Approfondimenti

Ricerca scientifica e giornalismo, un rapporto spesso problematico

di Chiara Siracusa

Secondo un’inchiesta della Scuola di giornalismo della Northeastern University di Boston, condotta nel 2016 su un migliaio di giornalisti, la metà dei professionisti dell’informazione attinge spesso agli articoli scientifici per fornire una cornice e un maggiore spessore alle notizie di cui scrivono. Tuttavia, il modo in cui essi si accostano ad un paper accademico non è, nella maggior parte dei casi, tra i più corretti da un punto di vista metodologico.

Nell’immaginario comune il giornalista scientifico è colui che comunica con rigore la scienza e le sue scoperte al grande pubblico. I riflettori sono spesso puntati, dunque, sulle modalità con cui avviene tale comunicazione. Tuttavia, il passaggio cruciale (spesso trascurato) in questo processo è ciò che viene prima, cioè come il giornalista stesso si informa, dato che prima di presentare le conclusioni di un lavoro scientifico ai lettori deve comprenderne il contenuto in prima persona. Una recente tesi di dottorato della scrittrice e ricercatrice canadese Alice Fleerackers affronta in maniera estesa il modo in cui i media raccontano la scienza (qui, una rapida presentazione della sua tesi). 

Dov’è che i giornalisti trovano le informazioni scientifiche?

Le piattaforme più utilizzate per aggiornarsi sulla ricerca sono le riviste, oggi disponibili online, che pubblicano i risultati dei lavori degli scienziati. I risultati “su carta” possono essere presentati anche a voce durante i convegni; in questa sede è consentito fornire anticipazioni su risultati preliminari di lavori non ancora pubblicati. Di solito però, non vengono divulgate informazioni che non siano già state tradotte in articoli. E, in ogni caso, è rara la presenza di giornalisti nei congressi scientifici internazionali.   

La metanalisi della letteratura sul tema proposta nel lavoro della Northeastern University, come dicevamo, ha rivelato che il motivo principale per cui un giornalista si rifà alla ricerca accademica è quello di fornire un contesto alla propria storia e legittimarne il contenuto. Citare un lavoro conferisce un senso di trasparenza e permette di alleggerirsi del peso delle affermazioni che si stanno riportando. Siamo dunque di fronte a una combinazione di esigenze pratiche e strategiche. Purtroppo, sono tanti gli ostacoli disseminati sulla strada verso una sintesi rigorosa di un articolo scientifico. Accedere alle pubblicazioni accademiche nella loro versione completa non è immediato. Sebbene il numero degli open access (gli articoli accessibili gratis) stia aumentando, alcuni lavori non sono disponibili se non dietro pagamento, e spesso i giornali e i singoli giornalisti non ne possiedono la licenza (circostanza non così rara nemmeno in centri di ricerca e università). Di recente, poi, per favorire l’accessibilità si tende a confinare tabelle e dati  – non sempre necessari per la comprensione complessiva della ricerca – fra i cosiddetti materiali supplementari. Il manoscritto principale risulterà così più snello e comprensibile anche ad un occhio meno esperto. Ciononostante, il contenuto spesso rimane ostico per i non addetti ai lavori. 

Lo spazio e il tempo nell’informazione della scienza: un bel guaio

Al di là della questione economica e quelle riguardanti la formazione, ci sono anche problemi più pratici. In primo luogo, lo spazio delle sezioni scientifiche è di solito limitato nelle testate generaliste. In più, i tempi per la pubblicazione di una notizia scientifica sono sproporzionati rispetto a quelli necessari per un articolo di ricerca. Il processo di revisione e accettazione di un paper richiede mesi (con la vistosa eccezione introdotta in occasione dell’emergenza pandemica), mentre il giornalista deve produrre risultati in tempi assai più stretti. Leggere con calma interi articoli e dedicarsi a ricerche incrociate nella  letteratura è un lusso. Dunque, via libera alle scorciatoie,  dall’uso degli abstracts alla lettura dei commenti agli articoli già pubblicati. Peccato che un abstract sia  per definizione limitato nel numero di parole, non offra che una rapidissima contestualizzazione e non contenga di solito riferimenti bibliografici. Il rischio è quello di un’interpretazione frettolosa e incompleta del lavoro. Ancora più incerta è la sensazione che si riceve dagli articoli in prestampa, cioè da quelli che non hanno ancora passato le varie revisioni, ma che spesso per esigenze di rapidità sono accreditati con facilità come fonti autorevoli. 

Scelte tendenziose

Anche la scelta di un paper può essere tendenziosa. Si cerca e approfondisce ciò che è in linea con il messaggio che si vuole comunicare, e le notizie che arrivano all’attenzione del giornalista derivano per lo più da newsletters o dai social media, oppure seguendo riviste e autori preferiti, o che hanno maggior risalto sulla scena pubblica. Altre volte i giornalisti si informano consultando Google Scholar e PubMed, che di regola sono anche risorse usate dagli scienziati. Questo non basta comunque, perché oltre alla preferenza per tematiche controverse (quelle che si presume possano attirare di più il lettore) e per le opinioni a supporto della propria, anche alcune riviste rinomate e con altissimi impact factors (un indice del prestigio di una rivista) possono prendere vere e proprie cantonate. Il controllo incrociato delle informazioni e la precisazione degli istituti di ricerca, degli scienziati e dei finanziamenti coinvolti sono perciò una necessità non aggirabile. 

Nonostante si tratti di comportamenti diffusi, la situazione non è la stessa per tutti i giornalisti. A trovarsi in situazioni più difficili sono i professionisti (o aspiranti tali) che hanno meno mezzi e tempo per le proprie ricerche. Il peggior nemico di chi lavora nei media, oltre allo scarso background scientifico, resta la fretta: i ritmi del giornalismo online, dove spesso le testate fanno “a gara” per pubblicare più e prima dei propri concorrenti per assicurarsi più visualizzazioni, non lascia spazio di manovra per verifiche approfondite. Inoltre, collaboratori e freelance sono spesso pagati poco e “ad articolo”, cosa che li costringe a ritmi di produzione giornalieri molto serrati per assicurarsi una rendita economica.  

Anche chi scrive un lavoro scientifico racconta una storia

In questo contesto già complesso, bisogna tener conto del fatto che anche chi scrive un articolo scientifico racconta una propria storia e utilizza la letteratura esistente per giustificare i propri risultati. Il processo di revisione però è molto più lungo e complesso, ma neppure questo garantisce sempre la qualità del contenuto pubblicato – semmai, lo presenta con una maggiore autorevolezza. 

In più, la scienza si ramifica a una velocità impressionante, e anche all’interno della stessa disciplina i ricercatori possono avere difficoltà a comprendere i lavori dei colleghi. È quindi comprensibile che un giornalista non specializzato possa incontrare ostacoli nell’approccio ad un paper, ma un maggiore spazio e più tempo possono aiutare chi ha già un retroterra scientifico solido. Specialmente se si tratta di notizie riguardanti la salute, che potrebbero essere più problematiche da assimilare e poi comunicare. Il processo potrebbe essere anche semplificato, dando voce a chi è abituato a navigare tra le pubblicazioni di un determinato settore e sa che cosa guardare.  L’autrice della dissertazione suggerisce anche di tenere a mente i framing devices (“cornici narrative”), ovvero, delle strategie comunicative, purtroppo spesso omesse, per esplicitare la fonte della notizia. Bisognerebbe quindi ammettere se si tratta di notizie pubblicate o ancora non accessibili integralmente, o se si attinge da paper sotto revisione, e se il lavoro menzionato riporta risultati preliminari e da verificare. Comunicare l’incertezza non come una debolezza della ricerca o della scienza in generale, quanto piuttosto come una sua caratteristica intrinseca, che la pone continuamente in discussione. 

È una grande responsabilità perché, se non lo fa il giornalista, di certo non sarà il lettore a scandagliare le fonti. Da un passaggio all’altro, fino al lettore distratto, quello che si delinea è un naturale crescendo della rapidità delle varie fasi e una perdita progressiva di dettagli. È più complicato guidare il lettore verso una ricezione critica della notizia, fornendogli gli strumenti per elaborare da sé ciò che sta leggendo, ma è anche necessario per una comunicazione onesta. 

Foto di ROBERT SŁOMA da Pixabay