L’oracolo della Sibilla cusiana
Giandujotto scettico n° 143 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (13/07/2023)
Bibliomanzia: è questo il termine che si usava un tempo per indicare tutte quelle forme di divinazione che sfruttavano l’uso di libri, magari scritti apposta per fungere da oracoli. Oggi vogliamo farvi scoprire uno di questi testi, dal nome tutto piemontese: L’oracolo della Sibilla cusiana di Giovanni Finazzi, pubblicato nel 1828.
I libri di sorte
L’idea di usare un libro per prevedere il futuro è antica. Una delle tecniche più semplici consisteva nel puntare a caso il dito sul testo: la prima frase individuata (o una scelta ulteriormente a caso, indicando un periodo a occhi chiusi) avrebbe fornito il responso alla propria domanda. Nell’antica Grecia si usavano a questo scopo gli scritti di Omero, Eraclito ed Esiodo. Vi si aggiunsero l’Eneide di Virgilio in epoca romana e poi, con trionfo del Cristianesimo, la Bibbia.
Di recente lo storico Daniel Bellingradt ha condiviso su Mastodon un manoscritto tedesco che associava ogni lettera a un responso: si formulava una domanda, si apriva a caso la Bibbia, si leggeva la prima lettera della prima parola e si cercava nell’elenco la risposta corrispondente. Se, per esempio, la prima parola della pagina iniziava con la G, si andava a cercare il responso associato (che in questo caso era Freude, cioè gioia), e si poteva essere certi che il proprio problema si sarebbe risolto felicemente.
Ben presto accanto a tecniche come quella descritta, nacquero libri fatti apposta per prevedere il futuro, ossia i libri di sorte, che impiegavano tecniche diverse allo scopo di aumentare la casualità dei responsi. La modalità di consultazione più semplice rimaneva quella dell’apertura a caso del testo: una tecnica utilizzata già nel Vangelo delle Sorti di Maria, una raccolta di trentasette meditazioni scritte una per pagina, impiegata tra i cristiani copti nell’Egitto del quinto secolo, ma che si è conservata fino ai giorni nostri.
Qualcuno forse ricorderà il Libro delle risposte di Carol Bolt, bestseller internazionale uscito nel 1999, che sostituiva alle meditazioni frasette semplici e immediate. Altrettanto familiare al lettore sarà l’I-Ching, scritto nel terzo secolo a. C. ma popolarissimo ancora oggi, che utilizza bastoncini o i lanci di una moneta per arrivare al responso “corretto” tra i 64 proposti. Esistono poi libri che impiegavano (e che impiegano tuttora!) altri meccanismi di randomizzazione dei risultati: dadi, spilli per bucare a caso la pagina, bigliettini, volvelle rotanti. Il Trionpho di Fortuna (1526) di Sigismondo Fanti inseriva nel percorso l’ora nella quale avveniva la consultazione. C’erano poi oracoli che davano subito la risposta e altri che rendevano il consulto una specie di viaggio a tappe, i cui sentieri si biforcavano di continuo.
Un esempio di libro di sorte moderno, che descriviamo perché piemontese, è Il sincronico, pubblicato nel 1999 da Oberto Airaudi, fondatore della comunità di Damanhur. Per ottenere la risposta alla propria domanda, occorreva gettare per tre volte un dado incastonato all’interno del volume. Individuata una pagina tra le 216 possibili (6*6*6), si leggeva il responso e si gettava un’ulteriore volta il dado, per arrivare finalmente al consiglio da seguire.
Come racconta Mariano Tomatis nel suo La magia dei libri (Editrice Bibliografica, Milano, 2015), gli autori di questi “volumi oracolari” avevano in genere due scelte: consentire qualsiasi domanda, fornendo però consigli vaghi e non sempre azzeccati, oppure limitare le domande possibili, facendole scegliere tra un elenco. Un esempio di quest’ultimo tipo è l’Oracolo delle damigelle (1894), “libro dedicato al gentil sesso”, che grazie a sedici fogliettini di carta numerati permetteva di rispondere a domande quali “Come farò tacere i pettegolezzi e le male lingue?”, “Sarò amata da colui che è destinato ad essere il mio sposo?” o “Quando incomincierà la mia vecchiezza?”.
Curiosa la nota di apertura:
Le domande che ogni persona può rivolgere all’oracolo sono state divise in ottanta e in esse ognuno può vedere come si sia cercato di compendiare tutti quanti i casi della nostra vita morale e materiale.
Una vita “al femminile”, bisogna dirlo, assai più limitata rispetto a quella delle donne di oggi.
Giovanni Finazzi
La Sibilla cusiana, invece, non soffriva di questi vincoli. Le si poteva rivolgere qualsiasi domanda, ottenendo in cambio un distico in rima. L’autore era senza dubbio un personaggio curioso: nato a Omegna, nel Verbano, nella seconda metà del Diciottesimo secolo, era medico e appassionato di scienza. Nel 1824 fondò a Torino un giornale mensile, Il Propagatore, che intendeva aggiornare i lettori sui “progressi dell’industria, e specialmente […] riguardanti l’agricoltura, le arti e la medicina”. Era una specie di antesignano delle moderne riviste di divulgazione scientifica. Vi contribuirono personaggi importanti, come Carlo Lessona, Rocco Ragazzoni e Giovanni Francesco Re. Finazzi lo diresse per circa un decennio.
Ma Giovanni (o Giovanni Battista) Finazzi faceva anche parte di un circolo che raggruppava i migliori uomini di cultura di Omegna, ossia l’Accademia della Nigoglia, che si riuniva nella Torre Capra, demolita poi nel 1915. Lì, a quanto pare, si discuteva camminando, si beveva in compagnia e si ragionava su vari argomenti (La Gazzetta del Lago, 13 settembre 1939; Lo Strona, 31 dicembre 1982; Il Verbano, 9 febbraio 1991).
Riguardo a questa istituzione, ecco che cosa ne scriveva Pasquale Maulini in Omegna cara (1978):
[…] se non ebbe la fama della Crusca, degli Agiati, dei Trasformati e di tante altre, pure deve considerarsi come piccolo focolare della cultura. La fondava l’avvocato Onorato Capra buon giurista morto nel 1879 e vi parteciparono Pier Alessandro Parravicini autore del famoso “Giannetto” , il dottor G.B. Finazzi autore dell’”oracolo della sibilla Cusiana”, il chimico Vito Fantoli, il gesuita Giovanni Bordes, il celebre architetto e abate Giuseppe Zanoia, il notaio conte Gerolamo Bazzetta De Vemenia, ed altri omegnesi. L’accademia aveva sede nella Torre Capra sulla Nigoglia, sull’angusta scaletta della Torre stava scritto questo ammonimento:
Né uom di pancia piena
Né crinolata femmina
Salga per questa scala
Che al belveder ti mena.
Un avvertimento goliardico per indicare, insomma, che la via per salire era stretta, e che una donna con gonna a crinolina o un uomo troppo in carne non sarebbero riusciti a passare.
Non sappiamo esattamente quando uscì l’Oracolo della Sibilla cusiana, ma la Gazzetta di Milano ne parla già nel 1828. Finazzi lo pubblicò dapprima a Parigi, dove visse per un po’ di tempo, ma poi ne cedette i diritti all’editore Pagnone di Milano. Fu un successo: nel 1878 ne erano già uscite ventidue ristampe, e altre ne seguirono, compresa un’edizione portatile, “da viaggio”. Tuttavia, l’autore non ebbe tempo per vedere il vero successo della sua opera: morì infatti il 23 gennaio del 1833.
Camminare sulle acque
Di Finazzi si sa poco altro, se non che – tornato nel Verbano – fu eletto sindaco di Omegna e che prima dell’oracolo aveva già pubblicato un altro libro, un opuscoletto intitolato Descrizione di un vegetabile anticonvulsivo, di un trebbiatoio, d’un seminatoio, di una barca innaufragabile e di un metodo di passeggiare sulle acque (1824). Le prime quattro invenzioni abbastanza normali: Finazzi suggeriva l’uso del succo di Senecio vulgaris contro le convulsioni (anche se ammetteva che non sanava completamente e che i tentativi di usarlo su persone affette da epilessia e dal ballo di san Vito non erano andati a buon fine…); descriveva una trebbiatrice e un seminatoio di nuova concezione; spiegava come rendere le barche più sicure con l’aggiunta di galleggianti a soffietto poste ai lati dell’imbarcazione.
Invece, riguardo al metodo per camminare sulle acque, scriveva:
Alle suddette descrizioni si è aggiunto un metodo di passeggiare a piedi asciutti sulle acque, il quale se non reca utile reale servirà almeno di aggradevole divertimento.
Il metodo consisteva nell’utilizzo di particolari trampoli, chiamati “grucce acquatiche”, galleggianti per mezzo di otri pieni d’aria. Finazzi prospettava per la sua invenzione un utilizzo ludico:
Ad onta che lento e faticoso debba essere il camino, pure sarà sempre di bellissimo effetto e maraviglioso il vedere passeggiare sulla superficie delle acque, e perdere frequente l’equilibrio senza mai cadere. Lo spettacolo sarebbe sorprendente se in occasione di qualche festa si ponesse un premio a chi arrivasse il primo ad una prefìssa meta.
Non risulta, comunque, che qualcuno abbia mai sperimentato davvero le “grucce acquatiche” – neanche Finazzi stesso.
L’oracolo della Sibilla cusiana
Ma, dunque, come funzionava l’oracolo della Sibilla cusiana, che faceva il verso alla più celebre cumiana? Per prima cosa occorreva scrivere la domanda, seguita dal nome e dal cognome del richiedente e dal suo luogo di nascita. Si prendevano quindi le lettere iniziali di ogni parola, e a quelle si associava un numero, secondo la tabella:
K, Q, W, X, Y=0;
H, V, U=1;
E, R, S=2;
M, T=3;
L, O=4;
A, G=5;
I, J, N=6;
C, F=7;
D, Z=8;
B, P=9
Per esempio:
Sarà apprezzato questo giandujotto? Sofia Lincos – Cuneo
2-5-0-5-2-4-7
Da questa sequenza occorreva ricavare tre numeri, che erano le chiavi per la risposta. La prima chiave si trovava sommando le cifre della sola domanda, e prendendo quella delle unità.
Nel nostro esempio: 2+5+0+5=12, quindi 2.
La seconda chiave si otteneva sommando i numeri corrispondenti a nome, cognome, luogo di nascita e ultima parola della domanda, e prendendo le unità.
Per noi: 2+4+7+5=18, quindi 8.
La terza chiave si ricavava sommando le cifre di nome, cognome, prima e ultima parola della domanda, e prendendo sempre la cifra delle unità.
Dunque: 2+4+2+5=13, ovvero 3.
Si avevano quindi tre numeri, 2-8-3. A quel punto occorreva cercare nel libro le stringhe di testo corrispondenti a 2-8-3, prima colonna (EMOLTODUB-INTANTOTI); 8-3-2, seconda colonna (BIOILDESIA-CONSOLACOL) e 3-2-8, terza colonna (TOBENE-LASPENE).
Mettendole una accanto all’altra, si otteneva:
EMOLTODUB BIOILDESIA TOBENE
INTANTOTI CONSOLACOL LASPENEÈ molto dubbio il desiato bene,
intanto ti consola colla spene.
Alla fine del procedimento, dunque, l’oracolo offriva una coppia di versi sibillini che costituivano il responso cercato. Nel nostro caso, parafrasando: la risposta rimane avvolta nel dubbio, ma possiamo consolarci con la speranza.
Un caso indicativo del sistema escogitato: seguendo il procedimento, si arrivava spesso (ma non sempre) a risposte che erano non-risposte:
La speme ti lusinghi pur, ma il cielo/Non squarceratti ancor l’oscuro velo.
Fra la tema e speranza dubbioso/Talora perderai pace e riposo.
Nulla dice di te l’eterno fato/Conchiudo di sperar dunque ti è dato.
Le Sibille, si sa, amano l’oscurità…
L’oracolo, oggi
I libri di sorte si muovono sempre su un filo sottile, tra la divinazione “seria” e il gioco. È probabile che Finazzi avesse concepito la Sibilla cumiana più come intrattenimento, che come mezzo per interrogare davvero la fortuna. D’altra parte, era così che veniva pubblicizzata sulla Gazzetta di Milano:
Quest’Oracolo risponde adeguatamente non solo all’amena gioventù, ma anche all’età matura, agli speculativi calcolatori ed a qualunque persona ed a qualsiasi domanda. Le geniali adunanze godranno di un grazioso divertimento quando la Sibilla svilupperà colle spesso enigmatiche parole gli arcani del futuro destino; essa, più veritiera che galante, saprà vivamente animare le conversazioni, sicché vedrassi non infrequente modellato al riso anche il grave labbro delle severe matrone.
Alcuni, come Giampaolo Dossena e Paolo Albani, hanno voluto vedere in questo libro un precursore della letteratura combinatoria, di cui sono esempio eccellente le Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau. Dal canto nostro, il paragone sembra un po’ eccessivo. Nelle poesie di Queneau, infatti, il lettore poteva scegliere dieci possibilità per il primo verso, dieci per il secondo, e così via, in modo da comporre 10^14 possibilità di poesie. Nell’Oracolo della Sibilla cusiana, ogni stringa di testo ha una sola possibile continuazione, per quanto occorra andarla a cercare in un’altra pagina.
Il libretto rimane comunque un simpatico passatempo, e un bell’esempio di bibliomanzia in salsa piemontese, di quelle che sanno prendersi non troppo sul serio. Per chi volesse divertirsi, il libro è digitalizzato su Archive.org, e nel 1994 ne è stata realizzata anche una ristampa cartacea, grazie all’editore Adriano Gallina. Mariano Tomatis ne ha ricavato invece una versione interattiva, che potete consultare qui senza spaccarvi troppo la testa con calcoli e ricerche tra le tabelle.
Sempre che questo non vi guasti troppo il gioco, ovviamente.
Immagine di apertura: La Sibilla Appenninica, di Adolfo De Carolis (1874–1928), da Wikimedia Commons, pubblico dominio