Le Noir, uno Stradivari “maledetto” tra storia e leggenda
Giandujotto scettico n° 161 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
A Torino, di quando in quando, è possibile sentir suonare uno strumento musicale preziosissimo: un violino Stradivari, costruito nel 1721 dal celebre liutaio cremonese. È proprietà di Guido Rimonda, artista nato a Saluzzo e docente di violino presso il Conservatorio di Torino. Come molti altri Stradivari, lo strumento porta il nome del suo più celebre proprietario: Leclair, in onore del compositore Jean-Marie Leclair (1697-1764). Il violino però ha anche un altro soprannome: Le Noir, il Nero. E non è solo per la macchia scura visibile nella parte superiore della cassa armonica; è anche per la leggenda – una leggenda nera, appunto – che aleggia intorno alla sua storia…
Una leggenda oscura
Se cercate informazioni sul violino Leclair, troverete innumerevoli siti web che ne parlano. Nel 2023 lo strumento è stato al centro di un articolo apparso su La Nazione e, nello stesso anno, di una puntata del programma di Italia Uno Freedom (un plauso invece a Ivan Cenzi che ha ricostruito correttamente i contorni della vicenda).
La leggenda ci riporta al Diciottesimo secolo, quando il violino è in possesso di Jean-Marie Leclair, uno dei più importanti compositori francesi. L’uomo è follemente innamorato del suo strumento e del suo suono cristallino – uno Stradivari soprannominato “La voce dell’angelo”. Leclair lo suona per anni con successo, ma, dopo aver calcato le maggiori scene europee, l’uomo comincia a diventare sempre più misantropo e a chiudersi in se stesso, nella sua casa-fortezza di Parigi. In alcune versioni della storia, decide di non incontrare più nessuno: si fa lasciare i pasti dalla servitù di fronte alla porta o li tira su tramite un cesto fino alla sua finestra. Vive oramai in simbiosi con il suo violino, con cui va anche a dormire. Una notte, però, Leclair viene assassinato a coltellate. Non si saprà mai chi è stato. Con le ultime forze, il musicista afferra il violino e muore abbracciato ad esso.
Le abitudini solitarie dell’uomo fanno sì che il corpo non venga scoperto subito: passano due mesi, prima che qualcuno si insospettisca e faccia irruzione nella stanza. Quando accade, il cadavere è già in decomposizione. Dove il musicista aveva poggiato la mano sporca di sangue, rimane la sua impronta scura, una macchia che non verrà mai via: il segno più evidente dell’ossessione di un uomo per il suo violino.
…Inquietante, vero? La storia vera, però, non è proprio questa. Jean-Marie Leclair venne davvero assassinato, e il crimine rimase irrisolto. I dettagli, però, rendono la vicenda decisamente meno creepy.
Due parole su Jean-Marie Leclair
Nato nel 1697 a Lione, Leclair è il maggiore di otto figli; il padre è un merlettaio che nel tempo libero si diletta di danza e di musica. Per un po’ il ragazzo segue la professione paterna nella sua città natale, dove a diciannove anni, nel 1716, sposa la figlia di un mercante di liquori. Nel 1722 si sposta a Torino, dove trova lavoro in un teatro d’opera come primo ballerino e maestro di balletto. Nella città sabauda, l’uomo studia violino con Giovanni Battista Somis e mette in scena le sue prime opere teatrali che, come impone la moda dell’epoca, sono balletti a tema mitologico.
Da qui inizia la sua vera vita artistica, che lo porterà a comporre musica strumentale e a lavorare presso i maggiori teatri europei del tempo: Francia, Italia, Olanda, Germania, Inghilterra… Nel 1733 è direttore della regia orchestra di Luigi XV, a Parigi, ma si tratta di una carica che deve condividere con Giovan Pietro Ghignone (naturalizzato francese col nome di Jean-Pierre Guignon), con cui litiga spesso. Così, abbandona Parigi per lavorare presso Anna di Hannover, principessa d’Orange. Ci tornerà anni dopo. Nel frattempo, Leclair è rimasto vedovo ma ha sposato una seconda moglie, con cui inizia un sodalizio artistico e che gli darà una figlia. Continua a comporre sonate per violino, cercando di coniugare il gusto francese e quello italiano, e nel 1746 mette in scena a Parigi la sua prima opera lirica, Scylla et Glaucus, che non si rivela un successo eclatante.
Nel 1758, dopo la rottura del suo secondo matrimonio, Leclair acquista una piccola casa in un quartiere malfamato parigino, quello del Tempio. Qui viene trovato morto, il 23 ottobre 1764.
Morte di un compositore
L’omicidio di Leclair è uno dei maggiori gialli del Diciottesimo secolo. Anche per questo, gli storici della musica hanno raccolto i documenti relativi all’inchiesta e hanno ricostruito i contorni del crimine. Il musicologo Lionel de la Laurencie ha ritrovato negli Archives Nationales il dossier completo sull’indagine, condotta sotto la direzione del commissario Thiot e dell’ispettore Hubert Receveur. Per questo articolo, abbiamo consultato il volume Jean-Marie Leclair l’aîné. La vie, l’œuvre, discographie di Marc Pincherle (Parigi, 1952) e l’articolo Finale Marked Presto: The Killing of Leclair di Albert Borowitz (The Musical Quarterly, 1986), che si sono basati su questi documenti.
A differenza di quanto racconta la leggenda, in realtà il corpo di Jean-Marie Leclair fu trovato il giorno seguente all’omicidio, dal suo giardiniere. Era nell’androne di casa sua, con la testa appoggiata alla porta della cantina, e aveva sparsi intorno a sé diversi oggetti. Fra quelli non c’era nessun violino. Ecco come de la Laurencie descrive il ritrovamento:
Il 23 ottobre 1764, di mattina presto, un giardiniere di nome Bourgeois, che dimorava in rue de Carême-Prenant, si accorgeva, passando davanti alla casa di Leclair, che la porta era aperta; quasi nello stesso momento arrivava Jacques Paysant, il giardiniere del musicista [la tristissima casa del violinista disponeva di un giardino interno alle mura], e tutti e due, notando il cappello e la parrucca di Leclair abbandonati nel giardino, si misero in allarme, e come misura di precauzione cercarono dei testimoni prima di penetrare nella casa. Si unì a loro qualche vicino, entrarono a casa del musicista e lo si trovò a terra nell’ingresso. Spaventati, i testimoni si affrettarono a chiudere la porta a chiave, e Paysant corse ad avvisare la signora Leclair e il suo genero, il pittore Louis Quenet. Un’ora più tardi la signorina Nigotte Petitbois, figlioccia della signora Leclair, avvisata la polizia nella persona di Thiot, commissario di Chatelet, arrivò sul luogo, accompagnata da un avvocato della Corte chiamato Godard.
Jean-Marie Leclair era steso sul dorso, con la camicia e la camiciola macchiate di sangue. Era stato ferito con tre colpi inferti “per mezzo di uno strumento appuntito”, uno sopra il seno sinistro, l’altro al di sotto dello stomaco, sul fianco destro, il terzo al centro del petto. Accanto al corpo giacevano diversi oggetti, che sembravano essere stati posizionati intenzionalmente: un cappello, un libro intitolato L’Elite des bons mots, degli spartiti e un coltello da caccia che non presentava tracce di sangue. Leclair aveva su di sé il fodero di questo coltello ed era evidente che l’assassino aveva ideato una messa in scena. L’esame del cadavere, effettuato dal signor Pierre Charles, chirurgo, segnalava, dal canto suo, delle “ecchimosi” nella zona lombare, sui labbri superiore e inferiore e all’osso mascellare, cosa che provava che dopo una lotta con l’assassino Leclair era stato buttato a terra sul dorso (riportato in Jean-Marie Leclair l’aîné. La vie, l’œuvre, discographie di Marc Pincherle).
Non c’erano segni di effrazione. L’orologio dell’uomo sembrava mancare, ma nell’alloggio erano presenti quattro luigi d’oro e altri beni di valore che non erano stati toccati. Lungi dal comportarsi come un eremita, Leclair era stato visto la sera prima, il 22 ottobre, presso la sala da biliardo di un certo Pierre Lamotte, dove aveva giocato alcune partite. Verso le nove e mezza aveva invitato Lamotte a mangiare con lui, ma questo aveva rifiutato. Alle dieci meno un quarto aveva acquistato del cibo in un negozio di alimentari, poi dello spago in un altro negozio; infine era tornato a casa. Le indagini stabilirono anche che alcuni giorni prima, il 14 ottobre, l’uomo aveva perso le chiavi del suo alloggio e aveva chiesto a un conoscente, presso cui teneva un mazzo di riserva, il duplicato della porta di casa.
Tre sospetti per un delitto
Gli inquirenti misero sotto torchio il giardiniere Jacques Paysan, che aveva precedenti penali e la cui testimonianza fu giudicata imprecisa: sosteneva ad esempio che la vittima non avesse un orologio né denaro nell’abitazione, e di essere tornato a casa alle sette e mezza, la sera del 22 ottobre, mentre la sua padrona di casa affermava che fosse rincasato alle dieci e mezza. Si contraddisse su diversi particolari: prima cercò di sostenere che Leclair fosse morto per una colica, poi suggerì di indagare sul duca di Gramont, patrono del violinista, che qualche volta aveva fatto visita al suo protetto.
La polizia fermò Paysan, ma non aveva prove della sua colpevolezza, così preferì volgersi a un altro sospetto, François-Guillaume Vial, nipote di Leclair (era il figlio della sorella Françoise). Era anche lui musicista, e più volte si era rivolto allo zio perché mettesse per lui una buona parola con il duca di Gramont, ma questo si era sempre rifiutato. Vial portava rancore verso lo zio a causa del mancato aiuto nella carriera musicale, e in seguito all’omicidio fu sentito dire che Leclair aveva avuto quello che meritava, dal momento che “aveva sempre vissuto come un lupo”. Agli inquirenti disse che al momento dell’omicidio si trovava fuori Parigi, ma l’ispettore Receveur smontò il suo alibi.
Anche la moglie di Leclair fu interrogata. Cercò di prendere le distanze dal crimine, dicendo che ne aveva avuta notizia solo nel tardo pomeriggio del 23 ottobre (mentre, in realtà, era stata la prima persona avvisata dal giardiniere). Il caso fu chiuso senza che nessuno fosse accusato del delitto.
Madame Laclair non perse troppo tempo a piangere il marito: tre settimane dopo l’omicidio chiese alla polizia il permesso di fare un inventario del contenuto della casa e ne vendette la proprietà, ricavandone una quantità di denaro comunque non sufficiente a saldare i debiti del marito. I due violini (che, come avrete notato, non figuravano tra gli oggetti rinvenuti accanto al corpo quando fu scoperto il cadavere) e la spinetta che si trovavano nell’abitazione di Leclair furono messi in vendita tramite un annuncio il 24 gennaio.
La “macchia” dello Stradivari Leclair è probabilmente solo un imbrunimento del legno, come ce ne sono in molti violini antichi. Ma c’è un che di poetico nella leggenda, sorta probabilmente in tempi recenti: il grande musicista che muore abbracciato al suo violino e che lascia su di esso una traccia indelebile – e persino, sembra suggerire il racconto, anche parte della sua anima. Contro un’idea così potente, non c’è rapporto di polizia che tenga.