giombini (1928-2003). Per breve tempo, intorno al 1958, Giombini fu affascinato dal pensiero dei contatti radio e telepatici con gli extraterrestri tanto da rivendicarne uno, quello con Cless, abitante di Venere.
Ci sono anche concreti sospetti che uno dei più ambigui e discutibili sodalizi contattistici dell’ufologia italiana, il circolo che è passato alla storia come “Amicizia”, sia nato intorno al 1957 anche dalla lettura de I dischi parlano. Il mix di tecnica e di spiritismo che ostentavano i capi del gruppo è direttamente derivato dalle pagine del libello di Williamson, messaggi radio compresi. Persino il nome assegnato agli extraterrestri “buoni” – W56 – è una sigla che stava a indicare l’espressione “Washington 1956”: secondo gli alieni de I dischi parlano, il loro piano sarebbe stato proprio quello di sbarcare proprio nel corso di quell’anno nella capitale americana.
Come visto, la pubblicazione nel 1954 de I dischi parlano fu anche una conseguenza della rottura con Adamski. Ma nemmeno quell’esito letterario aveva acquietato Williamson. Un anno dopo la sua uscita dal circolo adamskiano, legatosi a uno dei contattisti più eccentrici (Dick Miller, in contatto con Mon-Ka, di Marte), fondò il “Telonic Research Center”, che voleva specializzarsi nei contatti radio e attraverso fasci di luce con gli extraterrestri. Miller poteva far ascoltare persino la voce di Mon-Ka su nastro magnetico: le registrazioni, spiegava con un certo sussiego, apparivano misteriosamente, persino su nastri ancora sigillati nelle confezioni.
Se voleste anche voi ascoltare Mon-Ka, sappiate che la sua voce era questa. Tanto per cambiare, nel giro di un anno Williamson prese a litigare in maniera feroce anche con Miller. Fu così che, nell’autunno del 1956, prese una delle decisioni più importanti della sua vita: trasferirsi in Perù e volgersi in maniera più decisa all’esoterismo e alle fantasie sugli Antichi Astronauti. Nel paese sudamericano diede vita con altri occultisti alla “Fratellanza dei Sette Raggi”, le cui idee arrivarono anch’esse agli appassionati italiani di “dischi” di misteri vari. Del pensiero di Williamson come occultista e come sostenitore dei miti degli Antichi astronauti e dei continenti misteriosi vi diremo meglio ora.
Il lato più complesso: occultismo e Antichi astronauti
Il mito degli Antichi Astronauti precede di molto la nascita di quello degli UFO, anche se le due cose si fusero presto in maniera inestricabile. Nel 1953, proprio il primo libro di George Adamski, Flying Saucers Have Landed – un vero bestseller – fu in larga parte riempito dalle fantasie su visite aliene nell’antichità elaborate da un nobile britannico, l’occultista, scrittore e regista Desmond Leslie (1921-2001). In un certo senso, nella seconda metà degli anni ‘50 Williamson costituì un contraltare americano dell’europeo Leslie. L’americano era meno ben piazzato socialmente, ma come il suo omologo britannico fu anche lui importantissimo per la nascita del mito della paleoastronautica.
In realtà Williamson aveva cominciato fin da subito a concepire le sue teorie occultistico-spaziali. Il suo primo libro sull’argomento, Others Tongues, Other Flesh, uscito nel 1957, era stato scritto già quattro anni prima. Altri tre volumi dello stesso tipo usciranno rapidamente dopo di quello: Secret Places of the Lion (1958), Road in the Sky (1959), seguiti, nel 1961, da un altro volume interamente dedicato alle attività occultistiche di Williamson in Perù, Secret of the Andes, firmato con lo pseudonimo “Brother Philip” per un motivo che indagheremo meglio in chiusura.
Si tratta di una produzione in cui Williamson posava in più punti da antropologo e da archeologo, ma soltanto per disporre di una chiave per presentarsi a una parte del pubblico. In sostanza, ciò che gli interessava proporre era una miscela fra teosofia e storia occulta, in cui il continente americano prendeva il posto dell’Asia buddhista e induista e si fondeva con il catastrofismo cosmico derivato da Mondi in collisione (1950) – opera delirante di Immanuel Velikovsky, di gran moda mentre Williamson elaborava le sue idee. Il libro di Velikovsky ebbe un’influenza assai forte su molti dei futuri sostenitori degli Antichi astronauti, e di questa schiera Williamson costituisce uno dei primi esempi.
In tutto ciò, c’è un aspetto fondamentale da tener presente. Williamson s’inserisce nella scia di altre grandi tradizioni neo-teosofiche americane sorte nei primi decenni del Novecento. Diverse di queste tradizioni saranno alla base della nascita del mito UFO contemporaneo. Basti pensare a quella che vede nel monte Shasta, una grande altura del nord della California, la sede di iniziati e di civiltà nascoste dotate di navi volanti, eredi del continente scomparso di Lemuria, oppure a quella del movimento I AM di Guy Ballard, uno dei padri del contattismo UFO, con le sue storie su incontri con i venusiani sui monti Grand Teton, nel Wyoming. O ancora, le fantasie su resti di città sotterranee nell’ovest degli Usa, come quella che parlava di esseri rettiliani sotto Los Angeles legandoli alla ricca cultura dei nativi Hopi. Williamson s’inoltrò nel cosmo ufologico proprio trasformando la cultura Hopi nelle storie di un antico legame fra nativi e piloti dei dischi volanti.
Esoterismo all’americana
Ecco il punto. Una delle linee principali di Williamson consiste proprio nel suo tentativo di effettuare uno spostamento geografico. Per l’esoterismo europeo ottocentesco i centri occulti della scienza e della saggezza erano sepolti nel cuore dell’Asia. Personaggi come Williamson (e molti altri) fecero migrare i centri esoterici dell’India e del Tibet al continente americano, sia in quello del Nord, grazie alla rilettura del folklore dei nativi degli Stati Uniti, sia, soprattutto, in quello del Sud.
Da qui, la nascita di una nuova parte del mito UFO, quella che vede nelle foreste della parte più interna del subcontinente, sotto le montagne andine, oppure sotto i suoi grandi laghi, basi extraterrestri, o, altrove, lasciti della presenza remota di visitatori di altri pianeti. Nel 1959, in Road in the Sky, Williamson fu uno dei primi a suggerire che le famose Linee di Nazca peruviane potessero essere state tracciate per indicare a delle astronavi dove atterrare.
Proprio per questo, nelle circolari che inviava ovunque dal Perù (anche in Italia) scriveva che i membri della Fratellanza dei Sette Raggi (quella che aveva fondato nell’autunno del 1956) erano i custodi della sapienza del continente scomparso di Lemuria, e che il loro compito era quello di cercare le tracce dei giganti che abitavano la mitica città di Paititi, in un tempo remoto in contatto con gli spaziali.
Ma non tutto era volto a esplorare il passato: i membri della Fratellanza erano in rapporto con gli altri pianeti, ed erano guidati nelle loro azioni dalla Gerarchia dei Ventiquattro Anziani del Sistema Solare. Costoro avevano rivolto una richiesta ben precisa ai membri della Fratellanza: riscoprire i segreti tecnologici degli antichi popoli peruviani, in modo da esser di nuovo degni di accogliere i fratelli degli altri mondi, e poi trasformare l’intero pianeta.
Insomma, per Williamson i dischi volanti erano il punto d’incontro tra un passato mitico e meraviglioso e un futuro che avrebbe visto la restaurazione di un ordine e di una scienza antichissime. Proprio grazie alla guida delle entità extraplanetarie, ai membri della Fratellanza sarebbe stato possibile recuperare alcuni mezzi tecnici usati dai giganti della città di Paititi, che erano stati capaci di usare senza limiti l’energia cosmica attraverso riflettori discoidali oppure grazie ad apparati funzionanti come uno specchio. Forse addirittura i discendenti di quel popolo di giganti esistevano ancora, nel fitto dell’Amazzonia.
Insomma: per spiegare in modo adeguato ciò che aveva in mente Williamson è necessario considerare un tutt’uno sia le sue attività come contattista UFO, sia quelle, assai articolate, di occultista e di sperimentatore di vari generi di stati alterati di coscienza (OOBE, esperienze sciamaniche, telepatia, avvistamenti UFO, rapporti mentali con antichi abitatori di civiltà scomparse del Sudamerica, contatti radio e telepatici con extraterrestri di ogni pianeta…). Per molti versi, l’ufologia di Williamson dipendeva dal fatto che era un occultista. Non viceversa.
Il lato più buio: fascismo e antisemitismo
Nell’estate del 1950, il massimo leader fascista americano degli anni fra le due guerre mondiali, l’occultista William Dudley Pelley (1890-1965), pubblicò Star Guests, uno dei primissimi libri che si occupano di dischi volanti. Pelley raccontava di aver ricevuto per via telepatica comunicazioni dagli abitanti della stella Sirio: la vita intelligente sulla Terra era stata creata da esseri che già in un passato remoto avevano visitato il nostro pianeta. Ma c’era da stare attenti: il lignaggio “intelligente” degli umani, dovuto ai “siriani”, era rintracciabile oggi soltanto nella “razza bianca”. Finita la guerra e crollati i fascismi, Pelley aveva ricoperto le sue idee politiche di panni interamente fantascientifico-occultistici, in modo da consentirsi di dire l’essenziale senza rendersi del tutto impresentabile.
Star Guests colpì il giovane Williamson, che, sia pure per un breve periodo, tenne una rubrica sui “dischi” per Valor, la rivista di Pelley nella quale le idee di estrema destra si affiancavano al fondamentalismo cristiano e ai contatti telepatici del leader con entità di vario genere.
Stando ad alcune fonti, per qualche tempo Williamson sarebbe stato stipendiato dalla piccola casa editrice di Pelley, finché – non si sa perché – nel 1954 interruppe i rapporti con il suo movimento, e si buttò definitivamente sui contatti UFO e sull’occultismo. Fu in quegli ambiti che, in chiave più o meno diretta, riversò le sue idee politiche di estrema destra. Del resto, era stato lo stesso Pelley a far incontrare Williamson e il contattista George Adamski, nel 1952: il leader fascista e Adamski erano in rapporti epistolari da prima della guerra.
Quel che più conta, il rapporto genetico tra il pensiero di Williamson e le idee sulla nascita dell’umanità espresse da Pelley in Star Guests è stato dimostrato da un lavoro di dottorato prodotto nel 2003 dallo storico Scott M. Beekman presso la Ohio University – ma in realtà delle idee politiche retrostanti alle fantasie di Williamson c’è traccia un po’ ovunque.
Così, sul numero di settembre-ottobre del 1959 della rivista inglese che andava per la maggiore tra gli ufologi, la Flying Saucer Review (allora diretta da un altro occultista di estrema destra, Waveney Girvan), Williamson spiegava che la rivelazione pubblica della presenza degli extraterrestri avrebbe fatto perdere il controllo del mondo a “certi interessi potentissimi”. Per questo, c’era un complotto per nascondere la Verità – un complotto che andava avanti da sempre e che aveva coinvolto ogni era e ogni civiltà.
Quell’articolo non era un caso isolato: Williamson aveva reso chiaro ciò che pensava già dall’anno prima, il 1958, dato che per denunciare il governo segreto dei “banchieri internazionali” e la sua azione anti-UFO Williamson aveva usato un intero volumetto, UFOs Confidential! (Essene Press, Corpus Christi, Texas), scritto insieme a un suo sodale, John McCoy, un militante dell’estrema destra americana.
La stessa Bibbia, si può leggere in quel pamphlet, era stata alterata da questi criminali, i cui capi attuali erano interamente costituiti da ebrei, primo fra tutti Bernard Baruch, il grande imprenditore e organizzatore dello sforzo bellico americano nella Prima guerra mondiale. Re, governanti, militari erano marionette di questi padroni del mondo.
Se la realtà degli UFO fosse stata rivelata ai popoli, costoro avrebbero perso oro, petrolio, e tutto quello che indebitava ogni americano fino al collo. La “congiura del silenzio” serviva ai “banchieri internazionali” – nient’altro che un sinonimo di ebrei, per l’estrema destra di mezzo mondo – per continuare a comandare. E questo linguaggio fascista appena velato era anche altrove. In Road in the Sky, mentre promuoveva il Perù come luogo privilegiato per i suoi contatti, Williamson scriveva pure che ben sei sistemi solari che facevano capo a Orione erano volti a prendersi le ricchezze terrestri, e che controllavano le menti rapaci di “certi individui”, come aggiungeva in Other Tongues – Other Flesh. Era questo controllo mentale e spirituale a spingere “alcuni individui e gruppi di ricchissimi finanzieri” a depredare i popoli.
Grazie alle incredibili convention ufologiche che si svolgevano in quel periodo una volta l’anno a Giant Rock, un postaccio nel deserto californiano alle spalle di Los Angeles, Williamson si legò anche ad altri contattisti con idee di estrema destra. Fra questi, George Van Tassel (1910-1978), celebre per aver introdotto nel pantheon ufologico un extraterrestre che poi diventerà il preferito dai contattisti, cioè Ashtar. In tempi successivi, George Green, un altro contattista antisemita, ha fatto rivivere uno degli extraterrestri con cui Williamson diceva di essere in rapporto mentale, cioè Hatonn, portando alle estreme conseguenze politiche le cose che negli scritti di Williamson erano appena un pochino meno palesi: la ricerca negli ebrei di un capro espiatorio per i mali del mondo.
Il lato più remoto: la conversione al Cristianesimo orientale
Nel 1961, dopo il lungo periplo europeo del 1958, Williamson compì un’altra tournée assai lontano dagli Stati Uniti. Andò in Giappone per presentare le sue idee a un pubblico nuovo, invitato dal contattista Yusuke Matsumura, uno degli introduttori del mito UFO nella cultura nipponica. Il tour era incentrato sul suo libro più recente, Secret of the Andes, in cui Williamson riprendeva a piene mani le storie sul continente scomparso di Mu, creato negli anni ‘20 dallo scrittore inglese James Churchward.
Per farsi ascoltare in Estremo Oriente, l’idea di Mu era importante, perché quella storia narra di una supercultura sconosciuta che sarebbe esistita al centro dell’Oceano Pacifico. In questo modo, Williamson pensava di poter continuare a presentare la sua linea culturale ormai classica (quella dei centri esoterici “nascosti” del continente americano) e, al contempo, raccontare agli appassionati giapponesi che Mu aveva influenzato anche il loro paese. Insomma, un modo per accomunare in una storia da fantascienza entrambe le sponde dell’Oceano.
Ma mentre faceva questo giro, per Williamson era già intervenuto un fatto decisivo. Secret of the Andes non era stato firmato col suo vero nome, ma sotto il nomignolo di “Brother Philip”, presentato come uno degli adepti che avevano vissuto nel monastero peruviano della Fratellanza dei Sette Raggi. Ma quello era soltanto il risultato di un colpo di scena da teatro. Convintosi di essere un discendente della ex-famiglia reale serba, uscita di scena con la Seconda Guerra Mondiale, nel 1959 Williamson aveva cambiato nome legalmente.
George Hunt Williamson era scomparso. Al suo posto adesso c’era Michel d’Obrenovic.
Fu così che dopo il 1961 l’attività ufologico-occultistica di Williamson/d’Obrenovic si ridusse al minimo, anche se di tanto in tanto continuò a tenere conferenze archeologico-spaziali. Da allora in poi, la sua vita ebbe davvero un rivolgimento totale. Ormai separato dalla moglie, si riavvicinò al Cristianesimo, ma in una forma di minoranza, quella propria di una chiesa orientale sopravvissuta alle controversie cristologiche dei primi secoli, la Chiesa Assira dell’Est (o Nestoriana), diventandone un prete. Si trasferì a Long Beach, in California, dove morì il 26 febbraio del 1986, alla soglia dei sessant’anni.
In apparenza, una giravolta finale davvero difficile da capire. Ma Williamson è stato tutto e il contrario di tutto, e dunque nemmeno questa scelta radicale deve stupirci fino in fondo. In termini più concreti, si potrebbe pensare che il decennio ufologico e occultistico che lo aveva fatto conoscere in mezzo mondo gli avesse anche prodotto tensioni e patemi eccessivi (ce ne sono tracce biografiche fin dagli inizi). Diventare Michel d’Obrenovic (e prete di una minuscola chiesa orientale risalente al V secolo) potrebbe essere stato anche un modo per volgersi altrove, mettendo in prospettiva tutto quanto ormai era stato, a partire da Pelley, sino ad Adamski, ai messaggi di Mon-Ka, per passare ai rapporti con gli ufologi e gli occultisti italiani, sino all’esperienza comunitaria peruviana.
Sono questi, presi tutti insieme, i segni della lunga ricerca di una personalità inquieta, sempre volta alla ricerca di un rapporto diretto con qualcosa di superiore e di misterioso, in un senso ben più ampio rispetto agli extraterrestri del mito UFO. Williamson, lo abbiamo visto, fu affascinato fin dalla prima giovinezza dagli stati alterati di coscienza descritti nella spiritualità dei nativi americani – cioè dall’”Oriente misterioso” che un giovane cresciuto in Arizona tra gli anni della Grande Depressione e la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale sentiva più suo.
Per quanto personaggio modesto, Williamson s’inserisce nella scia della controcultura americana, quella che poi esploderà nei primi anni ‘60 con la Beat Generation. Se non fosse esagerato accostarlo a grandi scrittori come Jack Kerouac, anche Williamson sarebbe un po’ un beat. Ed è forse il caso di ricordare che beat è un’espressione popolarizzata dallo stesso Kerouac. Non ha a che fare con il senso del ritmo, o con i battiti musicali: è un’abbreviazione del termine beatific, ed è figlia diretta di un’esperienza mistica di Kerouac. Nell’America anni ‘50, personaggi minori come Williamson furono un po’ come dei beat mancati, o mal riusciti, o, semplicemente, differenti dagli altri, quelli più noti. Come il Kerouac di testi fondamentali come On the Road o I vagabondi del Dharma anche il nostro occultista vaga – sia fisicamente, sia nelle idee. Per questo il suo interesse per i dischi volanti e i contatti con gli extraterrestri va considerato per quel che è: una fase della sua vita e del suo girovagare per pascoli fluorescenti di vario genere senza mai sostare davvero.
Come per ogni personaggio di questo tipo, anche Williamson conserva la sua piccola schiera di ammiratori. Forse non a caso, visto i legami che ebbe con il nostro paese, una manifestazione importante del perdurare della sua eredità ideale si è manifestata proprio da noi con il volume del 2013 Extraterrestri: il contatto è già avvenuto (Verdechiaro edizioni), di Maurizio Martinelli e Michel Zirger. Se volete sapere qualcosa sui modi in cui vite e racconti improbabilissimi come quelli di Williamson possono sopravvivere e, anzi, transitare nell’empireo ufologico, leggete questo libro. Vi troverete molte cose affascinanti, alle quali è inutile guardare con la mentalità delle scienze stabilite e del rigore del linguaggio. Non ve le godreste.
Immagine di apertura di Pete Linforth da Pixabay