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Homo sapiens nel Sudest asiatico: nuove scoperte su una popolazione estinta

di Agnese Picco

La nostra specie, Homo sapiens, si è evoluta in Africa circa 300 mila anni fa. Da qui si è poi diffusa in tutto il mondo, nel corso di ondate successive che gli esperti chiamano out of Africa, dall’Eurasia fino alle Americhe e alle isole più lontane, come quelle dell’Oceania. Facile dirlo, ma come e quando sono state popolate le varie parti del globo? Su questo punto gli studiosi non sono ancora concordi e capita sovente che nuovi dati confermino o confutino alcune teorie. 

Per quanto riguarda il Sudest asiatico, la questione si complica ulteriormente perché i dati genetici e archeologici presentano alcune discrepanze. Le prove genetiche supportano un’unica rapida dispersione delle popolazioni già uscite dall’Africa tra 50 e 60 mila anni fa, seguita da una ulteriore suddivisione in due gruppi: uno verso il Sud Est asiatico e uno verso l’Europa. 

Studi sulle popolazioni moderne e antiche di queste zone testimoniano che, anche se ci fossero state popolazioni precedenti, non avrebbero lasciato un apporto genetico significativo nel genoma successivo. Le prove archeologiche a paleoantropologiche invece, supportano un’espansione più antica, che ha lasciato fossili nella zona del Mediterraneo orientale, della Penisola arabica, del Sud est asiatico e dell’Australia, datati tra 210 mila e 60 mila anni fa. 

A questi siti, testimoni di una presenza precoce di Homo sapiens, si può ascrivere anche quello di Tam Pà Ling, i cui ritrovamenti si potevano fino a poco tempo fa datare tra i 70 e i 46 mila anni fa. Insomma,si prefigura un quadro ben più complesso e che non è facile conciliare con i dati genetici. A meno che queste colonizzazioni precoci non siano fallite, non dando vita ad una popolazione stabile e non lasciando quindi tracce nel patrimonio genetico delle popolazioni successive.

Chiaramente, più aumentano i dati e gli studi specifici, più il quadro diventa chiaro e coerente. Un nuovo studio su due frammenti ossei ritrovati recentemente nel sito di Tam Pà Ling (Laos), pubblicato su Nature Communications, va proprio in questa direzione. Il sito, scoperto nel 2009, ha restituito 7 frammenti ossei: un cranio parziale (TPL 1), due mandibole (TPL 2 e 3), una costa (TPL 4) e una falange (TPL 5), datati tra i 70 e i 46 mila anni fa. A questi si sono aggiunti un frammento di osso frontale (TPL 6) e il frammento di una tibia (TPL 7), sui quali verte il nuovo studio, datati tra gli 86 e i 68 mila anni fa.

I risultati della ricerca sono stati molteplici. Innanzitutto, i resti sono stati sottoposti a cinque metodi diversi di datazione. Questo ha permesso di estendere la cronologia del sito di 10 mila anni e di appurare la frequentazione umana è durata circa 56 mila anni. Dato il lungo periodo di frequentazione e l’associazione stratigrafica con resti di altri animali, il sito è stato interpretato come un lento accumulo stagionale di sedimenti e non come il risultato di un unico evento.

Oltre alla datazione, i ricercatori hanno analizzato anche la morfologia dei resti umani, confrontandola con gli altri fossili coevi. Le affinità riscontrate suggeriscono che gli Homo sapiens del sito discendano da una popolazione africana, vicino orientale o locale. Come già sottolineato, i dati genetici propendono per un unico evento migratorio avvenuto intorno a 50 mila anni fa. I fossili TPL 1, 2 e 3 potrebbero effettivamente appartenere a questo scenario. TPL 6, con un’età compresa tra 73 e 67 mila anni fa, potrebbe invece appartenere ad un evento precedente, forse fallito. I restanti resti del sito sarebbero dunque i suoi discendenti, che però non hanno dato vita ad una popolazione stabile e quindi non hanno lasciato tracce nel pool genetico attuale. I ricercatori hanno tentato di estrarre il DNA da alcuni denti per confermare questa ipotesi, ma non hanno avuto successo.

Inoltre lo studio morfologico ha evidenziato che TPL 6, il resto umano più antico del sito, è più piccolo e gracile di TPL 1. La differenza tra TPL 6 e 1 potrebbe essere il risultato del dimorfismo sessuale (e quindi TPL 6 sarebbe una femmina, mentre TPL 1 un maschio), oppure potrebbe riflettere cambiamenti diacronici avvenuti nei 30 mila anni che li separano.

Gli altri resti umani di Tam Pà Ling presentano un’elevata variabilità morfologica, fornendo una visione unica delle tendenze temporali nel Sud est asiatico, dove i fossili di ominini provenienti da contesti studiati negli ultimi anni e con datazioni precise sono scarsi. Inoltre questi fossili, datati tra 86 e 44 mila anni fa, sono alcuni tra i più antichi resti craniali del continente. TPL 6 fornisce una prova diretta di una dispersione precoce, forse senza successo, dall’Africa o dal Vicino Oriente verso il sud-est asiatico avvenuta circa 70 mila anni fa. Inoltre la sua forma suggerisce una discendenza da una popolazione migrata dall’Africa e non il risultato dell’evoluzione locale ad esempio da Homo Erectus o dai Denisoviani.

Immagine: scavi nella grotta di Tam Pà Ling, Laos del Nord. Foto del prof. Fabrice Demeter, University of Copenhagen, da EurekAlert