Giandujotto scettico

Quando l’ebreo errante vagava in Piemonte

Giandujotto scettico n. 157, di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

Maledetto da Dio, condannato a vagare fino al giorno del giudizio, l’Ebreo errante ha girato il mondo intero, Piemonte compreso… Oggi vi raccontiamo alcuni degli “avvistamenti” di questo personaggio nella nostra regione. Ma prima, eccovi qualche dettaglio sulla sua leggenda.

C’era una volta…

L’Ebreo errante fa parte di quella schiera di personaggi del folklore europeo, che, per le loro colpe o i loro meriti, sarebbero sopravvissuti alla morte, e dunque attenderebbero nel mondo il giorno del Giudizio. Ne abbiamo un ricco repertorio: Caino, l’Olandese volante, l’apostolo Giovanni, i profeti Elia e Enoch, Ponzio Pilato, al-Khiḍr, Samiri, il conte di Saint Germain… 

La leggenda dell’Ebreo errante prende vita, con tutta probabilità, nel tardo Medioevo, e se ne contano innumerevoli varianti, così come molteplici sono i nomi che gli vengono attribuiti. La versione più nota della leggenda è quella che ricaviamo dalla Gazzetta di Mondovì del 30 gennaio 1902:

L’Ebreo errante, secondo la tradizione, chiamava Ahasvero, faceva il calzolaio e abitava Gerusalemme all’epoca della Morte di Gesù. Il giorno della crocifissione sapendo che il corteo ferale sarebbe passato dinanzi casa sua, sortì fuori per vederlo. Gesù si arrestò un momento proprio presso di lui gli e chiese il permesso di riposarsi alquanto sulla soglia della sua porta. Ahasvero era di coloro che consideravano il Messia come un impostore. La collera lo prese; poi, come egli ha confessato più tardi ad un medico tedesco il quale disse di averlo conosciuto ad Amburgo nel 1547, fu indotto anche a così fare dal desiderio di farsi applaudire dalla plebe. Egli gridò brutalmente a Gesù di seguire la sua via: Gesù lo guardò severamente e gli disse: “Io andrò, ma tu dovrai camminare senza posa fino al giorno del giudizio finale. Ahasvero pose precipitosamente a terra un bimbo che teneva fra le braccia, e sull’attimo partì. Da allora egli cammina senza mai fermarsi.

In altre versioni, l’Ebreo errante si chiamava invece Malco: era il servo di Caifa cui l’apostolo Pietro tagliò un orecchio nel Giardino degli Ulivi, ricordato da tutti e quattro i Vangeli ma menzionato per nome soltanto da quello di Giovanni. Pur essendo stato risanato da Gesù, lo avrebbe poi schiaffeggiato, mentre questo si trovava di fronte al Sinedrio. Per questo atto di irriconoscenza sarebbe stato condannato a vagare fino al giorno del Giudizio.

L’Ebreo errante era chiamato anche “l’uomo dei cinque soldi”: secondo la leggenda, Dio gli avrebbe concesso di poter avere sempre in tasca cinque soldi. Non poteva spenderne di più, ma appena li aveva usati, questi si riformavano miracolosamente nella sua bisaccia. Altri nomi usati in Italia erano Suifràn (probabile corruzione del francese Juif errant), Giovanni Buttadeo, Isacco Lakedem, Cartafilo, e in Piemonte Giampè Tadè (Gian Pietro Taddeo). 

La leggenda era talmente viva che, ogni tanto, si finiva per avvistare l’ebreo errante un po’ ovunque, magari mentre faceva compere in qualche negozio o mentre camminava per la strada. Nel 1575 ad esempio fu visto a Madrid; nel 1599 a Danzica e Vienna; nel 1601 fu avvistato a Lubecca dove, circondato da bambini, spiegava loro i dettagli della Passione. E così via… Ecco invece alcuni dei suoi “passaggi” in Piemonte, collocati tra inizio Settecento e fine Ottocento.

L’ebreo errante alla rocca di Verrua

La prima visita piemontese di cui abbiamo trovato notizia ha per sede la rocca di Verrua, la fortezza che si trova oggi al confine tra la provincia di Vercelli e quella di Torino. È il 1704, e infuria la guerra di Successione spagnola. Le truppe francesi e iberiche cingono d’assedio il baluardo, difeso dalle truppe del Duca di Savoia; suo alleato è il 51° reggimento di fanteria ungherese, agli ordini del tenente colonnello Francesco Gyulai (1674-1728), accampato presso Crescentino. Ed è proprio dal diario di quest’ultimo, scritto in ungherese, che si apprende di una visita dell’ebreo errante, il 24 di giugno del 1704:

Arrivò a Crescentino un certo ebreo, riguardo al quale c’erano voci che dicevano essere quell’ebreo costretto da Gesù Cristo a vagabondare in eterno. Avendo già sentito più volte quella leggenda, ero curioso di parlare con lui; tuttavia il giorno seguente egli lasciò il campo, per cui non potei proprio parlargli. In seguito non ho più avuto sue notizie, né su chi veramente fosse, né su dove fosse diretto”.

Secondo il rabbino e studioso di cultura ebraica Sándor Scheiber (1913-1985), che trascrisse il diario nel 1956, si tratta della prima menzione dell’ebreo errante in lingua ungherese.

Da Alba ad Asti

Un altro “passaggio” dell’ebreo errante è quello descritto dallo storico cuneese Federico Eusebio (1852-1913) sulla rivista albese Alba Pompeia (anno I, maggio 1908, pp. 32-36, L’Ebreo errante di passaggio nell’Albese). Tra una digressione sulla leggenda e un’altra sui nomi piemontesi del nostro personaggio, Eusebio raccontava:

Mio padre, che nato nel 1817 cominciò a vivere in Alba verso il 1830, raccontava qualche volta fra i ricordi di que’ primi tempi che un giorno sentì dire in crocchio da parecchi negozianti di via maestra (egli li designava per loro nomi e nomignoli) come fosse entrato da loro un uomo di strano aspetto, bislungo, allampanato, dai capelli e dalla barba prolissi, dall’abito patito e tagliato tutt’altro che sull’ultimo figurino. Dappertutto aveva comprato per pochi soldi, con parole umili e ossequiose; e, quel che più aveva dato nell’occhio, mentre aspettava d’esser servito, non faceva che trotterellare su e giù o torno a torno secondo l’ampiezza delle botteghe, come se avesse il male della tarantola…

Quand’egli da piazza del Duomo svoltò per via Tanaro, e l’ultimo bottegaio da lui visitato s’affrettava a comunicare ai vicini le sue impressioni, uno degli uditori aveva d’un tratto esclamato: Ma quello è l’uomo dai cinque soldi! Non può mancare: è lui!… Voglio tentar di vederlo! – E via di furia per via Tanaro; e dietro lui altri tre, cinque altri, dieci altri, con proposito di raggiungere il raro personaggio…

Non ci riuscirono, chè l’uomo era andato rapido a meraviglia; ma lo videro ancora passare il Tanaro a piedi asciutti e prender poi la via verso Asti…

In un’altra occasione, Eusebio racconta di aver sentito il padre conversare con uno zio sul tema, e di aver intercettato tra loro la frase J’è pasaie Suifran (è passato l’ebreo errante).

Un passaggio per Capriata d’Orba

All’articolo di Eusebio fece seguito una “risposta” uscita sullo stesso giornale due anni dopo, a firma dello storico locale Bartolomeo Campora (1841-1921) (Alba Pompeia, anno III, aprile 1910, pp 49-50, L’uomo volante di passaggio a Capriata sul principio del sec. XIX). Anche lui riferiva di aver sentito parlare in famiglia di un passaggio dell’ebreo errante a Capriata d’Orba, nell’Alessandrino:

Mio padre, morto di 59 anni nel 1879, raccontava che suo papà, trapassato nel 1839, narrava esser capitato a Capriata nel suo esercizio (albergo, spaccio di commestibili, ecc.) presso la Porta della Valle, un viandante scarno, alto, di buone maniere, con barba e capelli lunghi, vestito d’abito logoro e strano. 

Quell’uomo non stava mai fermo, camminava sempre, era irrequieto; entrò con gran premura nel negozio, unico in Capriata; si rifocillò colla spesa di non più di cinque soldi: uscì correndo; rientrò poco stante, acquistò qualche cosa, e frettoloso se ne andò; ritornò così ed uscì parecchie volte, spendendo mai oltre cinque soldi ogni volta. 

Fu molto osservato: ebbe il nome di uomo volante; ma non gli si diede importanza. 

Fatte le sue piccole compre, per togliersi dalla pubblica curiosità, di volo prese la Porta della Valle e giù per il molino all’Orba, che passò senza bagnarsi, perdendosi poi nelle macchie, che allora coprivano la sponda sinistra del fiume, verso Acqui ed Alessandria. 

E ancora, a Mondovì (Cuneo) e a Torino

Il diciannovesimo secolo doveva comunque essere particolarmente fecondo per la nostra storia. Il 28 luglio 1888, in un articolo anonimo – prima di ripetere, sia pure in toni increduli, la leggenda di Ahasvero – La Gazzetta di Mondovì spiegava che in città non si parlava d’altro che di questo

Giampetadè ossia l’Ebreo errante – La sapete la grande notizia? In questi giorni si è fatto vedere per Mondovì nulla meno che il leggendario ebreo errante, il famigerato Ahasvero, di cui le nonne sogliono raccontare, nelle lunghe notti invernali, la vita travagliata e stanca. Per me non credo alla fiaba, di cui pure tanto si parla; non credo cioè nè all’esistenza dell’ebreo errante, nè che sia stato di passaggio nella nostra città. 

Il giornale non rinunciava però ai toni moraleggianti. Senza essere apertamente antiebraico, il pezzo si chiudeva con una lettura intrinsecamente polemica: 

Forse [questa storia]non è altro che un’illustrazione fantastica della massima vera, che i rimorsi della coscienza accompagnano l’uomo peccatore per tutta la sua esistenza. 

Infine, il 27 luglio del 1904, L’Unione Monregalese di Mondovì, nella rubrichetta di curiosità varie “Pillole e bomboni”, raccontava del recente transito a Torino di “un mattoide” tedesco che si spostava scalzo, con addosso un manto bianco e che si proclamava nuovo Messia. Fermato dai Carabinieri, fu lasciato proseguire come novello ebreo errante. Insomma, l’ebreo errante poteva essere anche sinonimo di tipo strambo, di marginale e, in sostanza, di estraneità dal consesso civile.  

L’ebreo errante annuncia il futuro?

E, sempre sulla stessa falsariga dell’ebreo errante come outsider e individuo “strano”, nel vastissimo panorama estero della nostra leggenda c’è una versione che ci è parsa particolarmente interessante, perché si distacca dalle sue linee tradizionali per proiettarsi verso la modernità. La conosciamo attraverso il settimanale astigiano Il Monferrato del 22 giugno 1878, che però lo aveva ripreso da un altro periodico piemontese, La Nuova Torino. 

In toni stupiti per il fatto che in pieno Ottocento, e in una grande capitale come Parigi, si raccontassero ancora quelle storie, si riferiva che presso i padiglioni dell’Esposizione universale che si era aperta a maggio si era fatto vedere “un tale alto di persona, con lunga barba bianca, vestito in foggia alquanto bizzarra”. Bene, a quanto pare questo strano individuo si presentava… con il nome del protagonista dell’Ebreo errante di Sue, cioè Rennepont! 

Racconta di essere in grado di muoversi di continuo, è poliglotta e appare modernissimo: non si stupisce di nessuna fra le grandi innovazioni tecniche presenti all’Esposizione, e “in tono profetico dice che l’umanità è solo al principio della via che deve percorrere nella scoperta delle meravigliose leggi della natura”. La cosa ancora più curiosa è che la sua odissea di giramondo non ha motivi religiosi: è legata alla via che l’umanità deve compiere nel progresso della scienza e della conoscenza. Il Monferrato si chiedeva se fosse un pazzo, o un mistificatore: molti fra quelli che lo avevano incontrato lo ritenevano un tipo originale, forse un inglese, visto che parlava bene quella lingua. 

Che questa storia avesse un qualche fondamento fattuale o che fosse interamente un’invenzione giornalistica, una cosa traspare dalle sue righe: la capacità di una leggenda tradizionale, dal contenuto religioso, di trasformarsi e di essere ambientata nel cuore della città simbolo del progresso e della tecnica, Parigi. L’ebreo errante non si sposta più senza posa a causa del suo comportamento sotto la croce. L’antisemitismo sparisce, e il protagonista della storia del 1878 è quasi l’immagine di un nuovo individuo incapace di trovar riposo. Non perché un Dio lo sospinge senza posa nella disperazione, ma perché cerca il completamento di sé stesso nel progresso scientifico. 

A ben vedere, una bella – e ingenua – sintesi dello spirito del tempo: ottimismo, positivismo, fiducia nell’umanità. Il Ventesimo secolo si sarebbe incaricato di smentirlo.

L’ebreo errante tra dicerie e paure

Probabilmente la leggenda dell’ebreo errante visse esistenze diverse fra loro. In certi casi si trattò di voci, di dicerie – nel senso odierno del termine, di leggende metropolitane che raccontavano un motivo antisemita legato alla Passione del Cristo. Il caso di Mondovì potrebbe, forse, essere inquadrato in questo modo.

In altre occasioni, tuttavia, sembra possibile che queste storie abbiano avuto origine da “avvistamenti” reali. Gli avvistamenti di Alba e di Capriata – pur essendo racconti di seconda o terza mano – fanno pensare che ogni tanto qualche viaggiatore un po’ trasandato o eccessivamente irrequieto venisse additato dalla folla come ebreo errante (folla che, per questo, non esitava a inseguirlo). La sensibilità verso i problemi psichiatrici o anche semplici neurodivergenze era differente da quella odierna. Un comportamento insolito e iperattivo poteva allora essere letto alla luce di ciò che si conosceva – cioè, in questo caso, il mito dell’ebreo errante. Che evidentemente era ancora ben presente nell’immaginario del Diciannovesimo secolo.

D’altra parte, le sue vicende erano entrate nella cultura popolare ottocentesca grazie ai feuilleton. Una parte dell’interesse moderno per l’ebreo errante si deve all’enorme successo commerciale del romanzo che gli dedicò lo scrittore francese Eugène Sue, specialista in storie di botole, nascondigli segreti e uomini misteriosi dal cappuccio nero. Stiamo parlando di Le juif errant, uscito a puntate fra il 1844 e il 1845 e tradotto in tutta Europa. La prima edizione italiana fu quasi immediata rispetto a quelle originali. Nel romanzo di Sue, tra continui colpi di scena e toni melodrammatici, si assiste però a un rovesciamento dell’antisemitismo tradizionale che spesso segna la nostra storia (si veda, al confronto, questa ballata il cui testo comparve su La Gazzetta del Popolo nel 1852). I protagonisti negativi del romanzo di Sue sono i gesuiti, che cercano in tutti i modi di impadronirsi dell’eredità ricchissima dell’ebreo errante, destinata ai suoi successori legittimi – simbolo degli oppressi e dei reietti dell’epoca moderna, in primo luogo degli operai. 

L’ebreo errante, un mestiere del passato

In altri casi, come quello di Crescentino, potrebbe esserci dietro un vero ebreo errante. Sembra infatti accertato che, nei secoli passati, ci fossero persone che giravano davvero l’Europa presentandosi in questo modo. 

Un’evidenza di questo fenomeno è contenuta nello studio Pérégrinations espagnoles du Juif Errant di Marcel Bataillon, che si è concentrato sui processi intentati dai Tribunali della Santa Inquisizione contro sedicenti “Buttadio” (Bulletin hispanique, 1941, poi ripreso anche in L’Ebreo Errante dalle origini al XVI secolo, di Simonetta Falchi, Annali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Sassari, 2007).

Nel Sedicesimo secolo circolavano dunque per l’Europa sedicenti “ebrei erranti”, che raccontavano di essere in pellegrinaggio e di volersi recare presso qualche santuario (gettonatissimo, vista la popolarità, quello di Santiago di Compostela). Il caso più celebre è quello di un certo Antonio Ruiz, condannato dall’Inquisizione il 13 marzo 1547 per essersi spacciato per “Juan de Espera en Dios” (come era chiamato in Spagna il protagonista della nostra leggenda). 

Ruiz, che batteva le campagne in compagnia di un complice, raccontava a tutti di essere stato un calzolaio ai tempi della Passione di Cristo. Aveva la sua bottega sul Calvario e, quando vide passare Gesù che trasportava la croce, gli avrebbe agitato contro una forma di legno per scarpe, gridando: “Vai, vai, ingannatore, figlio di un’ingannatrice”. Gesù, piccato, avrebbe risposto: “Io andrò, e tu rimarrai qui fino al Giorno del Giudizio”. Per corroborare questo racconto, Ruiz mostrava ai contadini un segno che gli era rimasto impresso sulla mano fin da quei tempi: la forma di una scarpa con una piccola croce – in realtà, un segno che si era fatto grazie a un timbro di legno, come quelli che ancora oggi sono usati in Spagna per decorare il pane.

In questo modo, Ruiz riusciva a farsi dare soldi da contadini, a cui prometteva di far dire una messa per le loro anime una volta arrivato a Santiago di Compostela. Andò avanti così per anni. A chi gli rispondeva di aver già incontrato l’ebreo errante, e che appariva più giovane della volta precedente, Ruiz aveva la risposta pronta: diceva di essere stato in Terrasanta, nel corso delle sue peregrinazioni. Lì, immergendosi nelle acque del Giordano, ringiovaniva fino all’età del suo primo incontro con Gesù. 

La condanna dell’Inquisizione a cento frustate mise fine a quella lucrosa attività imprenditoriale. Forse, se la leggenda dell’ebreo errante si diffuse in tutta Europa nel corso dei secoli, lo si deve anche a questi “impersonatori”. Che, non avendo di meglio per sbarcare il lunario, pensavano bene di presentarsi come ebrei erranti e di raccontarne la leggenda in prima persona, alimentando storie e dicerie sul personaggio.

Immagine in evidenza: L’ebreo errante, olio su tela di Hans Andersen Brendekilde (1857-1942), da Wikimedia Commons, pubblico dominio. Foto di Villy Fink Isaksen,