Vedove nere e barbablù: i casi di Belle Gunness e Cesare Serviatti
Esiste una categoria di serial killer estremamente subdola e pericolosa, tipicamente associata al sesso femminile, ma che vanta anche un buon numero di uomini. Le vedove nere sono persone che uccidono sistematicamente mariti, mogli, amanti e membri della famiglia in generale, alternando a volte delitti ai danni dei figli o di altri parenti e amici di famiglia. Questi criminali fanno quindi eccezione alla presunta “regola” per cui il seriale ucciderebbe solo persone sconosciute, senza alcun legame diretto tra vittima e carnefice.
Tale caratteristica è più comune tra le donne seriali in generale, ad esempio le madri che uccidono i loro figli o gli “angeli della morte”, in prevalenza donne medico o infermiere, che scelgono le loro vittime tra i pazienti che hanno in cura. Nel caso l’assassino sia un uomo, viene spesso definito “barbablù”, come il crudele protagonista della fiaba del XVII scritta da Perrault, ispirata probabilmente a fatti reali. In alcuni casi è prevalente il movente a sfondo sessuale, di dominio, possesso e controllo sull’altro, come una mantide religiosa. In altri casi, è più evidente un movente legato al tornaconto economico, ad esempio quando i coniugi vengono eliminati per incassare denaro, un’eredità o un’assicurazione sulla vita, come nel caso della statunitense Louise Peete o di Henri Landru, il cui cognome è diventato proverbiale per indicare l’assassino di donne per antonomasia. In molti casi c’è una forte componente di rabbia e vendetta, come quando i compagni vengono uccisi mentre sono in procinto di abbandonare la vedova nera. [1] Questa tipologia di seriale ha di solito un buon livello di organizzazione e ottime capacità manipolative: riesce a ottenere la piena fiducia della vittima e gli inquirenti la reputano spesso insospettabile, ha fama di persona buona, gentile, affascinante e seduttiva anche se non è fisicamente attraente.
Di solito le vedove nere hanno una lunga carriera criminale e iniziano a uccidere piuttosto tardi, oltre i trent’anni, di solito dopo il primo matrimonio. Sono tendenzialmente sedentarie, colpiscono nella loro abitazione, data la natura “familiare” dei loro crimini. Riescono a prendersi pause più lunghe tra un delitto e l’altro, ma il fatto di avere un legame così stretto con le vittime e spesso un guadagno economico porta infine i sospetti su di loro. Se si tratta di un’avvelenatrice, capita che dopo la scoperta di un omicidio ci sia la riesumazione di possibili vittime precedenti con conseguente ritrovamento di tracce di veleno nei corpi. [2] Un caso celebre, anche perché ancora in gran parte avvolto nel mistero, è quello di Belle Gunness.
Belle Gunness, l’imprendibile
Belle Gunness nasce l’11 novembre del 1859 a Selbu, in Norvegia, col nome di Brynhild Paulsdatter Størset. La sua è una famiglia numerosa, molto povera, che vive grazie a una fattoria di proprietà, in cui Brynhild inizia a lavorare fin da piccola, mai spaventata dalla fatica. Nel 1881 emigra negli Stati Uniti e americanizza il suo nome in Belle. Si sposa una prima volta con Mads Sorenson, anch’egli di origine norvegese, con cui ha diversi figli. Due di essi, Caroline e Axel, muoiono presumibilmente di colite, mentre il marito muore improvvisamente nel 1900, con sintomi simili a quelli dati dalla stricnina, ma il medico che certifica il decesso tiene conto dei problemi di cuore di Mads e conferma la morte naturale. Le due assicurazioni sulla vita di Sorenson vengono prontamente incassate da Belle. Anche in altre situazioni Belle guadagna molto dalle polizze assicurative, grazie a provvidenziali incendi dolosi che colpiscono la sua casa o la sua attività commerciale. Si stabilisce con le figlie superstiti a La Porte, in Indiana, comprando una fattoria con i risarcimenti dell’assicurazione per l’ennesimo incendio doloso. Cerca di migliorare la sua situazione economica e mostra una vera e propria ossessione per il denaro, cosa in seguito confermata dalla sorella Nellie, che ha affermato:
“Mia sorella andava matta per i soldi […] Non ha mai desiderato un uomo per se stesso, ma per il denaro e le comodità che poteva offrirle.” [3]
Si risposa nel 1902 con Peter Gunness, con cui ha un maschietto, Philip. Peter muore pochi mesi dopo il matrimonio per uno strano incidente domestico: la moglie racconta di un pesante attrezzo da cucina che gli sarebbe caduto in testa da uno scaffale, versione confermata da una delle figlie, Jennie. Anche in questo caso, c’è un risarcimento da parte dell’assicurazione. Poco tempo dopo Jennie, che aveva confidato a un amico che la madre aveva ucciso il padre, scompare. Belle racconta di averla mandata in un collegio prestigioso.
Da questo momento la donna cerca aspiranti mariti o amanti tramite annunci matrimoniali, in cui mette in evidenza la proprietà della fattoria e il desiderio di sistemarsi. Non è particolarmente attraente, ha un aspetto mascolino e modi rozzi, ma ha molto senso pratico e sa essere molto seduttiva e convincente, doti indispensabili per una vedova nera. Alla fattoria si presentano diversi uomini, molti dei quali scompaiono dopo pochi giorni, mentre altri fuggono poche ore dopo, spaventati dalle stranezze della donna.
Questo via vai prosegue fino al 1908, anno in cui Belle commette un errore: ha sempre scelto uomini privi di legami familiari, mentre Andrew Helgelien, la sua ultima conquista, ha un fratello, Asle, che inizia a indagare dopo la scomparsa di Andrew. Asle scrive a Belle, la quale afferma di non sapere più nulla dell’uomo, che aveva lasciato la fattoria. Helgelien non le crede e denuncia la scomparsa del fratello, chiedendo di indagare sulla Gunness. Appena dopo la denuncia, la notte del 28 aprile, le fiamme divorano la fattoria. Il mattino dopo, vengono ritrovati quelli che sono identificati come i corpi carbonizzati della donna e dei suoi figli. Inizialmente viene indagato Ray Lamphere, un bracciante ed ex amante di Belle. Durante la ricerca di prove, vengono poi fatti scavi nel terreno circostante la fattoria ed emerge un orrore inimmaginabile: cadaveri su cadaveri, avvolti in sacchi e cosparsi di soda caustica. Non c’è tuttora certezza del numero preciso di corpi rinvenuti, che oscilla tra i dieci e i ventotto; sono stati identificati solo quelli di alcuni spasimanti della Gunness, compreso Andrew Helgelien, di diversi braccianti che hanno lavorato alla fattoria e della figlia Jennie.
Inoltre, durante gli scavi si nota che non ci sono tracce della testa del presunto corpo di Belle, nonostante ci fosse la dentiera della Gunness accanto al cadavere. Inoltre, la donna carbonizzata è molto più minuta di Belle e presenta segni di avvelenamento da stricnina. Il cadavere quindi non appartiene a Belle Gunness, che il bracciante Lamphere ritiene troppo furba per morire in un incendio. Non è mai stato possibile identificare con certezza quella donna; nonostante ciò, il medico legale ha dichiarato che Belle fosse morta quella notte di aprile, uccisa da mano ignota. Lamphere, condannato solo per incendio doloso, fino alla morte ha raccontato della natura malvagia di Belle, delle decine di vittime che avrebbe fatto e della fuga dopo l’incendio, progettata accuratamente.
Negli anni successivi, sono numerosi i presunti avvistamenti di Belle in lungo e in largo per gli Stati Uniti: viene ad esempio identificata con una maîtresse dell’Ohio, che un investigatore avvicina chiamandola “Belle”, ottenendo da lei una furiosa reazione. A Los Angeles, nel 1931, viene notata una somiglianza tra la Gunness e una ricca vedova che aveva ucciso il marito. In diversi ospedali e stazioni viene segnalata la sua presenza, ma è sempre impossibile catturarla o identificarla. Una delle testimonianze più interessanti risale a poco dopo la presunta fuga dalla fattoria e riguarda Almetta Hay, cara amica di Belle: presso la sua abitazione è stata vista una donna molto simile alla Gunness bere un caffè sotto il portico. Dopo la morte della Hay, nel 1916, viene ritrovato un teschio femminile tra i suoi effetti personali, nascosto in un materasso, ma non viene mai fatto alcun confronto con il corpo della donna carbonizzata rimasta senza nome. È noto quanto sia difficile identificare con certezza una persona, in particolare a distanza di anni e in un’epoca in cui la semplice circolazione di una fotografia è piuttosto difficoltosa; per cui gli “avvistamenti” non hanno nessuna validità effettiva. Il mistero del destino di Belle Gunness, per ora, rimane irrisolto e le sue vittime non hanno avuto giustizia. [4]
Cesare Serviatti, il barbablù di Roma
Cesare Serviatti nasce vicino a Roma probabilmente nel 1875 ed è di umili origini. Non si sa molto della sua infanzia e giovinezza; lui stesso ha raccontato di sé di essere stato abbandonato e di non aver mai conosciuto i suoi genitori naturali. Cesare cresce presso una famiglia contadina molto povera e sembra che mostrasse diverse stranezze fin da bambino, ad esempio pare che volesse fare il boia da grande. [5]
A causa delle difficoltà economiche si barcamena tra diversi lavori, tra cui il macellaio e l’infermiere presso il Policlinico di Roma, professioni che gli hanno consentito di acquisire nozioni in merito al depezzamento dei corpi e all’anatomia umana e animale. Attraversa lunghi periodi di disoccupazione e cerca di emergere dalla miseria con ogni mezzo. Probabilmente, sviluppa un profondo odio per le donne, oltre che un forte desiderio di riscatto sociale, entrambi elementi molto chiari nei suoi crimini. Colleziona piccoli precedenti per furto, prende l’abitudine di spacciarsi per nobile, sviluppa una grande abilità nell’avvicinare le donne e ottenere la loro fiducia, ha un aspetto ritenuto attraente e modi gentili.
Serviatti inizia presumibilmente ad uccidere oltre i cinquant’anni, molto tardi rispetto all’età media del primo delitto dei serial killer, che normalmente è tra i venticinque e i trent’anni. La sua prima vittima accertata è Pasqua Bartolini Tiraboschi, una donna benestante che conosce tramite un annuncio matrimoniale, nel 1928. L’uomo la incontra a La Spezia, città in cui gestisce una pensione. La donna viene uccisa nel sonno, probabilmente strangolata, il suo cadavere viene smembrato e depezzato. I resti della Tiraboschi vengono occultati in un pozzo nero. [6] Il secondo delitto certo si svolge invece a Roma, due anni dopo.
Bice Margarucci ha lavorato negli Stati Uniti e ha accumulato una discreta fortuna, che attrae l’attenzione di Serviatti. La donna viene anch’essa strangolata e depezzata con l’uso di strumenti da macellaio e l’aiuto di segatura per assorbire il sangue. I resti smembrati vengono nascosti in tre sacchi e gettati nel Tevere. Vengono ritrovati pochi giorni dopo. Nel 1932, sul Messaggero viene pubblicato un annuncio matrimoniale che colpisce Paolina Gorietti:
“Pensionato, 450 mensile, conoscerebbe signorina con mezzi preferibilmente conoscenza scopo matrimonio”.
Paolina risponde e conosce così Serviatti, che riesce a sedurla al punto di arrivare molto vicino alle nozze, cosa che lei racconta felice alle amiche, parlando di un uomo distinto e affabile che le ha fatto perdere la testa. Cesare però la uccide come le altre, smembra il corpo e lo nasconde in due valigie che fa arrivare rispettivamente alla stazione di Napoli e di Roma. La scoperta del cadavere sconvolge l’Italia e la scomparsa di Paolina mette in allarme una sua amica, che sapeva il nome dell’uomo con cui la Gorietti stava per convolare a nozze. In questo modo, le indagini si concentrano su Serviatti, che viene arrestato il 9 dicembre 1932. L’uomo inizialmente si dichiara innocente, ma infine confessa, con straordinaria calma e freddezza, i suoi delitti.
Non fa mancare particolari macabri, ad esempio la sua necrofilia: secondo quanto dichiara, ha violentato tutte le sue vittime dopo averle uccise e il depezzamento non ha avuto puramente il fine di rendere più facile l’occultamento dei resti, ma è stato fatto con un profondo istinto sadico, per quanto post mortem. Il desiderio di Serviatti è annientare le sue vittime, disumanizzarle, distruggendo i loro corpi e gettandoli via come fossero spazzatura. Questi elementi rendono evidente come il movente non fosse meramente economico, ma avesse in realtà radici di profonda rabbia, odio e disprezzo per le donne. Anche la soddisfazione delle sue parafilie sui cadaveri ha ben poco a che fare con il denaro. [7]
Durante il processo, Cesare afferma di aver ucciso sette donne, senza rivelare il nome delle quattro ignote, ma non emergono prove di altri delitti oltre alle vittime accertate. È un criminale freddo e organizzato, come la “collega” norvegese Belle Gunness. Viene soprannominato “Il Landru del Tevere”, per via delle forti somiglianze della sua vittimologia con quella del barbablù parigino Henri Desiré Landru, ghigliottinato nel 1922.
Il reo confesso non mostra il minimo rimorso durante le udienze, racconta lucidamente i sistemi per circuire le donne e le tecniche di smembramento utilizzate. Solo in alcune occasioni ha affermato di aver ucciso in uno stato di semincoscienza: “Ho agito in trance, spinto da una forza misteriosa”. La spiegazione non risulta convincente ai medici, che lo dichiarano sano di mente. Cesare Serviatti, il “Landru del Tevere”, viene condannato a morte per fucilazione. La sua domanda di grazia al re non è accolta e la sentenza viene eseguita il 13 ottobre 1933. [8]
Cosa hanno in comune?
Le vedove nere e i barbablù sono spesso assassini ben organizzati, con buone abilità sociali. I casi di Belle Gunness e Cesare Serviatti mostrano un uso perverso degli annunci matrimoniali al fine di adescare le vittime in modo seduttivo, senza necessità di violenza. In questo modo, gli assassini possono rivelare la loro vera natura solo quando i malcapitati si sentono al sicuro, privi di difese, proprio come fa un ragno con la propria preda. La medesima tecnica, sia tramite annunci personali che di lavoro, è stata usata da diversi altri seriali come Bela Kiss, Harvey Carignan e Harvey Glatman. Un altro elemento in comune tra la Gunness e Serviatti è il profondo desiderio di riscatto sociale: ottenere finalmente una posizione economica invidiabile dopo anni di miseria e di privazioni, come sarà per la Saponificatrice di Correggio Leonarda Cianciulli alla fine degli anni Trenta. Pur di emergere dalla povertà, questi assassini non hanno esitato a usare vite umane, approfittando di persone che si fidavano ciecamente di loro.
Note
[1] M. Newton, Dizionario dei serial killer, Newton Compton, Roma 2005.
[2] R. De Luca, Serial killer, Newton Compton, Roma 2021.
[3] C. Tani, Assassine, Mondadori, Milano 1998, pp. 197-205.
[4] M. Newton, Dizionario dei serial killer, Newton Compton, Roma 2005.
[5] A. Accorsi, M. Centini, I serial killer, Newton Compton, Roma 2008, 48-52.
[6] V. Mastronardi, R. De Luca, I Serial killer, Newton Compton, Roma 2006.
[7] M. Newton, Dizionario dei serial killer, Newton Compton, Roma 2005.
[8] A. Accorsi, M. Centini, I serial killer, Newton Compton, Roma 2008, 48-52.