Approfondimenti

Stigmate: un approccio scettico al paranormale religioso

di Marco Morocutti

Ha le mani aperte sul legno
è il corpo un grumo di sangue
sono un urlo di sete le membra
il suo grido riscuota la Terra!

Con questi potenti versi si apre uno degli Inni con cui David Maria Turoldo evoca la crocifissione di Cristo. I segni caratteristici del supplizio, che prevedeva la morte del condannato, sono le stigmate, lesioni inferte nelle mani e nei piedi tramite i chiodi con i quali il corpo veniva trafitto e immobilizzato sulla croce, rendendo possibile infierire sul condannato mentre ne veniva pubblicamente esposta l’agonia.

Alcuni ritengono che, se una persona si venisse a trovare in un particolare stato di grazia e di unione spirituale con la divinità, potrebbe giungere a manifestare sul proprio corpo alcuni segni simili a quelli mostrati da Cristo durante la passione. Secondo la tradizione cattolica, tale evento si sarebbe infatti verificato per la prima volta sul corpo di san Francesco d’Assisi, nel 1224, ma da allora sono molte le persone a cui è attribuita la medesima dolorosa manifestazione. Fra queste si contano figure di primo piano per importanza popolare, come Padre Pio da Pietrelcina, proclamato santo nel 2002, e diversi altri religiosi (uomini e donne) con grado di santi, beati o comunque riconosciuti come mistici.

Questa potente simbologia non appartiene solo ad uomini di Chiesa, ma si dice contraddistingua altre figure carismatiche, in alcuni casi autoproclamatesi veggenti, che come tali raccolgono un seguito di devoti fedeli, sebbene formalmente siano estranee alle gerarchie cattoliche. Come esempio si possono citarne due figure note alle cronache e pressoché agli antipodi fra loro: Natuzza Evolo (1924-2009) e Giorgio Bongiovanni (1950-).

Affrontare in modo razionale casi come questi, che presentano evidenti aspetti controversi, richiederebbe estese analisi ed approfondimenti; altri se ne sono già occupati e non è certo questa l’occasione per farlo. Resta il fatto che la presenza – anche solo presunta – delle stigmate esercita un potente fascino e attribuisce al soggetto una sorta di “certificato di santità”, facendone di fatto un intoccabile. Al punto che la sola idea di muovere una qualsiasi contestazione o anche solo avanzare un dubbio appare inaccettabile e quasi blasfemo.

Ma al di là delle apparenze, vi può essere il desiderio di capire razionalmente quale possa essere l’origine delle ferite. Potrebbe infatti trattarsi di un peculiare fenomeno fisiologico, di una patologia insolita ma anche di una lesione autoinferta. Oppure potremmo essere in presenza di una forma di simulazione: una frode insomma; e se così fosse non vi sarebbe in realtà nessuna ferita. Questo modo di ragionare rientra in un campo di attività che nel CICAP conosciamo molto bene, ossia la verifica dell’oggettiva esistenza di un fenomeno sconosciuto prima ancora di cercare di attribuirvi una causa. Solo una volta che si fosse accertata l’esistenza del fenomeno sarà lecito ricercarne una causa plausibile, per quanto rara o insolita possa essere, così da giungere ad una conclusione condivisibile e supportata da prove al di là di ogni ragionevole dubbio.

È il modo in cui procede abitualmente l’indagine scientifica.

Ma c’è un altro aspetto con cui abbiamo dovuto più volte confrontarci: in alcuni casi, sia perché si urta una particolare sensibilità delle persone coinvolte, sia perché esiste una convenienza (magari non dichiarata) a non mettere in discussione il fenomeno, ci si trova nell’impossibilità oggettiva di eseguire le dovute verifiche. È una situazione imbarazzante, perché ferite assimilabili a stigmate sarebbero per il portatore invalidanti e probabilmente dolorose, per cui appare difficile che (escludendo patologie psichiatriche) una persona possa compiere un tale atto di autolesionismo e procurarsi volontariamente simili danni. Tuttavia, in questi casi, le stigmate sembrano esserci ma non è possibile indagare oltre.

Diventa allora particolarmente importante appurare con certezza la realtà e la natura del fenomeno, perché se un comportamento fraudolento appare impensabile, allora dimostrare la genuinità delle stigmate significherebbe essere innanzi a un interessante fenomeno di origine ignota, per lo meno allo stato attuale delle conoscenze; e ciò in fondo dovrebbe coincidere con le aspettative dei fedeli. In altre parole, una verifica accurata della situazione sembrerebbe qualcosa di conveniente per tutti.

Invece si finisce per trovarsi in una situazione peculiare: per i fedeli un portatore di stigmate appare una persona sulla strada della santità; e con quale sfrontatezza un critico potrebbe pretendere di eseguire esperimenti e rigorose verifiche su di un santo? Rispetto ad altre presunte manifestazioni paranormali a carattere laico, qui la connotazione religiosa ostacola fortemente la possibilità di instaurare adeguati controlli. Al punto che – per quanto mi sia dato di sapere – nella storia delle indagini sul paranormale non si registrano casi di verifiche complete su soggetti presunti portatori di stigmate. Diventa allora inevitabile che la discussione si trasformi in un inconcludente scontro di opinioni, che facilmente finiranno per polarizzarsi su posizioni opposte.

Il fenomeno, se reale, potrebbe essere straordinario; tuttavia non è possibile eseguire verifiche oggettive. C’è un modo per uscirne?

Vediamo la situazione. Se chi indaga lo fa con spirito scientifico, avrà come scopo quello di raggiungere una conclusione il più possibile oggettiva e condivisibile. Per chi sostiene il fenomeno, invece, solitamente non c’è nessun bisogno di conferme: le affermazioni del veggente (e dei seguaci) sono già una conferma, ma è la “conferma” di un convincimento interiore preesistente, già radicato nei sentimenti di chi ha fede, che riceve nuovo slancio dalla (presunta) straordinarietà del fenomeno. Qualcosa che nell’intimo si è sempre creduto e desiderato essere vero, e ora sembra avvenire realmente.

Un approccio razionale al dibattito può seguire diversi percorsi, tenendo in conto che per i motivi visti sopra sarà difficile – se non impossibile – intaccare i convincimenti di chi ha fede nelle affermazioni del veggente. Ma se il dibattito avviene davanti a un pubblico, si tratti di una conferenza o di una discussione televisiva, ci si troverà innanzi a persone con una varietà di posizioni, e fra queste una parte importante sarà costituita da chi ha dubbi (in qualsiasi senso) ed è in cerca di elementi per formarsi un’opinione. A mio giudizio, è soprattutto per questa parte di pubblico che ha senso dedicare tempo ed energie a promuovere un atteggiamento razionale nei confronti di qualcosa che appare misterioso, e che a molti può sembrare inspiegabile.

Per esperienza, uno di questi approcci consiste nel fare riferimento alla casistica nota e informare il pubblico su cosa è avvenuto, cosa si è potuto fare e soprattutto cosa non si è potuto fare quando in passato si è indagato su casi analoghi. Esporre quindi cosa sia stato accertato e come ciò non abbia affatto confermato, o talvolta abbia contraddetto, le affermazioni di chi aveva presentato il fenomeno come genuino. È probabile che un tale approccio sia più consono ad un ambito di conferenza che non di intervista TV, ma se si riesce ad esercitare una capacità di sintesi, anche nei dibattiti televisivi è possibile comunicare informazioni critiche riguardo ad eventi simili e già indagati. Non va dimenticato che anche gli argomenti critici possono essere dirompenti, soprattutto perché di regola non sono noti al pubblico, dato che se non fosse per il CICAP ben pochi si impegnerebbero a divulgarli.

Un secondo atteggiamento è suggerire come si potrebbe porre la situazione sotto stretto controllo, allo scopo di discriminare un fenomeno solo presunto (o talvolta preteso!) rispetto a un accadimento genuino. Il tema del controllo è molto caro al CICAP, ma può essere condiviso anche dal pubblico: basti pensare che nessuno prenderebbe per buono, ad esempio, un risultato sportivo decisamente straordinario se non fosse più che confermato dai controlli che normalmente si applicano per le discipline agonistiche. Al contrario, quando invece si tratta di giudicare un fenomeno che sembra andare oltre il comportamento noto del mondo fisico, il dibattito pubblico si esprime quasi sempre su posizioni filosofiche o ideologiche, ben lontane da un approccio basato su (rigorosi) controlli.

I controlli rigorosi però sono molto difficili da eseguire sulle persone, soprattutto – come abbiamo detto – in situazioni a carattere religioso, quindi la strada non è nella pratica percorribile. È invece ben più facile mettere sotto controllo un oggetto inanimato, che rimanendo sul tema potrebbe essere il caso di un oggetto sacro legato alla vicenda in esame. Un esempio tipico è quello di una statua, un crocifisso o un dipinto che appaia trasudare sostanze che non dovrebbero essere presenti, come nel caso di sangue, oli o liquidi acquosi simili a lacrime. Mostrare al pubblico come sia possibile controllare il comportamento di tali oggetti è un modo, sebbene indiretto, di far riflettere sul fatto che se, vi è la volontà di farlo, molti controlli si possono fare.

Una terza possibilità, anche questa più volte praticata dal CICAP in vari ambiti di indagine, è la replica del presunto fenomeno misterioso utilizzando però mezzi noti, anche se insoliti e in genere sconosciuti al pubblico. Una tale dimostrazione può essere spettacolare e si presta molto bene a catturare l’attenzione degli spettatori. Ma è un terreno scivoloso: c’è il rischio (già sperimentato) che il significato dell’eseguire una replica non venga ben compreso, o addirittura sia frainteso; e ciò porterebbe ad ottenere l’effetto contrario. È davvero molto importante che il pubblico comprenda che il senso della replica non è affatto dimostrare che il fenomeno sotto indagine sia un falso. È invece quello di evidenziare come qualcosa di molto insolito possa avere una causa nota, se non addirittura essere frutto di un inganno. E se è possibile che un fenomeno abbia un’origine conosciuta, allora prima di ritenerlo straordinario bisognerà accertarsi che non sia dovuto a qualcosa di ordinario, sebbene magari insolito.

In altre parole: se qualcosa si può ottenere con un sotterfugio, un trucco insomma, ci si deve accertare che non vi siano trucchi. Attenzione: non sto dicendo che non si deve vedere alcun trucco, ma che di manipolazioni proprio non ce ne devono essere.

Il fatto di percepire o non percepire la presenza di un sotterfugio aprirebbe il discorso a temi molto rilevanti, che qui non è possibile approfondire. Magari lo faremo in un successivo articolo.

Resta il fatto che, ancora una volta, occupandosi di un fenomeno in ambito religioso anche una replica a scopo dimostrativo – che potremmo definire in stile CICAP – rischia di non cogliere nel segno a causa dei forti convincimenti degli interessati. È più facile che una dimostrazione pratica sia efficace in un ambito maggiormente laico, come è ad esempio il caso della vicenda dei cosiddetti guaritori filippini. Anche qui, e parlo per esperienza, si tratta di mostrare in pubblico (anche in televisione) come, mediante un metodo noto nell’arte dell’illusionismo, si possa produrre un fenomeno perfettamente analogo a ciò che ottengono i sedicenti guaritori. Una volta rivelata la vera natura del metodo utilizzato per la dimostrazione, non sarà difficile convincere circa l’opportunità di effettuare intransigenti verifiche su qualsiasi soggetto che pretenda di poter penetrare nel corpo di un paziente a mani nude, per poi terminare il preteso intervento senza lasciare alcun segno visibile.

Ma ci sono speranze di risultare efficaci e convincenti anche quando l’argomento è più sentito poiché si discute di stigmate. Nel caso della cosiddetta Veggente di Trevignano, nota come Gisella (al secolo Maria Giuseppa) Cardia, ho avuto modo di eseguire una dimostrazione piuttosto intrigante in veste di ospite del talk show Mattino 5. Qui ho simulato in diretta televisiva l’apparizione di macchie sanguinolente sui palmi delle mani, dove fino a poco prima non vi era nulla. L’effetto era particolarmente indovinato, perché nei filmati di repertorio le presunte piaghe apparse nelle stesse posizioni delle mani della signora Cardia mostravano una notevole somiglianza con quanto realizzato da me. Questo non prova che quanto vantato dalla “veggente” sia opera di un inganno, ma mette bene in evidenza che un risultato analogo sia ottenibile anche da altri, applicando un metodo ingegnoso basato sull’uso di sostanze chimiche. Con l’ottima collaborazione degli autori del programma e del personale dello studio.

Dico che si può essere convincenti perché i rilevamenti Auditel dettagliati al minuto hanno mostrato come il picco di ascolto della puntata sia avvenuto durante la dimostrazione delle false stigmate. È quindi probabile che sia stato possibile far passare al pubblico il messaggio, ossia come in casi come questi sia necessaria grande prudenza prima di “gridare al miracolo”.

Visto il successo la dimostrazione è stata poi ripetuta in una successiva puntata, ottenendo nuovamente il picco di ascolti.

Chissà che siano proprio dimostrazioni di questo tipo ad essere in grado di contrastare l’operato di chi, facendo leva sugli intimi sentimenti di alcuni, unendo qualche accattivante espediente retorico e un po’ di psicologia spicciola, riesce a farsi beffe della buona fede del pubblico a favore del proprio tornaconto.

Foto di José Manuel de Laá da Pixabay