Approfondimenti

Culti misteriosi: il cranio con le orecchie di Napoli

di Matteo Boccadamo

La Chiesa di Santa Luciella ai Librai, nel centro storico di Napoli, è parte di un interessante itinerario mistico, per la presenza di una serie di teschi connessi a un insolito rituale. Uno di questi, dall’aspetto piuttosto inquietante, custodisce un mistero.

Fondata dagli angioini nel 1327, la chiesa venne dedicata alla protettrice della vista solo intorno al XVII secolo, quando i pipernieri, i lavoratori del piperno, la presero in custodia; il rischio maggiore per chi scolpiva questa roccia era infatti che le schegge finissero rovinosamente negli occhi. I recenti lavori di restauro dell’edificio hanno messo in luce la particolarità che la cripta sottostante celava, e che dal 2019, momento della riapertura, costituisce l’attrazione principale del luogo.

Le capuzzelle

A popolare la cripta, una serie di “capuzzelle”, ovvero crani sistemati sulle mensole dell’ambiente, appartenuti ad anonimi che non ricevettero una degna sepoltura in ragione del loro status sociale. Venivano pertanto definite “anime pezzentelle”, ed è a partire dal ‘600 circa che si sviluppa questo tipo di culto. I fedeli si prendevano cura dei resti quasi adottandoli, occupandosi di tenerli puliti e pregare affinché le loro anime trovassero sollievo o potessero raggiungere il Paradiso. In cambio chiedevano di intercedere nell’aldilà per ricevere dei benefici terreni in vita. Non sempre le invocazioni venivano ascoltate e poteva accadere che le richieste restassero inesaudite; in questi casi pare che il cranio dell’anima a cui ci si era rivolti potesse venire ruotato rivolgendone il volto verso il muro, in segno di rancore e spregio. Il culto prosegue addirittura fino al 1980 quando un violento terremoto che colpì Napoli danneggiò anche la Chiesa. All’avvio dei lavori si scoprì che i crani erano ancora lì, compreso il più singolare.

Il cranio con le orecchie

Tra tutte le capuzzelle ce n’è una che cattura immediatamente l’attenzione del visitatore e che era probabilmente la più tenuta in considerazione dai fedeli: il cranio con le orecchie! (vedi immagine in testa all’articolo)

La suggestione è proprio questa, e nessun occhio che guardi il reperto frontalmente può evitare di notare quelle che sembrano davvero due orecchie umane (o forse un po’ demoniache) nella loro posizione naturale. Il cranio infatti era particolarmente venerato, in quanto ritenuto maggiormente predisposto all’ascolto delle preghiere degli oranti, proprio in virtù delle sue caratteristiche. Appartiene a un uomo vissuto nel XVII secolo, ma di che fenomeno si tratta in realtà? A meno di non credere a miracoli o vicende paranormali, un primo legittimo pensiero in cerca di una risposta razionale potrebbe andare a qualche strano processo di calcificazione, avvenuto in vita o dopo la decomposizione. Oppure a un’intenzionale manomissione del cranio con finalità votive. 

Alcuni studi antropologici hanno proceduto col medesimo approccio, giungendo a far luce sulla questione.

Le ipotesi

Si è pensato inizialmente a un caso di iperostosi, cioè un aumento della densità scheletrica causato dall’eccessivo sviluppo della matrice ossea, una condizione altamente compatibile con la malnutrizione dell’epoca. Oppure alle “orecchie pietrificate”, il rarissimo risultato patologico di alcuni processi che condurrebbero alla calcificazione del tessuto cartilagineo auricolare. Gli autori di questo studio [1] notano un parallelismo con il mosaico del memento mori (immagine qui sotto), un’opera del I secolo a.C. proveniente da Pompei e conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che raffigura proprio un cranio con delle orecchie (che appare, tra l’altro, nelle riprese del famoso Live at Pompeii dei Pink Floyd). 

Si domandano quindi se tanto il mosaico, quanto il cranio possano essere stati ispirati da questa rara malattia, magari conosciuta già in epoca romana. In questo caso le “orecchie” della capuzzella verrebbero interpretate come una manipolazione ad arte per intenti rituali.

Foto di Marie-Lan Nguyen, da Wikimedia Commons, pubblico dominio

La soluzione

Ulteriori e più attente analisi antropologiche hanno messo in dubbio queste conclusioni, rivelando quanto la spiegazione, come spesso accade, sia ancora più semplice.

Innanzitutto, secondo chi contesta le idee esposte poc’anzi [2], l’unica azione rituale attuata nei confronti del cranio è quella di averlo posto sulla mensola della cripta al fine di adorarlo. Nessuna intenzionale alterazione della sua struttura o del suo aspetto può essere stata operata da mano umana, motivo per cui è da escludere un’ispirazione derivata dal mosaico del memento mori. Al contrario, è quest’ultimo che potrebbe rifarsi a un qualche tipo di morfologia cranica osservata post mortem, dato che l’osteologia era un campo piuttosto sviluppato nell’antichità classica. Tuttavia in paleopatologia non si conoscono casi di “orecchie pietrificate”, proprio a causa “della scarsa o incompleta conservazione delle strutture auricolari nei resti umani, mummie comprese”.

La spiegazione più plausibile risiede invece negli eventi tafonomici, ovvero riguardanti i naturali processi che seguono la deposizione, e in questo caso la scheletrizzazione. L’elevato livello di umidità della cripta ha comportato quattro importanti effetti molto ben riconoscibili sul reperto. Fra questi vi è una naturale rottura e conseguente collasso delle stesse ossa craniche; in particolare si è verificata la proiezione della parte superiore di quelle temporali.

Quelle che sembrano orecchie, cioè, altro non sono che pezzi di ossa craniche, staccatesi dalle rispettive suture e ricadute progressivamente verso l’esterno. [3]

Svelare questo mistero di certo non sminuisce il fascino macabro che il cranio è in grado di suscitare e che ha prodotto fenomeni cultuali radicati per secoli. È molto interessante da un punto di vista socio-antropologico osservare lo sviluppo di idee religiose che ricollegano le capacità trascendenti di un defunto alle caratteristiche fisiche dei suoi resti materiali. Non sappiamo quante preghiere abbia ascoltato ed esaudito il cranio con le orecchie, ma se i Pink Floyd dovessero registrare un altro live a Pompei, abbiamo già la nuova cover da suggerire.

Note

Si ringrazia l’antropologa Miria Ciccarone per la consulenza e le fonti. Immagine in evidenza: foto di Phyrexian, da Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 4.0.