Le più diffuse leggende metropolitane che riguardano le automobili
di Ennio Legrottaglie
Per quanto strano possa sembrare, anche un campo a prima vista dominato dai numeri e dalla razionalità come quello dell’automobile è ricco di leggende metropolitane. Analizziamone alcune, provando a capire se si tratti davvero di miti o se celino invece “realtà ingegneristiche”.
Pneumatici più grandi fanno andare più veloce.
Al sottoscritto è capitato più di una volta sentire questa affermazione, che non deve essere così infrequente. La dimensione degli pneumatici non influisce direttamente sulle prestazioni velocistiche delle auto, anzi: con una superficie di contatto maggiore aumenta l’attrito tra ruota e asfalto, e quindi serve più energia per spingere il veicolo. Questo, però, aiuta a “scaricare a terra” la potenza del motore, permettendo di avere accelerazioni migliori: forse l’equivoco è dato dal fatto che sono le macchine potenti ad avere pneumatici di sezione maggiore, proprio per questo motivo. Anche le prestazioni in curva ne risentono positivamente. Controindicazioni? Oltre al maggior costo, aumenta il rischio di “aquaplaning“, cioè la possibilità che in caso di pioggia intensa, soprattutto se lo spessore del battistrada è scarso, si formi un sottile velo d’acqua tra asfalto e pneumatico in cui quest’ultimo “galleggia” letteralmente, rendendo l’auto inguidabile.
L’olio di colza aggiunto al diesel fa diminuire i consumi
Questa leggenda spopolava ad inizio anni 2000, sotto forma di catena di email e interventi in vari forum. In epoca di rialzo dei prezzi dei carburanti fioriscono spesso sentimenti “anti-sistema” e ricerche di metodi più o meno caserecci per abbassare la spesa per l’uso dei mezzi di locomozione, quindi non stupisce che vi fosse chi suggeriva di diluire il diesel con una percentuale variabile dal 10% al 20% di olio di colza, quello che si può acquistare al supermercato. Anche in questo caso c’è una piccola dose di verità: nel corso degli anni per rispondere alle normative antinquinamento i carburanti per autotrazione devono essere addizionati – ma in percentuali molto minori – con combustibili di origine vegetale. Questi, però, sono opportunamente trattati, ad esempio per rimuovere la paraffina e la glicerina che nei moderni motori causerebbero danni estesi al sistema di alimentazione e iniezione, incrostandoli e arrivando anche a contaminare l’olio lubrificante con effetti devastanti. Aggiungere l’olio di colza, pertanto, avrebbe un minimo effetto benefico sul breve periodo, permettendo di risparmiare qualche decina di euro, ma provocando danni quantificabili in migliaia di euro. Forse i motori diesel più vecchi, soprattutto senza turbo, sarebbero in grado di bruciare questo combustibile senza essere danneggiati (quasi certamente i vecchi trattori “a testa calda” dei primi del ‘900) ma trattandosi di mezzi che secondo le ultime disposizioni non possono circolare, non c’è alcuna convenienza. Per chi volesse approfondire, sia Quattroruote sia il sito di informazione tecnologica ZeusNews si sono occupati della vicenda.
Auto ad aria compressa
Sempre per restare nel filone del “Non cielodicono!!1!11!!!” e “Potremmo risparmiare ma…” parliamo dell’auto ad aria compressa. Sembra la soluzione perfetta per abbattere l’inquinamento nelle città e contenere i costi. Acquisti l’auto e un bel compressore, la ricarichi in garage o in qualsiasi stazione di servizio che abbia a disposizione l’apparecchiatura necessaria e poi giri per le strade rilasciando non puzzolenti gas di scarico ma.. aria!
Sono decenni che la sua commercializzazione viene data come imminente, “Ci sono solo da risolvere gli ultimi piccoli problemi tecnici e di industrializzazione”, ma chissà come mai ancora non si vede nessun concessionario metterla a listino. Come mai?
Semplice: energeticamente e ingegneristicamente non può funzionare. L’aria compressa viene usata da più di 100 anni per alimentare piccoli motori di utensili ad aria compressa: trapani, martelli, mole e così via, per cui non dovrebbe essere difficile produrre un motore in grado di spingere un’auto. Quello a cui molti non pensano è che per leggi termodinamiche l’aria compressa, una volta che si espande e compie un “lavoro” permettendo di azionare un macchinario, si raffredda. Nel caso in cui la massa di aria che si espande sia consistente può portare al congelamento dell’umidità dell’aria presente nell’ambiente e nell’aria compressa stessa, con problemi facilmente intuibili. Sarebbe sufficiente riscaldarla in qualche maniera, ma in questo modo il bilancio energetico andrebbe a farsi benedire.
Inoltre, per stoccare il propellente servono serbatoi molto robusti per resistere alle pressioni necessarie, appesantendo di molto il veicolo. Annunciata nel 2001 e data sempre come “di prossima commercializzazione”, se nel 2023 ancora non se ne vede circolare un esemplare, forse non è per colpa dei soliti poteri forti, ma semplicemente per le inflessibili leggi della fisica.
Auto che esplodono in caso di incidente
Per noi cresciuti a pane e serie tv americane è stato comune vedere un’auto che rotola giù da una scarpata dopo un furioso inseguimento e termina la sua corsa esplodendo in una enorme palla di fuoco. Molti potrebbero pensare, quindi, che questo sia l’epilogo più comune di un incidente del genere. Per fortuna si tratta di finzione cinematografica, altrimenti le cronache sarebbero invase quotidianamente dalle notizie di persone perite tragicamente e arse vive.
Le auto sono progettate, prima ancora che per raggiungere certe prestazioni, per essere sicure. Nel corse dei decenni la tecnologia ha fatto passi avanti e, mentre fino agli anni ‘50 e ‘60 potevano esserci effettivamente rischi di incendio maggiori, una serie di accorgimenti ha fatto sì che il numero di combustioni di auto sia diminuito drasticamente. Serbatoi collocati in zone meno soggette a deformazione in caso di incidenti seri, interruttori inerziali che interrompono l’afflusso di carburante al motore e contemporaneamente isolano il circuito elettrico e materiali ignifughi sono solo alcuni degli accorgimenti usati per scongiurare il pericolo. C’è chi ha voluto sfatare questa credenza organizzando un esperimento “dal vivo”. Chi poteva essere se non il collettivo dei Mythbusters?
Ma allora, perché nei film esplodono sempre? La risposta è semplice: per esigenze di spettacolarizzazione si dà una “spintarella”, creando le condizioni idonee all’esplosione: taniche di benzina aggiuntive che rompendosi creano la nuvola di particelle di combustibile e piccole cariche esplosive per essere sicuri che l’effetto sia quello voluto.
Tutto ciò dovrebbe farci riflettere su quanto il nostro immaginario sia “falsato” da quello che viene deciso dagli sceneggiatori di film e serie tv.
L’auto che non si può ribaltare
Al giorno d’oggi non se ne vedono molte in giro, ma fino agli anni ‘90 non era una eventualità così rara assistere al passaggio di una auto curiosa che ha segnato la storia dell’automobile: la Citroen 2CV . Il suo progetto risale agli anni ‘30, ma è solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale che venne perfezionato e l’auto vide la luce. Tanto per dare una idea di quali furono le direttive date agli ingegneri francesi dal patron Pierre-Jules Boulanger riportiamo qui le sue parole:
«Faccia studiare dai suoi servizi una vettura che possa trasportare due contadini in zoccoli e 50 kg di patate, o un barilotto di vino, a una velocità massima di 60 km/h e con un consumo di 3 litri per 100 km. Le sospensioni dovranno permettere l’attraversamento di un campo arato con un paniere di uova senza romperle, e la vettura dovrà essere adatta alla guida di una conduttrice principiante e offrire un comfort indiscutibile.»
Il risultato fu un’auto minimal, senza fronzoli ma estremamente comoda, versatile, robusta e affidabile, con consumi irrisori e che a detta di chiunque l’abbia guidata regalava un piacere di guida notevole, nonostante le prestazioni del motore da 25 CV non si potessero certamente definire sportive.
Una delle caratteristiche che più incuriosiva (e inquietava) chi ci si accostava per la prima volta era l’angolo di inclinazione laterale nel caso in cui si affrontasse una curva a velocità minimamente sostenuta, dovuto alla morbidezza delle sospensioni. La paura di ribaltarsi su un fianco era alta, però a dispetto dei timori ciò non accadeva mai. Anche con il più severo “Test dell’alce” (che consiste nel cercare di schivare un ostacolo che si para davanti all’improvviso, sterzando bruscamente ad alta velocità) la 2CV mostrava di essere ben ancorata all’asfalto, mentre in tempi recenti auto di case dal grande blasone hanno fallito miseramente e sono state oggetto di richiamo.
Per questa sua caratteristica venne definita come la “macchina impossibile da ribaltare”. Verità o mito? Pare che durante un Motorshow di Bologna fosse stata organizzata una competizione: chi fosse riuscito a farla ribaltare ne avrebbe avuta una in omaggio.
Provarono in molti e nessuno ci riuscì, finché arrivò un uomo che ingranò la retro, partì a tutta velocità e con un deciso colpo di sterzo e freno a mano… vinse la scommessa. In questo caso si può dire che il mito non era così infondato: non è certo pratica quotidiana sterzare di colpo mentre si va in retromarcia!
Foto di FranckinJapan da Pixabay