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Alberi che camminano: parenti amazzonici degli Ent o realtà?

di Chiara Siracusa

Apparentemente gli Ent non esistono soltanto nella Terra di Mezzo di J. R. R. Tolkien. Sarebbe un bel colpo per Barbalbero. Finalmente troverebbe delle Entesse per perpetuare la propria specie.

Fantasy a parte, da parecchi anni, i visitatori delle foreste del Centro e Sud America ascoltano affascinati dalle guide locali le storie sulle walking palms (palme che camminano). Si tratta di piante appartenenti alla famiglia delle Arecaceae, genere Socratea.

Cinque sono le specie finora descritte: S. exorrhiza, S. hecatonandra, S. montana, S. rostrata e S. Salazarii, distribuite principalmente nelle foreste pluviali della Costa Rica, Nicaragua, Panama, Colombia, Venezuela e alcune zone del Brasile. La prima ad essere categorizzata fu S. exorrhiza, battezzata dal botanico tedesco del XIX secolo, Hermann Wendland. Il possesso di altissime radici esterne (da cui il nome, exorrhiza) è il carattere distintivo del genere. Particolarità che condivide con le cugine Iriartea (stessa famiglia, ma diverso genere), al momento rappresentata da una sola specie: Iriartea deltoidea. Il gigantesco tronco è ulteriormente ispessito dalle decine di specie di epifite (vegetali che vi vivono sopra a stretto contatto), la cui mappatura può servire anche a datare la pianta ospite. Il fusto sostiene una chioma che può  sfiorare i 35 metri, ed è spesso utilizzato per il legname, anche d’esportazione, mentre i suoi frutti sono in teoria edibili; un singolo seme pesa circa 35 grammi, il che rende l’idea della dimensione della pianta.

Alla radice del mito delle radici

La maggior parte delle piante possiede il sistema radicale sotto terra. Socratea dunque costituisce un’eccezione, con enormi radici, dal diametro fino a 16 cm, che possono sporgere dal terreno per un’altezza fino a 5 m. L’umana irrefrenabile tendenza ad antropomorfizzare gli altri esseri, viventi e non, ha concluso rapidamente che le palme potessero usarle come delle “gambe” per spostarsi. Il primo scienziato a sostenere questa ipotesi è stato John Bodley, nel 1980. L’antropologo, insieme al collega Foley C. Benson, ha pubblicato un articolo di ricerca sulla strana morfologia della cachapona (nome locale della pianta). Con tanto di schema illustrativo, i due hanno spiegato come la palma possa muoversi, grazie alla sua dozzina di imponenti radici/gambe, anche piuttosto lontano dal punto di germinazione, per inseguire luce solare o evitare gli ostacoli, alla ricerca di un terreno migliore per installarsi.

Il modo in cui la Socratea riesce a “muoversi”. Immagine di Smartse, rilasciata in licenza CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons. In origine in: Bodley, J.; Benson , F.C. (marzo 1980). “Stilt-Root Walking by an Iriateoid Palm in the Peruvian Amazon”. Biotropica, 12 (1): 67-71.

Più o meno dello stesso tenore sono i racconti delle guide della foresta pluviale dell’America latina, i quali parlano di movimenti fino a circa 20 metri l’anno.

È forse una questione di politica ambientale?

Non soltanto naturalisti del secolo scorso, ma anche ricercatori in anni più recenti hanno descritto il fenomeno. La BBC Travel ha raccolto la testimonianza di Peter Vrsansky, paleobiologo dell’Istituto di Scienze della Terra dell’Accademia Slovacca delle Scienze (Bratislava), il quale afferma di aver osservato il fenomeno in occasione di una breve permanenza nei pressi della riserva Sumaco Biosphere, in Ecuador. L’area è annoverata tra i patrimoni dell’UNESCO e si trova ad un giorno di viaggio (tra auto, barca e scarpinate sul fango) da Quito, capitale del Paese. Effettivamente – sostiene Vrsanky – l’albero può generare nuove radici in risposta all’erosione del suolo e al cambiamento della copertura fogliare e conseguente distribuzione di luce solare. Inclinandosi verso le nuove radici, perderà le vecchie nell’arco di un paio di anni.

Accanto alle opinioni “ufficiali” del paleobiologo e colleghi, e nonostante poche persone locali abbiano davvero vissuto nella foresta, tra gli abitanti della zona circolano voci riguardo a spiriti malvagi. Questi, insieme all’inquietante idea di alberi che camminano, potrebbero fungere da deterrente nei confronti della deforestazione di parti della foresta che non sono ancora tutelate. Viene da pensare che le storie sui walking trees forniscano loro una certa “vitalità”, diversa dal tipico carattere statico attribuito alle piante, come ultima difesa dalla deforestazione. Nonostante ciò, come afferma lo stesso Vrsanky, gli alberi non possono camminare velocemente abbastanza per fuggire dalle lame della corrente legislazione.

Il gruppo degli scettici

La maggior parte degli scienziati è scettica a riguardo. Nel 2005, il botanico specializzato in flora tropicale, Gerardo Avalos ha chiarito in uno studio che la Socratea non può muoversi molto lontano dal punto di germinazione. È vero che, in casi di grossi ostacoli che ne compromettano la stabilità, la pianta possa generare nuove radici per compensare la perdita di equilibrio, ma l’entità dello spostamento è molto più limitata di quella declamata. Una radice richiede molto tempo per svilupparsi. E la luce nella foresta cambia molto piú velocemente: alcuni spiragli si aprono, altri si chiudono. Non è possibile inseguirla con i ritmi di crescita delle parti della pianta.

Quando davvero le piante si muovono e si rigenerano

Le piante al di fuori delle leggende non sono dotate di movimento autonomo. È la prima nozione insegnata alle lezioni di biologia. Il mondo animale invece contempla per la maggior parte organismi provvisti di vari apparati per la locomozione; solo pochi sono sessili (ancorati al substrato anche solo per una parte del loro ciclo vitale, come gli cnidari). Ecco perché l’evoluzione dei vegetali ha escogitato innumerevoli strategie per la conservazione e la conquista di nuovi areali, come l’impollinazione da parte di insetti, la diffusione dei semi tramite il vento, le acque o animali grazie alla particolare morfologia di alcuni semi o agli odori/colori e trappole dei fiori. Quindi sì, in teoria ci sono parti della pianta che si spostano per la riproduzione e non soltanto in maniera passiva. Per esempio, i gameti (cellule sessuali) di alcune briofite (ma anche piante non acquatiche come alcune licofite, pteridofite, e spermatofite) sono dotati di strutture flagellari per il movimento attivo.

Inoltre, le piante possono rigenerarsi, se danneggiate. Stavolta, punto a favore delle piante, visto che, a parte qualche eccezione nel mondo degli anfibi e dei rettili, questa è una caratteristica che gli animali possono soltanto invidiare ai vegetali. L’organismo adulto può ricostruire una parte di tessuti e organi. Succede per lo più nelle piante inferiori, più piccole e flessibili grazie a dei meccanismi che oggi conosciamo meglio anche da un punto di vista molecolare. La pianta, infatti, a seguito di uno stress meccanico, ricostruisce il tessuto all’interno della radice o del germoglio grazie al meristema apicale, tessuto provvisto di cellule come le nostre staminali. Le cellule della sua parte prossimale proliferano e ricostruiscono la struttura, riconnettendo i vasi interrotti per rigenerare anche interi organi (Organogenesis de novo) o un nuovo organismo da appena una piccola parte di un organismo maturo. L’uomo da tempo immemorabile conosce e sfrutta il meccanismo in agricoltura.

Misteri irrisolti

Spiegazioni alternative al mistero delle radici esterne delle Socratea esistono da tempo. Negli anni ´60, E.J.H. Corner, ha suggerito che fossero necessarie per contrastare gli allagamenti, ma sono assenti ulteriori prove. D’altronde il nome in inglese di queste radici è “stilt roots”, stessa parola che si usa per le palafitte “stilt houses”. Potrebbero essere utili, come suggeriscono altri, per permettere alle palme delle piú fitte foreste pluviali di stabilizzarsi e sfruttare meglio le condizioni di irraggiamento solare. Un’alternativa, insomma, all’accrescimento in diametro, che in termini di spazio è complicato nelle più fitte foreste e soprattutto permette alla pianta di risparmiare negli investimenti in biomassa per radici sotterranee.

Le stravaganti lunghe radici esterne rimangono una domanda senza risposta. L’idea di un albero che passeggia è però ancora appannaggio del fantastico e sebbene a Tolkien fosse tutto lecito nella creazione della Terra di Mezzo, il suo era un tentativo volto alla sensibilizzazione nei confronti della natura. Sensibilità che possiamo manifestare anche senza attribuire gambe ai vegetali.

Immagine in evidenza: Jimfbleak at the English-language Wikipedia, rilasciata in licenza CC BY-SA 3.0>, via Wikimedia Commons