CICAP-WWF Italia: i perché di una collaborazione
Articolo tratto da Query 57
Non solo gatti neri e pipistrelli. La superstizione colpisce tigri, rinoceronti, orsi e cavallucci marini: l’elenco degli animali perseguitati perché oggetto di pregiudizi e credenze antiscientifiche è lunghissimo. Per questo motivo WWF Italia e CICAP hanno deciso di unire le forze nella prossima Giornata Anti Superstizione. Abbiamo chiesto ai presidenti delle due associazioni qualche riflessione sulle ragioni di questa collaborazione; dal confronto tra Sergio Della Sala e Luciano Di Tizio è emerso uno scambio aperto, tutto da leggere.
Luciano Di Tizio: Sarà per il fatto che ho deciso di iscrivermi al WWF nel 1992 e al CICAP appena un anno dopo, ma personalmente vedo queste due organizzazioni in qualche modo legate: alla fin fine lo scopo di entrambe è rendere il mondo un po’ migliore. Nel WWF cerchiamo di costruire un futuro in cui le persone possano vivere in armonia con la natura; il CICAP esplora i misteri per raccontare la scienza, con l’obiettivo ultimo di affermare nella società il valore dei fatti. Messa così, resta difficile capire perché non sia nata prima una collaborazione sul tema della superstizione, antiscientifica e pericolosa: per l’uomo, ma anche per le tante, troppe, specie animali che pagano le conseguenze di credenze assurde.
Sergio Della Sala: In effetti avremmo potuto pensarci anche prima. Contrastare il pensiero antiscientifico è una “missione” che WWF e CICAP, ciascuno nel proprio campo di principale interesse, portano avanti da sempre. Se ci siamo incontrati tardi è perché siamo troppo presi dalle quotidiane fatiche per affermare il valore della ricerca, delle conoscenze basate sul metodo scientifico, di conoscenze che non sono dogmi ma risultati validi e allo stesso tempo provvisori, da verificare e quando è il caso da mettere in discussione con nuove ricerche. Ma sempre con metodo scientifico e non appellandosi a presunte verità superiori date per certe e indiscutibili. Studiare e ricercare, questa la strada. La superstizione sicuramente non ci aiuta in un tale percorso.
L.D.T.: Eppure c’è chi cerca di minimizzare, persino tra gli psicologi, gli effetti della superstizione: secondo costoro sarebbe in fondo solo una maniera di semplificare la propria visione del mondo, finalizzata a combattere l’ansia. Se teniamo un amuleto in tasca che ci fa star meglio per il fatto che siamo convinti che ci porti fortuna, in fondo – dicono – che male c’è? Può anche essere in qualche modo vero: in fondo se vogliamo credere anche da adulti che i regali di Natale ce li porti un signore grassottello e con una lunga barba bianca a chi facciamo del male? Lascio perdere l’insipienza di simili atteggiamenti, ma in ogni caso impostare il ragionamento in modo, diciamo così, “assolutorio” secondo me non è accettabile.
S.D.S.: Non dimentichiamo che credere è, in ogni caso, più semplice e in qualche modo più rassicurante: ci toglie la responsabilità e la fatica di pensare. Può essere effettivamente tranquillizzante pensare che tutto quello che ci accade abbia una causa intenzionale e che solo fino a un certo punto dipenda da noi e dai nostri comportamenti. Può far comodo, non ti pare? Se così non fosse perché mai migliaia di persone leggerebbero ogni giorno il proprio oroscopo? Non solo i creduloni: lo fa persino qualcuno che sa benissimo come stelle e pianeti lontani anni luce nulla abbiano a che fare con gli eventi che ci aspettano giorno dopo giorno.
L.D.T.: Su questo tema ti racconto un episodio di parecchi anni fa. Lavoravo all’epoca in un quotidiano regionale la cui sede centrale era a Roma. Un collega aveva “corrotto” a suon di cene la collaboratrice che curava l’oroscopo per avere previsioni ad hoc per la fidanzata, che era una tenace credulona: seguiva alla lettera le indicazioni che, secondo lei, le arrivavano dalle stelle. Così, quando aveva voglia di uscire con gli amici per una partita di calcetto o qualsiasi altra cosa, al collega bastava far scrivere “riceverete un invito ma non lo accettate…”: serata libera senza problemi e anzi ribaltando la responsabilità della mancata uscita sulle spalle della compagna. Li ho persi di vista, non so come sia andata a finire la loro storia, ma certamente era partita male. L’oroscopo, che è di per sé un inganno, in questo caso era un inganno duplice.
S.D.S.: Sì, ma stiamo parlando ancora una volta di esseri umani, che in qualche modo possono scegliere se credere o no. Gli animali invece non possono che essere vittime, mi pare.
L.D.T.: In verità si può parlare di superstizione anche negli animali, ma questa è un’altra storia che affronteremo semmai in futuro in una diversa occasione. Qui hai perfettamente ragione tu: il cavalluccio marino, tanto per citarne uno, non ha colpe se una parte dell’umanità è convinta che questo straordinario pesciolino sia un potente afrodisiaco. Lo sostiene quella che noi occidentali, banalizzando, chiamiamo “la medicina cinese”. Questa balordaggine, insieme alla cattura di individui vivi per il mercato acquariofilo e all’insana abitudine di acquistarne i resti come ricordino delle vacanze ha effetti disastrosi: nei mercatini di Hong Kong ne vengono venduti migliaia e migliaia di esemplari essiccati, in buste trasparenti di plastica.
S.D.S.: Già, la “medicina cinese”, che in Cina chiamano solo medicina, e che però, teniamone conto, viene usata anche da milioni di europei. Mi risulta che moltissime specie di cavallucci marini siano protette dalla Convention on International Trade in Endangered Species (CITES). Una difesa che evidentemente non basta: il fatto che siano potenti afrodisiaci non ha alcuna conferma scientifica, ma si sa che le credenze sono dure a morire, anche di fronte all’evidenza. Sto scivolando in un argomento che è più di pertinenza del WWF che del CICAP, ma anche su tante altre credenze che nuocciono agli animali la superstizione è quasi un’arma di distruzione di massa. Per restare ai cavallucci ho letto che la specie più ricercata è l’Hippocampus capensis, endemica del Sud Africa: si stima che ne vengano catturati ogni anno oltre 35 milioni di individui, utilizzati sia vivi, per gli acquari, che morti, per la medicina e come souvenir.
L.D.T.: Confermo in pieno. La direttrice del programma di conservazione del WWF Italia, Isabella Pratesi, ha più volte parlato di numeri assurdi, che dimostrano come siano necessarie adeguate e tempestive misure di conservazione. E poi quello dei cavallucci marini è solo un esempio fra i tanti. Molti trattamenti cosiddetti “alternativi” si basano sull’uso di efficacia non dimostrata di derivati o parti animali.
S.D.S.: Si ammazzano tigri per le loro ossa che, tritate, curerebbero i reumatismi; leoni per il loro grasso, una panacea universale; rinoceronti per i corni richiesti come trofei o come ingredienti nella farmacologia tradizionale asiatica; tartarughe nella falsa credenza che il loro guscio curi il cancro; e perfino i pangolini le cui scaglie servirebbero a lenire malattie della pelle, o si torturano orsi per estrarne la bile per migliorare la digestione. Così si arricchiscono mercati illegali, si crea danno all’ecosistema e si portano molte specie verso l’estinzione, tutto questo solo per proporre rimedi magici non sostenuti da alcuna prova che ne dimostri una qualche utilità curativa. E anche se il mercato è florido soprattutto in paesi come il Sud Africa o nel sud-est asiatico, l’idea che prodotti animali siano elisir per i nostri malanni è promossa anche in Italia, in modo acritico sia riguardo alla loro inutilità per gli umani sia riguardo alle conseguenze per gli animali.
L.D.T.: Dobbiamo darci da fare, e dobbiamo farlo subito, prima che sia troppo tardi. Uccidere inutilmente animali rari o torturarli nella speranza totalmente infondata di migliorare la nostra salute è barbaro oltre che antiscientifico.
S.D.S.: La strada è quella dell’educazione e della diffusione di buone pratiche. Se riusciamo a convincere tante persone dell’assurdità di simili credenze su cui si basano alcune medicine alternative faremo un favore a loro e, nelle vicende di cui ci occupiamo in questa iniziativa congiunta, soprattutto agli animali coinvolti. Il convegno del 17 maggio a Roma nasce proprio per questo: parlare alla gente, a chi parteciperà e a chi sarà informato successivamente dai resoconti, così come a chi leggerà questo numero di Query o a chi vorrà aderire alle tante iniziative che le strutture locali di WWF e CICAP organizzeranno in varie città d’Italia. Non sarà semplice ma vale la pena di provarci. Lo dice del resto anche il vostro slogan: together possible, insieme possiamo farcela.