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Come viveva un calabrese nel Neolitico?

Un team di ricercatori guidati dal Laboratorio del DNA antico dell’Università di Bologna ha ricostruito il profilo bioarcheologico dell’uomo sepolto all’interno della Grotta di Pietra Sant’Angelo, che si trova nel comune di San Lorenzo Bellizzi, in provincia di Cosenza, in un ambiente montano quasi ai confini con la Basilicata. I risultati, pubblicati nel luglio 2023 sulla rivista Scientific Reports, hanno permesso non solo di chiarire alcuni aspetti della vita quotidiana nel Neolitico, ma anche di approfondire la nostra conoscenza sulla provenienza genetica delle genti che, circa ottomila anni fa, hanno portato la cultura neolitica in Europa.

Gli scavi nella Grotta di Pietra Sant’Angelo, iniziati nel 2017, si sono presto dimostrati ricchi di sorprese per gli archeologi. Pochi metri oltre l’imboccatura della grotta, infatti, è stata trovata una sepoltura anomala per la zona e il periodo storico. Nella Calabria neolitica, infatti, solitamente i morti venivano inumati in cimiteri vicini ai villaggi oppure, più raramente, in cavità sepolcrali predisposte a contenere diversi corpi. In questo caso, invece, l’inumato era uno solo, posto in una grotta difficile da raggiungere, sepolto in una fossa poco profonda, prono, con il corpo rannicchiato, il volto verso il terreno e senza nessun oggetto.

Grazie all’analisi archeologica degli altri oggetti trovati nella grotta e alla datazione al radiocarbonio è stato possibile assegnare la sepoltura al Neolitico Medio.

Da: Fontani, F., Boano, R., Cinti, A. et al. “Sci Rep” 13, 11978 (2023). (a) Localizzazione di San Lorenzo Bellizzi.; (b) Massiccio di Pietra Sant’Angelo e, nel cerchio, l’ingresso dell’omonima grotta; (c) planimetria della grotta e localizzazione della sepoltura (cerchio rosso), con ampiezza degli scavi indicata in verde; (d) scheletro dell’individuo; (e) mandibola intatta dello stesso – Foto “b” e “d” di Felice Larocca, foto “e” di Alessandra Cinti.

I ricercatori hanno applicato una metodologia multidisciplinare allo studio dello scheletro unendo archeologia biomolecolare, antropologia fisica e archeotanatologia, ricostruendo così il profilo bioarcheologico completo dell’uomo.

Per prima cosa, lo studio antropologico del corpo ha permesso di definire alcune caratteristiche di base: si tratta di un uomo adulto, intorno ai 30 anni, alto circa 164 cm. Da un punto di vista tanatologico, cioè per quanto riguarda quello che è avvenuto al corpo dopo la morte, la posizione innaturale e molto compressa dello scheletro, e in particolare del bacino, ha permesso ai ricercatori di ipotizzare che potesse essere stato legato con corde e poi bloccato con alcune pietre, presenti nella tomba. La compressione del corpo deve essere avvenuta 24-36 ore dopo la morte, momento nel quale cessa il rigor mortis. L’analisi antropologica ha evidenziato anche diversi elementi collegati allo stile di vita dell’uomo.

Nello scheletro post craniale sono stati evidenziati microtraumi ripetuti alle spalle, agli arti superiori, al cinto pelvico e agli arti inferiori. Secondo i ricercatori, questi tratti sono associabili all’abitudine di mantenere una posizione accovacciata e di camminare eretti su superfici dure, o a caratteristiche genetiche. Dunque, nella vita quotidiana di questo individuo erano presenti azioni usuali e ripetute nel tempo.

Anche l’analisi dentaria ha riservato diverse sorprese. L’usura pronunciata dei denti potrebbe indicare che l’uomo era solito utilizzare la bocca come una “terza mano”, utilizzandola cioè come supporto nella lavorazione di alcuni materiali o nella creazione di strumenti. L’analisi dei micro detriti individuati tra i denti conferma questa ipotesi. Infatti sono state rinvenute fibre color magenta, derivate da un’attività artigianale, che purtroppo è difficile da identificare. La stessa caratteristica, però, è stata individuata anche in altri contesti coevi del sud Italia, come Serra Cicora in Puglia, segno che probabilmente la pratica di utilizzare i denti per la lavorazione di alcuni materiali era consolidata e diffusa.

Sempre grazie all’analisi dentaria è stata individuata una possibile causa di morte. Un campione di tartaro è stato sottoposto ad analisi genomiche e proteomiche, evidenziando così la presenza di proteine collegate ad una forte risposta immunitaria avvenuta nel periodo immediatamente precedente alla morte. Inoltre sono stati individuati alcuni batteri che causano infezioni del periodonto e delle gengive che, se non curate, possono condurre rapidamente alla morte. Secondo i ricercatori, un decesso improvviso, forse avvenuto lontano dalla comunità di appartenenza, potrebbe contribuire a spiegare la particolarità della sepoltura.

Infine, lo studio del DNA antico mostra come l’individuo rientri nella variabilità genetica del Neolitico italiano e mediterraneo, che ha forti collegamenti con la zona del Peloponneso e dell’Anatolia. Questa familiarità ha suggerito l’ipotesi che il Mediterraneo possa essere stato una via parallela per i movimenti migratori che, 8 mila anni fa, hanno portato nuove genti e nuove tecnologie e stili di vita in Europa. Anche se, come rilevano i ricercatori stessi, il panorama genetico del Sud Italia è lontano dall’essere compreso e serviranno nuovi studi per approfondire la nostra conoscenza, i risultati di questo studio ci avvicinano un po’ di più.

Immagine di apertura: Gole del Raganello nei pressi di San Lorenzo Bellizzi. Foto di Alfredo D’Ambrosio, da Wikimedia Commons, licenza CC BY 3.0.