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Come pulcini e api ci aiutano a studiare la mente umana: la conferenza di Giorgio Vallortigara al CICAP Fest 2023

di Emanuela Pasi

Api, rospi, pesci, cani, pulcini, tartarughe e scimmie: al CICAP Fest 2023  il cortile di Palazzo Moroni è stato trasformato in uno zoo immaginario. Durante l’incontro “Che cos’è la coscienza?” Giorgio Vallortigara, professore di Neuroscienze presso l’Università di Trento, ha cercato di guidare il pubblico in un viaggio attraverso i meccanismi neurali della cognizione animale. Per lui, studiare le menti “è un’impresa più ampia e generale che studiare semplicemente la mente umana”, argomenti su cui ha scritto di recente un libro chiamato “​​Il pulcino di Kant” (Adelphi, 2023).

La moderatrice, Claudia Di Giorgio, pur sottolineando che in quella circostanza non avrebbero certo dato una risposta definitiva alla domanda che dava titolo alla conferenza, ha cercato di strappare al professore una definizione base di coscienza: La coscienza è un termine polisemico: c’è la coscienza morale del teologo, l’anestesista che ci  dice se un paziente ha perso coscienza, ma dal punto di vista del neuroscienziato il problema più difficile da spiegare è il concetto di esperienza”, ha risposto Vallortigara.

Improvvisandosi giocoliere con il microfono, il ricercatore ha mostrato che “esistono molte cose che sappiamo fare senza che siano accompagnate da una consapevolezza esplicita”, senza saper spiegare esattamente il processo che abbiamo fatto per apprenderle.  “Una sorta di istinto“, ha aggiunto Di Giorgio. Per il neuroscienziato, questi “istinti, o meglio predisposizioni biologiche,  sono al servizio dei processi di apprendimento”. 

Tali predisposizioni, ha proseguito, riguardano il modo con cui una creatura riconosce che nel mondo ci sia qualcosa di vivente. Questo avviene grazie ad una serie di “rilevatori di vita“,  che gli consentono di distinguere la vita dalla materia inerte. Ad esempio, comprendere come una creatura si muove, le rapide variazioni di velocità e riconoscere qualcosa che sembra una faccia. 

Una serie di studi sulla visione ha mostrato come questo tipo di conoscenza sia già presente nei piccoli dei vertebrati, esseri umani compresi: “Considerate l’idea innata del volto della mamma che un bambino ha alla nascita senza aver mai visto alcun volto – ha detto Vallortigara -. Cosa serve per crearla? Ci vorrebbe troppo tempo a imparare per errori. I pulcini sono soggetti all’imprinting e rischierebbero di considerare come madre le prime cose che vedono al mondo, come ad esempio pietre o alberi. Quindi la selezione naturale ha predisposto questi istinti per ridurre il tempo all’apprendimento”. 

Il neuroscienziato, assieme a un gruppo di ricercatori, ha raccontato di aver condotto studi in merito proprio sui pulcini appena nati. Hanno controllato ogni aspetto della loro vita, cosa hanno sentito o visto fin da quando erano dentro l’uovo. Alla schiusa hanno poi messo gli animali, che non avevano visto nulla al mondo, e per la prima volta gli hanno fatto osservare due immagini su uno schermo. Su entrambe erano raffigurati tre dischi: nella prima, i dischi erano disposti a piramide rovesciata e formavano quindi un volto stilizzato, la seconda era identica ma rovesciata, a formare una piramide tradizionale. Pur essendo in sostanza la stessa cosa, i pulcini preferivano avvicinarsi all’immagine in cui compariva un volto. Addirittura, di recente, registrando i segnali dei singoli neuroni dentro l’uovo, si stanno osservando delle attività che rispondono già a questo “simulacro di faccia”. “La codifica o capacità di sentire, avviene già a livello di singole cellule, non solo a livello di reti di neuroni”, ha affermato il professore.

Approfondendo i concetti di cervello semplice e cervello complesso, Vallortigara ha poi spiegato che il ganglio cefalico dell’ape, corrispettivo del nostro cervello, conta meno di un milione di neuroni: “È sorprendente che con così pochi neuroni si riesca a fare così tanto. Noi ne abbiamo 86 miliardi nella stima attuale. Il problema interessante è capire cosa ce ne facciamo noi dei neuroni che ci avanzano.  La mia idea è che quei neuroni in eccesso  non servano molto per le attività cognitive, ma siano solo grandi magazzini di memoria”. 

Di Giorgio ha quindi chiesto a Vallortigara cosa, secondo lui, distingua l’essere umano dagli altri animali. “Prendendo sempre l’esempio del riconoscimento dei volti, potrei addestrare facilmente un’ape a riconoscere una faccia che voglio – ha risposto -. Il punto complesso è ricordarsi più volti. Noi siamo capaci di riconoscere un numero enorme di volti grazie ai magazzini di memoria.  Alcune stime dicono che possiamo ricordare circa 5mila facce. Un’ape non saprebbe farlo, ma non ne ha bisogno, perché vive nel buio dell’alveare e ha un’organizzazione sociale diversa da quella degli esseri umani. Invece per noi è fondamentale perché la nostra vista si basa su relazioni”.

Vallortigara ha concluso l’incontro affermando che un altro motivo per cui siamo “speciali” è l’aver sviluppato il linguaggio, che è specie specifico. “Questo ci ha consentito di portare fuori dal cranio la nostra intelligenza. Non abbiamo cervelli tanto più intelligenti rispetto ad altri vertebrati – ha chiosato – ma quello che abbiamo imparato lo possiamo facilmente trasmettere agli altri, di generazione in generazione”.