22 Settembre 2024
I segreti dei Serial Killer

I killer di massa a scuola

di Marianna Cuccuru

“Verso la metà della notte io uscirò […] morirà ogni primogenito del paese d’Egitto, dal primogenito del Faraone che siede sul trono fino al primogenito della schiava che sta dietro la mola.” Esodo, 11, 4-5

L’assassino di massa è una tipologia particolare di omicida, una sorta di “cugino” dei serial killer. Con questi ultimi ha in comune il fatto di uccidere più persone, ma sono molte le caratteristiche che li differenziano. Il cosiddetto mass murderer uccide o tenta di uccidere almeno tre (o quattro) persone nello stesso luogo e nello stesso momento, non si preoccupa di agire nell’ombra né di non lasciare tracce, ha una forte componente di vendetta e rivendicazione sociale. 

Da oltre vent’anni in ambito statunitense c’è una grande attenzione per questo tipo di delitti, in particolare quelli avvenuti a scuola ad opera di assassini giovanissimi, dopo la tristemente famosa strage di tredici studenti della scuola Columbine nel 1999, compiuta da Eric Harris e Dylan Klebold, che si sono suicidati con le stesse armi usate contro i loro compagni. I killer di massa ricorrono prevalentemente alle armi da fuoco, ma possono utilizzare una grande varietà di strumenti, ad esempio esplosivi, gas venefici e in alcuni casi perfino balestre. A volte combinano armi diverse, come le armi da fuoco e gli esplosivi usati da Anders Brievik per la strage di Oslo/Utøya del 2011.

Di solito si opera una distinzione tra omicida di massa di tipo classico e di tipo familiare. Il primo è colui che sceglie le vittime in un posto pubblico, come un cinema, una sala concerti o un ristorante, ma senza un diretto legame con le vittime. È possibile che il luogo stesso abbia un valore simbolico per il killer o che la categoria di persone solitamente presente in quel posto sia da lui odiata per qualche motivo, si veda l’esempio della strage della discoteca Pulse, a Orlando nel 2016. Il responsabile, Omar Mateen, aveva scelto quel locale perché mosso da odio feroce verso gli omosessuali e sapeva che il Pulse era un posto molto frequentato dalla comunità LGBTQ della città. Mateen, ucciso poi dalla polizia, lasciò dietro di sé quarantanove vittime e più di cinquanta feriti.

In questo come in molti casi analoghi, si è sospettato un movente legato al terrorismo islamico, in realtà inesistente, anche se Mateen era affascinato dalle idee estremiste religiose. [1]

È frequente che un assassino di massa millanti legami con organizzazioni terroristiche senza che ci sia un reale collegamento. Questo avviene perché lo stragista può ritenere che le sue azioni troveranno maggior risonanza mediatica in caso di sospetto legame col terrorismo, oltre al fatto che non sempre l’assassino comprende o ammette a se stesso le ragioni reali dietro alla sua rabbia cieca e ritiene più semplice appoggiarsi a una dottrina fanatica precostituita, che “nobiliti” le sue azioni, aspetto evidente sia nel caso di Mateen che in quello di Breivik in Norvegia. Il motivo di questi delitti è da ricercare dentro la mente del killer, non al di fuori.

Un esempio particolare di stragista classico riguarda coloro che si suicidano nello stesso istante della morte delle loro vittime, i cosiddetti kamikaze. Un caso celebre è quello del copilota del volo Germanwings 9525 Andreas Lubitz, il quale nel 2015 ha scelto di morire facendo schiantare l’aereo che stava guidando, uccidendo 150 persone tra passeggeri ed equipaggio. Il caso fece discutere molto sulle misure di sicurezza della compagnia Lufthansa, proprietaria della Germanwings, che non aveva capito quanto fosse pericoloso Lubitz, gravemente depresso e con istinti suicidi, che era riuscito a chiudersi da solo nella cabina di pilotaggio, lasciando alla scatola nera solo un terrificante silenzio prima dello schianto.

Nel caso dell’assassino di tipo familiare, si parla dell’uccisione di tutti i membri della famiglia dell’omicida o di una famiglia in qualche modo a lui legata. Tra quelli più celebri in Italia, ricordiamo Franco Percoco, che uccise i genitori e il fratello a Bari nel 1956 e Doretta Graneris che nel 1975 a Vercelli sterminò la sua famiglia a colpi di pistola, con la complicità del suo fidanzato Guido Badini, un militante di estrema destra. Nella strage perirono i genitori di Doretta, il fratellino e i nonni materni.

A volte, il mass murderer familiare si toglie la vita dopo aver ucciso i suoi parenti: alcuni studiosi in questo caso parlano di suicidio allargato alla famiglia, in quanto il suicida ha voluto per varie ragioni “portare con sé” i familiari, nella convinzione di salvarli da una vita di sofferenze o di punirli per avergli fatto del male. Alla base di questi gesti ci possono anche essere deliri religiosi o paranoidi.

Me la pagherete!

Il criminologo Vincenzo Mastronardi ricorda che i mass murderer presentano tre caratteristiche ricorrenti: un grande narcisismo, una bassa soglia di tolleranza alla frustrazione e uno stato depressivo profondo. [2] Una costante che hanno in comune con i serial killer riguarda il desiderio di provare quella sensazione di potere che è mancata loro per tutta la vita, di essere finalmente invincibili, dominanti, non più invisibili.

Di solito, lo stragista sente di avere un conto in sospeso col mondo, in particolare con le persone che lui identifica come incarnazione del male (ad esempio le donne, gli omosessuali, gli stranieri) e sogna una vendetta indimenticabile che causi orrore, shock e sofferenza. Tende ad avere un locus of control esterno, ovvero ad attribuire alle altre persone la causa delle sue sofferenze e dei suoi fallimenti, pertanto si sente legittimato a cercare un riscatto, anche con un acting out violentissimo e definitivo. Al contrario dell’assassino seriale, non è interessato a non essere scoperto, soprattutto se pone fine alla propria vita una volta compiuta la strage, oppure se si lascia volontariamente uccidere dalla polizia. [3]

Una “variante” del mass murderer è lo spree killer: in questo caso l’azione omicidiaria si svolge in luoghi diversi, anche se sempre nello stesso giorno o comunque in un arco di tempo brevissimo, eliminando del tutto il periodo di raffreddamento emotivo presente nei serial killer e qualsiasi forma di rielaborazione del delitto. Lo spree tende inoltre a scegliere le vittime quasi a caso, spesso sparando a chiunque gli capiti a tiro, come un angelo sterminatore. Anch’egli non ha interesse a nascondersi o a scappare, terminando frequentemente la scia di delitti con un suicidio.

Questi crimini si possono a volte interpretare come dei veri e propri testamenti: in alcuni casi sono infatti accompagnati da scritti o video in cui si anticipano i delitti, come nel caso di Elliot Rodger, autore della strage di Isla Vista (California) del 2014: il giovane lasciò video e testi per far conoscere al mondo le sue motivazioni deliranti a sfondo misogino, tuttora reperibili online. [4]

Morire a scuola

Le stragi a scuola, commesse da killer di massa spesso chiamati school shooter dai media, sono in aumento in Usa da diversi anni. Occupano spesso le prime pagine dei giornali e sollevano dibattiti accesi sul ruolo delle armi da assalto, che come è noto sono di facile reperibilità anche per persone con precedenti penali o con patologie mentali conclamate e non curate. È molto discusso anche il fatto che negli Stati Uniti non ci sia un’attenzione adeguata nei confronti della malattia mentale e delle cure psichiatriche: a causa del sistema sanitario basato sulle assicurazioni private, molti pazienti psichiatrici restano esclusi da qualsiasi tipo di terapia, anche se coperti da assicurazione. Queste discussioni di solito si esauriscono in poche settimane, per poi affievolirsi del tutto, fino alla strage successiva.

I casi più eclatanti degli ultimi anni sono quelli che hanno colpito le scuole elementari, con un alto tasso di decessi di bambini, come la strage di Uvalde, alla Robb Elementary School, e quella della scuola Sandy Hook. La strage di Uvalde è stata compiuta nel 2022 in Texas da Salvador Ramos, diciottenne, armato di due fucili semiautomatici regolarmente comprati, insieme a migliaia di proiettili. Dopo aver ferito gravemente la nonna, si reca alla scuola e inizia a sparare all’impazzata. Uccide ventuno persone, tra cui diciannove bambini. Viene freddato dalla polizia.

Il caso della Sandy Hook, avvenuto nel 2012 in Connecticut sotto l’amministrazione Obama, sembrò mettere in seria discussione le attuali leggi sulle armi in vigore negli Stati Uniti, ma non fu così.

Adam Lanza

Adam Lanza nasce nel 1992 nel New Hampshire, da Peter e Nancy Champion, un’appassionata di armi. Fin dall’infanzia è timido, introverso e problematico. I suoi compagni notano che non riesce mai a guardare qualcuno negli occhi, parla poco e sembra indifferente a tutto e tutti. Mostra da sempre sintomi di problemi mentali piuttosto seri, turbe emotive e comportamentali.

Nel 2012 ha vent’anni e vive a Newtown con la madre Nancy, che ha divorziato dal marito Peter nel 2008. Il fratello maggiore di Adam, Ryan, vive per conto suo già da qualche anno, per cui il giovane si trova solo con la madre. Da piccolo, Adam aveva seguito alcune terapie psichiatriche gratuite, ma una volta diventato maggiorenne, non può più avere accesso a psicofarmaci e terapie, che avrebbero ora un costo esorbitante. Dopo i diciotto anni, scende gradualmente in un isolamento sociale sempre più impenetrabile, vivendo completamente immerso nelle sue fantasie, che spesso mette per iscritto, immaginando scenari da incubo. La madre, pur consapevole dei problemi del figlio, non lo considera davvero pericoloso. Spesso la donna porta Adam al poligono di tiro, introducendolo all’uso delle armi da fuoco.

Il 14 dicembre del 2012 Adam, dopo anni di solitudine, incuria e con una casa piena di fucili e pistole, spara a Nancy, uccidendola. Subito dopo si reca, usando l’auto materna, presso quella che era stata la sua scuola elementare, la Sandy Hook. È armato di due pistole e di un fucile semiautomatico. Entra a scuola e inizia a sparare: sotto i suoi colpi cadono ventisei vittime, di cui venti bambini. Adam si suicida poco dopo con una delle sue armi.

Le stragi scolastiche non sono un fenomeno recente. Ad esempio, un caso risalente agli anni Sessanta sconvolse la società texana dell’epoca.

Charles Whitman

Charles nasce il 24 giugno 1941 in Florida e ha un’infanzia apparentemente normale, così come i suoi due fratelli minori. Chi lo conosce vede in lui un bambino molto educato, allegro e particolarmente intelligente. I suoi genitori hanno alte aspettative sul figlio, in particolare il padre, un perfezionista che ha un atteggiamento prevaricante. Da piccolo, Charles mostra interesse per il mondo delle armi, che il padre gli fa conoscere fin dalla più tenera infanzia. Ciò lo rende un abile tiratore, in grado di maneggiare ogni tipo di arma da fuoco. Riesce ad entrare nei Marines, si trasferisce in Texas per studiare e si sposa con una ragazza di nome Kathleen. La sua vita sembra andare per il verso giusto, pur avendo difficoltà negli studi universitari.

Nel 1966 però tutto crolla: il divorzio dei genitori, le pressioni per quanto riguarda gli studi e la carriera e i dissapori con la moglie lo gettano nello sconforto. Da mesi è soggetto a feroci mal di testa, che gli rendono la vita impossibile. Fa una seduta con uno psichiatra del suo campus, a cui confida il crescente desiderio di sparare su quante più persone possibili, ma non prosegue la terapia. Scrive i suoi pensieri su carta, il suo unico sfogo.

Il 31 luglio 1966 Charles scrive una lettera di addio. Cerca di spiegare ciò che sta per fare:

“A chiunque possa essere interessato […] ho avuto paure e impulsi violenti”.

La notte stessa, Whitman si reca dalla madre e la uccide, probabilmente con un coltello. Accanto al corpo, messo a letto, lascia una nota per il padre. Torna a casa e accoltella la moglie.

Attende l’alba, si reca in un negozio di armi e acquista una carabina, un fucile e molti proiettili. Portando con sé le armi nuove insieme a due pistole, si reca presso l’Università del Texas, dove aveva studiato, ed entra nella torre dell’orologio alta novanta metri che si staglia sul campus. Salendo verso la cima della torre, si imbatte in una segretaria di nome Edna Townsley e la uccide con il calcio del fucile, per non mettere troppo presto in allarme altre persone con un rumore di spari. Arrivato sulla terrazza in cima alla torre, stermina una famiglia in visita all’edificio, lasciando due morti e due feriti. A quel punto, prende posto come fosse un cecchino professionista e inizia a sparare con precisione chirurgica alle persone sotto di lui, che inermi cercano riparo da una minaccia invisibile. Chi interviene per aiutare i feriti viene colpito a sua volta. La polizia sopraggiunge poco dopo e decide di fare irruzione nella torre dopo circa un’ora, una volta individuata la posizione del cecchino. A quel punto, gli agenti riescono a sorprendere Whitman alle spalle e lo uccidono. In totale, le vittime di Charles sono sedici, oltre a una trentina di feriti. Durante l’autopsia, emerge che l’uomo aveva un tumore al cervello molto grosso, probabilmente origine dei mal di testa. Alcuni studiosi ritengono il tumore causa diretta della strage, altri una semplice concausa.

Un problema sistemico

Le stragi commesse dai mass murderer avvengono in tutto il mondo e non hanno una causa unica, sono un fenomeno multifattoriale e difficile da decifrare completamente. Tuttavia, è evidente che l’alto numero di stragi negli Stati Uniti, in particolare nelle scuole, porta a una riflessione sulle cause scatenanti del fenomeno, affrontate dal regista Michael Moore nel suo film più celebre, Bowling a Cloumbine, del 2002. Alcuni elementi sono molto ricorrenti nei casi statunitensi: una salute mentale deteriorata e trascurata, isolamento sociale, rabbia e depressione mai affrontati, un’estrema facilità di accesso ad armi capaci di sparare centinaia di volte in pochi minuti.

È interessante notare che la situazione negli USA ha fatto sì che in quasi ogni scuola americana, in particolare scuole superiori, ci sia un protocollo anti school shooter. Come esistono operazioni standardizzate in caso di terremoto, tornado o incendio, in tanti licei statunitensi vengono effettuate regolari esercitazioni per affrontare un’eventuale sparatoria a scuola. In vendita si possono trovare zainetti e gilet per bambini dotati di giubbotto antiproiettile incorporato, corsi di addestramento anche alle elementari, formazione su cosa fare in caso di assalto armato.

A Phoenix (Arizona), ad esempio, vengono fatte esercitazioni a sorpresa con un allarme sonoro specifico per segnalare la presenza di possibili killer di massa. Molte aule dei licei della città, anche nelle zone più tranquille e con un basso tasso di criminalità, sono attrezzate con zone “antiproiettile”, da utilizzare in caso di allarme sparatoria, dotate di una porta blindata resistente agli spari.

Se qualcuno nota una persona armata nei dintorni o all’interno dell’edificio scolastico, viene diramata un’allerta, che comporta sia l’allarme sonoro, sia un lockdown obbligatorio all’interno delle classi o nelle zone protette dalle porte blindate fino a cessato allarme. In alcuni casi, ad ogni famiglia arriva una chiamata automatica dalla scuola che segnala che i loro figli potrebbero essere coinvolti in un attacco armato. I professori comunicano ai ragazzi quando non si tratta di un’esercitazione, ma di un possibile attacco reale. Allerte di questo tipo avvengono circa una-due volte l’anno, sia per via di avvistamenti di uomini armati che per sospetti pacchi bomba. Il protocollo da seguire è ormai una prassi da oltre dieci anni.

Un romanzo di Stephen King del 1977, “Ossessione”, racconta la storia di un ragazzo che inizia a sparare nella sua scuola e si barrica nella sua classe, tenendo in ostaggio i suoi compagni. Questo testo è stato trovato nell’armadietto dello school shooter quindicenne del Kentucky Michael Carneal, nel 1997. Carneal ha ucciso tre compagne di scuola e si è costituito alle autorità, inorridito dal suo stesso gesto. Questo episodio e le successive stragi scolastiche hanno portato alla decisione, appoggiata dallo stesso King, di sospendere la pubblicazione del libro, per evitare emulazioni. Come è facile immaginare, non è nella censura letteraria che si può trovare la soluzione a questo tragico e devastante fenomeno.

Un ringraziamento speciale alla dott.ssa Valentina Villa per il prezioso contributo riguardo le esercitazioni contro gli school shooter nelle scuole statunitensi.

Note

Marianna Cuccuru

Laureata in scienze dell' Educazione, studia da molti anni il fenomeno dei serial killer. Ha tenuto lezioni sul tema presso l'università dell'Insubria e per l'associazione Fidapa di Varese.