Un kit ammazza-vampiri a Cherasco
Giandujotto scettico n° 150 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (02/11/2023)
È uno dei primi oggetti che incontrerete visitando il Museo della Magia di Cherasco (Cuneo): un kit per la caccia ai vampiri, risalente – spiega l’etichetta – alla fine del Diciannovesimo secolo. Ma da dove arriva? E di che cosa si tratta?
I kit per vampiri, una moda del Ventunesimo secolo
All’interno della scatola in legno che contiene il kit esposto a Cherasco scorgerete diversi oggetti: un libro – forse una Bibbia – tre crocefissi, una mazzetta con pioli, dell’aglio, tenaglie e diverse boccettine dalle etichette inquietanti.
Altri kit simili, presenti in altri luoghi, possono includere specchi, pistole con proiettili d’argento, figurine di santi o dell’arcangelo Michele, rosari e fiori di aglio polverizzati. Tutti oggetti che – stando alla tradizione – dovrebbero essere efficaci contro i vampiri. Alcune scatole mostrano etichette che illustrano il contenuto o scritte dal sapore esoterico: il kit in possesso del Victoria Police Museum (Australia), ad esempio, ha il coperchio intarsiato con le parole
aski – kataski – haix – tetrax – damnameneus – aision.
Si tratta di una formula magica che risale all’antica Grecia, probabilmente costituita da parole prive di significato, analoga al nostro Abracadabra. A lungo utilizzata in campo esoterico, compare anche nel glossario della Società Teosofica Italiana, dove le viene attribuito il significato di “Tenebra, Luce, Terra, Sole e Verità”.
Negli ultimi anni, i kit anti-vampiri hanno avuto un certo successo nel mondo del collezionismo. Nel 2004 un reperto di questo tipo è stato venduto per la notevole cifra di 26.400 dollari. Nell’ottobre 2011 un suo omologo raggiunse i 25.000 dollari a un’asta di Sotheby’s. Alcune di queste scatole sono oggi esposte all’interno di musei dedicati di antropologia o di storia dell’occulto. La maggior raccolta di kit sembra essere quella di Ripley’s Believe It Or Not!, un franchise che include diverse esposizioni di varie parti del mondo dedicate a eventi e oggetti bizzarri: ci sono ben quaranta kit ammazza-vampiri, molti dei quali esposti nei vari Odditorium dell’impresa.
Nelle descrizioni, si racconta che questi oggetti erano comuni nell’Ottocento tra i viaggiatori che dovevano affrontare i viaggi nell’Europa dell’Est. Certo, la credenza nei vampiri era comune all’epoca: malattie come la tubercolosi e altre venivano spesso attribuite alla morte di un parente tornato dalla tomba per succhiare la vita e la salute delle sue vittime. Famosissimo, per esempio, è il caso di Mercy Brown, morta nel 1892 a diciannove anni nella cittadina di Exeter (Rhode Island). Quando il fratellino Edwin si ammalò di “consunzione”, i familiari ritennero che fosse colpa di Mercy, che usciva dalla tomba per togliere la vita al ragazzo. Il corpo della defunta fu allora dissotterrato e il suo cuore estratto e bruciato. Dalle ceneri si ricavò un tonico che fu fatto bere al malato nella speranza di salvarlo. Inutile dire che il rituale si rivelò un fallimento: Edwin morì pochi mesi dopo.
Analoghe credenze erano comuni nell’Europa dell’est, in particolare in Romania e, più in generale, nei Balcani. La pubblicazione di Dracula, nel 1897, contribuì a generare molte delle nostre idee moderne sui vampiri anche fra il pubblico generale. L’idea di un cacciatore di vampiri “specializzato”, alla Van Helsing, arriva proprio di lì. Ma, al di là della finzione letteraria, queste figure esistevano davvero? E sul serio usavano kit per le loro “cacce”?
Indagini e incoerenze
I kit anti-vampiri spesso sono difficili da datare: di solito l’operazione è fatta grazie alle armi da fuoco che, almeno in parte degli esemplari, includono: le pistole antiche, infatti, possono essere facilmente datate sulla base dello stile, dei modelli, delle caratteristiche tecniche, di segni di vario tipo e del produttori. Ma il fatto che in un kit ci sia davvero un oggetto risalente all’epoca vittoriana dice poco sul periodo in cui potrebbe essere stato assemblato il kit completo: la pistola veramente vecchia, insomma, potrebbe essere l’elemento utilizzato per convincere che, sul serio, l’insieme dell’apparato risale davvero a un’epoca coeva a quella dell’arma. Come possiamo dunque sapere con certezza se queste “scatole da viaggio” sono oggetti d’antiquariato, usati un tempo per combattere contro i non-morti?
A questa domanda ha cercato di rispondere Jonathan Ferguson, curatore delle Royal Armouries di Leeds (Inghilterra), che possiedono un proprio kit ammazza-vampiri. Il primo problema per una certificazione di autenticità di questi oggetti è che spesso sono composti da parti risalenti a periodi diversi: pistole antiche si trovano a fianco di boccette con etichette invecchiate artificialmente, crocifissi ottocenteschi giacciono vicino a proiettili d’argento (in realtà, peltro) molto più recenti. È quanto accade nel kit del Mercer Museum (Doylestown, Pennsylvania), acquistato nel 1989, i cui singoli elementi sono stati fatti analizzare: il risultato è proprio un pastiche tra vecchio e nuovo.
Il secondo grosso problema della datazione dei kit sta nel fatto che il contenuto di queste scatole è più legato alle mitologie create da film e romanzi novecenteschi che non al folklore e alle reali credenze delle persone del Diciannovesimo secolo. Qualche esempio? Una pratica “difensiva” abbastanza diffusa all’epoca in molte parti d’Europa consisteva nel piazzare davanti a porte e finestre sacchetti pieni di semi o chicchi di riso. Si riteneva infatti che i vampiri fossero affetti da “aritmomania”: di fronte a oggetti del genere, avrebbero avuto la compulsione a contare il numero esatto dei semi all’interno, occupando così gran parte della nottata; non sarebbe dunque rimasto abbastanza tempo per far danni. Ebbene, nessun kit, per quanto abbiamo visto finora, contiene al suo interno sacchetti pieni di grani oppure chicchi di riso.
Per contro, i kit hanno un sapore “cinematografico”, ostentatorio: contengono grossi paletti appuntiti (nei casi “reali” di vampirismo di solito il cuore veniva bruciato, o al limite trafitto con spilli e aghi), terra di camposanto (di solito i “vampiri” erano persone comuni regolarmente sepolte in cimiteri, quindi non avrebbero dovuto avere particolare repulsione per il loro luogo di riposo), e, naturalmente, pistole e pallottole con proiettili d’argento. In realtà, questo tipo di pallottole è stata legata ai vampiri soltanto a partire dagli anni Venti; la prima menzione sembra risalire a un libro del 1928, The Vampire: His Kith and Kin, di Montague Summers, idea poi sviluppata successivamente dai film della casa di produzione Hammer.
Dunque, è improbabile che un viaggiatore del Diciannovesimo secolo pensasse davvero di utilizzare un kit di questo tipo per difendersi da eventuali “non-morti succhiasangue”. Ferguson, tuttavia, esplora un’ulteriore possibilità: questi kit potevano forse essere dei souvenir, comparsi in seguito al grande successo di opere come Il vampiro di John Polidori (1819) e Dracula di Bram Stoker (1897)? Dunque, potevano essere, per così dire, dei “veri falsi”, sorti a causa della fama dei vampiri, sia pure di quella letteraria? Anche in questo caso, purtroppo, mancano le prove. Il fatto che i kit siano tutti diversi sembra cozzare con questa ipotesi. Inoltre, oggetti del genere sarebbero stati sicuramente pubblicizzati sui giornali d’epoca, o se ne sarebbe dovuta trovare traccia nelle ricevute di acquisto di aste e musei. Invece, non compaiono mai negli annunci dell’epoca, né ve ne sono menzioni in altri documenti. I kit in possesso dei musei, invece, risultano tutti acquistati ben dopo gli anni Cinquanta del Novecento. Sulla carta stampata, la prima menzione di questi “oggetti d’antiquariato” sembra risalire a una rivista d’armi del 1989.
Prima degli anni ‘70-’80 questi kit, semplicemente, non esistono.
L’enigmatico professor Blomberg
Molti dei kit venduti negli ultimi anni hanno un’etichetta particolare, che li riconduce a un enigmatico “professor Blomberg”. All’interno di quello battuto all’asta da Sotheby’s nel 2004, ad esempio, nel testo inglese si legge:
Questa scatola contiene gli articoli ritenuti necessari per la protezione delle persone che viaggiano in alcuni paesi poco conosciuti dell’Europa orientale, dove la popolazione è afflitta da una particolare manifestazione del male nota come vampiri. Il professor Ernst Blomberg chiede rispettosamente che l’acquirente di questo kit studi attentamente il suo libro in modo che, qualora dovessero manifestarsi presenze malvagie, sia attrezzato per affrontarle in modo efficiente. Il professor Blomberg desidera porgere i suoi vivi ringraziamenti a quel noto armaiolo di Liegi, Nicholas Plomdeur, il cui aiuto nella fabbricazione degli articoli speciali, i proiettili d’argento ecc., è stato tra i più efficienti.
Alcuni kit contengono anche una fiala, etichettata come “Nuovo siero del Professor Blomberg”.
Ma, dunque, chi era questo presunto studioso? Siamo davvero di fronte a un autentico produttore di “veri” kit? Beh, i tentativi per identificarlo con una persona reale ci sono stati. Qualcuno ha cercato di legarlo a un certo Ernst Freiherr von Blomberg (1821-1903), professore di zoologia. Il problema è che non esistono tracce di un interesse di costui per la licantropia e per il vampirismo – come invece afferma la sua pagina di Wikipedia in lingua inglese. Su internet potrete trovare persino il frontespizio di un suo presunto trattato, Über Die Verwandlung im Prinzipus: Thiere, Maenschen und Ihren Gottlosen Vereinen, edizione del 1869, che in italiano dovrebbe suonare La trasformazione in linea di principio: uomini, animali, e le loro empie unioni. A ben vedere, però, si tratta di un falso, basato su un autentico trattato sulla licantropia, opera del medico tedesco Rudolf Leubuscher (1822-1861). Altre pagine web gli attribuiscono un The vampire pubblicato a Londra, ma anche in questo caso si tratta di un apocrifo, e la relativa immagine proviene da un trattato di teosofia. I presunti libri di Ernst Blomberg sul vampirismo non compaiono nemmeno nei cataloghi delle biblioteche afferenti a WorldCat, né su cataloghi nazionali librari tedeschi, inglesi e francesi, e nemmeno in progetti come GoogleBooks.
Nel 2005 un certo Michael de Winter, di Torquay, in Inghilterra, ha affermato su un forum di aver inventato lui stesso i “kit Blomberg”- e non certo nell’Ottocento, ma nel 1972.
La mia storia inizia intorno al 1970, quando lavoravo nell’industria tipografica. Il mio hobby era comprare, vendere e rimettere a nuovo armi antiche. Le vendevo principalmente al famoso mercato di Portobello, a Londra. La mia scorta abituale di pistole in vendita era soltanto di 10-20 alla volta, e questi oggetti tendevano ad essere di qualità superiore. Avevo un certo numero di clienti abituali che venivano ogni settimana per vedere se avevo nuovi arrivi. Uno dei miei clienti abituali voleva una bella pistola a pietra focaia, e per questo mi chiese di prendere in permuta una pistola tascabile belga a percussione. Accettai a malincuore e gli concessi uno sconto di 15 sterline sul prezzo della pietra focaia. Quindi, eccola qui, una pistola tascabile di scarsa qualità in condizioni mediocri! Cosa farne? Questa era la mia domanda. Avendo un’immaginazione estremamente fervida ed essendo un avido lettore, ho avuto l’ispirazione. Mi è venuto in mente che avrei potuto produrre qualcosa di unico, che sarebbe stata per me un’ottima pubblicità e avrebbe attirato la gente alla mia bancarella. Il kit per l’uccisione dei vampiri stava per comparire…
Altri, poi, avrebbero seguito de Winter, creando altri kit simili ai suoi, di pari passo con l’aumento dei prezzi. Va detto, comunque, che non ci sono prove oggettive di quanto affermato da Michael de Winter, se non la sua parola. Ciò detto, che i kit possano essere stati inventati in tempi recenti proprio per aumentare il valore commerciale delle pistole antiche non più funzionanti è una possibilità tutt’altro che remota.
Al museo della magia
Oggi, gli storici non hanno più molti dubbi sulla natura di questi oggetti. Potete acquistarne in rete a prezzi decisamente contenuti, oppure fabbricarvene uno su misura grazie a qualche video-tutorial.
Anche se alcuni siti etichettano questi oggetti come una vera e propria truffa, Jonathan Ferguson dà un giudizio bonario sui kit-ammazzavampiri. Per lui, certo, si tratta di messinscene, ma che rispondono a un’esigenza tutto sommato reale:
Sebbene avessi deciso di “smascherare” la loro stessa esistenza, mi sono reso conto che questi oggetti enigmatici trascendono la questione dell’autenticità. Fanno parte della cultura materiale del gotico; sono elementi delle nostre passioni letterarie e cinematografiche comuni, alle quali è stata data un’esistenza fisica. In mancanza di qualsiasi artefatto rimasto sul vampirismo, sia su quello del folklore sia su quello immaginario, i fan del gotico hanno colmato il vuoto creandone uno ad hoc.
Chi arriva al museo di Cherasco e legge sull’etichetta “borsa ammazzavampiri – fine ‘800”, potrebbe non rendersi conto di trovarsi davanti al primo, innocente artificio del proprio tour. Ma, tutto sommato, un reperto del genere non avrebbe potuto trovare spazio più adatto di questo delizioso luogo dedicato all’illusionismo – che è proprio l’arte di far sognare gli spettatori, rendendo tangibile ciò che non esiste.
Vi invitiamo a visitarlo, a farvi stupire dalle sue illusioni ottiche, ad ammirare le teche ricche di trucchi e di materiale di scena. Per quel che ci riguarda, vale il biglietto.
Foto in evidenza di rawdonfox da Wikimedia Commons, licenza CC BY 2.0.