Approfondimenti

Luigi Bellotti, medium “leonardesco”

di Paolo Cortesi 

Si credeva la reincarnazione di Leonardo Da Vinci. Ne era così certo che preferiva firmarsi Luigi Da Venezia, piuttosto che Luigi Bellotti, come voleva l’anagrafe. E veramente solo il genio rinascimentale pareva adeguato ad accostare il poliedrico veneziano. Anzi, nel confronto Leonardo ci perdeva, perché lui aveva lasciato solo cinque trattati inediti; mentre Luigi aveva prodotto la bellezza di centosettanta saggi pronti per la stampa.

Ma chi era Luigi Bellotti, alias Luigi Da Venezia?

Era nato il 24 ottobre 1896 da Enrico, ex commissario di P.S., e da Eugenia Bussoni. Bizzarra famiglia, i Bellotti: il padre era la reincarnazione di Diogene e di Boccaccio (prima uno, poi l’altro); la madre fu Archimede e, in seguito, Tina di Rohan, una sconosciuta amante di Napoleone, rivelatasi medianicamente e ignota agli storici.

Ma tutto questo Luigi lo seppe solo dal 1923; prima era un giovane appassionato d’arte e di musica e non ancora il formidabile medium che otterrà manoscritti autografi dalle grandi anime di ogni tempo e paese.

Luigi seguì i corsi dell’Accademia di Belle Arti di Venezia dal 1913 al 1916; seguirono due anni di pausa (forse causati dalla guerra?) e il 2 aprile 1919 Luigi si iscrisse per la quinta volta all’Accademia, corso speciale di architettura; ma l’ultima annotazione del registro, alla colonna “Profitto e premi”, ha questo appunto: 34 sopra 50 – Rimandato.

Tuttavia, Luigi Bellotti si attribuì sempre il titolo di architetto. E di professore.

La prima parte della sua giovinezza fu dedicata alla pittura e alla composizione musicale; ma fu anche storico dell’arte e inventore, con alcuni brevetti per applicazioni aeronautiche, come l’ala razionale ed il freno aereo. Scrisse nella sua autobiografia: 

«Intanto le facoltà latenti, psicofisiche, medianiche e chiaroveggenti cominciarono a svilupparsi e nel 1923 ebbi i primi fenomeni importanti di “apporti”, comunicazioni medianiche psicografiche, i primi sdoppiamenti con viaggi in astrale».

Queste erano le specialità di Luigi Da Venezia: quella che lui chiamava psicografia era un’antica pratica spiritistica inventata, nel 1856, dal barone svedese Ludwig von Guldenstubbe (1820-1873), e consisteva nel chiudere dentro una scatola fogli bianchi e una matita; si lasciava l’oggetto in luoghi presumibilmente affollati di spiriti (ottimi i cimiteri, ma pure chiese e musei dettero buoni risultati) e dopo alcuni giorni si apriva per vedere quali segni erano stati tracciati sulla carta.

Bellotti faceva lo stesso nella sua casa di Calle della Rosa a Venezia; e lì ottenne migliaia di scritti che erano attribuiti a grandi personalità: le anime di contadini, muratori, bidelli e cuoche non avevano nessuna voglia di scrivere nemmeno un saluto ai pronipoti; ma Dante, San Francesco d’Assisi, Carducci, Mazzini, Beethoven, Schopenhauer, Cadorna, Paganini, Jules Verne, Massimo D’Azeglio, Wagner, re, papi e imperatori erano ansiosi di mettere nero su bianco i loro pensieri per i vivi.

«Gli apporti più importanti» scriveva Bellotti nel novembre 1927 «sono autografi e scritti vari in latino, francese, inglese, tedesco, provenzale, turco, ebraico, giapponese, indiano, cinese, persiano antico, ecc.; milletrecentodieci manoscritti autografi inediti di mille autori, con aforismi, massime, sentenze, motti, giudizii, pensieri, in versi e in prosa, svolgenti tutti i temi della spiritualità».

Goffredo Mameli, nel luglio 1927, settantotto anni dopo la sua morte, lasciò nel cofanetto veneziano un canto in duecento versi senari, dal titolo La terra si desti, di cui questo è l’inizio:

Il vincolo umano,
il vincol di morte
ha svèlte le porte;
la terra assopita,
la terra si desti!
Fratello credente,
esulta coi Santi,
echeggin tuoi canti;
la luce, la gloria
si spanda, risuoni
celeste nel mondo;
i martiri nostri
nel buio, nell’ombra
han svèlte le porte
del buio terren.

L’altra forma della medianità di Bellotti consisteva nel ricevere materializzazioni dal mondo trascendente, ovvero la pretesa apparizione dal nulla dei più svariati oggetti: oltre cinquemila fra monete, fiori, reperti archeologici, fotografie, statuette, disegni, anelli… 

«Gli apporti» spiegava Bellotti «sono di due generi: o di oggetti esistenti, perduti, dimenticati, sepolti, o creati ora fluidicamente dalle Entità stesse che li recano mediante precipitazioni di fluido, nel quale caso, al momento dell’apporto, il segno fluidico è azzurro chiarissimo. Quasi sempre gli apporti sono preannunziati da raps, squilli e suoni».

Tra le migliaia di oggetti ricevuti dagli spiriti, ci fu anche lo spartito di un inedito canto giovanile di Beethoven, che Bellotti – leggiamo in un articolo scritto da un suo deciso sostenitore – offrì 

«a S.E. Benito Mussolini, cioè una pergamena giunta in un istante dalla remotissima Bonn a Venezia; il Duce l’assegnò al Museo dell’Accademia Filarmonica di Roma, dopo che il direttore del sullodato Museo ne fece convalidare l’autenticità da competenti esperti musicali».

L’altra speciale facoltà di Luigi Da Venezia era il viaggio astrale, di cui era un vero maestro, al punto di scrivere un manuale per insegnare a tutti come viaggiare nell’universo stando sdraiati sul letto di casa: «Per viaggiare in astrale e sviluppare la chiaroveggenza e le facoltà latenti» (Venezia, Casa editrice Leonardo Da Vinci, 1929).

Il viaggio astrale (oggi si usa più spesso l’espressione esperienza extracorporea, o la sigla OBE, dall’inglese out of body experience) è, per chi ci crede, la proiezione al di fuori del proprio corpo dello spirito, che viene volontariamente indirizzato anche a distanze enormi per visitare luoghi e persone. Per fare questo, Bellotti raccomandava la massima concentrazione, rilassamento muscolare, serenità, respirazione adeguata, stomaco non affaticato (non si vola in astrale prima di tre ore dai pasti), testa posta perfettamente a nord, semioscurità nella stanza ben arieggiata. Seguendo le indicazioni di Bellotti, il successo è assicurato: 

«si finisce sempre per riuscire, tranne in casi eccezionali, quando cioè in un dato ambiente prevalessero forze contrarie ambientali, ad impedire l’avanzare e l’operare. Ciò può accadere talvolta in luoghi dove ci siano dei miscredenti, degli scettici, degli atei».

Il primo viaggio in astrale di Luigi Bellotti avvenne la notte del 3 agosto 1924 ed ebbe il pianeta Marte come meta. Dopo avere sorvolato il Monte Bianco ed il Cervino, dopo avere attraversato «un pesante strato di nubi, densissimo, di visibile spessore, strato biancheggiante di vapori quasi immobili», Bellotti avvertì che stava cadendo: 

«Continuai a cadere; la velocità della discesa diminuiva; vidi un’infinità di planetoidi, che mi si presentarono come palle oscure di varie dimensioni, roteanti su sfondo di lapislazzuli, e continuai a cadere; vidi un sole, poi un pianeta illuminato che roteava vertiginosamente. Intuii che fosse Marte». 

Sceso a quota opportuna, Luigi Da Venezia volteggiando vide le città marziane:

«Sotto di me passavano le città dalle costruzioni rotonde cupolate, biancheggianti, alte, costruzioni numerosissime e simili fra di loro che mi davano l’impressione di luoghi di una grandissima attività, di vita attivissima». 

Vide anche i celebri canali di Marte, che solcavano vastissime pianure desertiche per irrigarle: 

«grandi, immensi canali, paralleli, tagliati nella terra con argini netti e altissimi, l’acqua in essi appariva oscura, ma di un tono caldo rossiccio».

Finalmente, il viaggiatore astrale potè incontrare i marziani

«Un gruppo di abitanti, uomini, donne e bambini (vecchi non ne vidi), vestiti in modo semplicissimo con cappe chiare, molto simili a noi, (con una massa compatta di capelli color rame, come due mezze sfere appiccicate alla testa regolare, con un naso pronunciato volto all’insù appuntito; la bocca grande con labbra sporgenti, specie il labbro superiore, di colorito olivastro, occhi neri foggiati come quelli dei giapponesi, mani normali), era aggruppato all’ombra di un’alta costruzione e contemplava, facendo gesti di stupore, colle braccia, di piacere ed anche di mistico raccoglimento, uno spettacolo meraviglioso che sembrava nuovo e non comune anche per loro».

Bellotti scoprirà più tardi, grazie ad un apporto psicografico, che quel gruppo di marziani osservava 

«un fenomeno non comune durante il quale quella parte di Marte fu illuminata contemporaneamente da due soli di altri sistemi, soli lontani, ma più grandi del nostro».

Ancora nel primo viaggio astrale su Marte, Bellotti vide un grandioso tempio che così descrive: 

«Un tempio immenso, vera costruzione ciclopica, m’attrasse subito. Quattro gigantesche colonne tortili sostenevano una massa superiore; nel centro in alto brillava una specie d’ara d’oro immensa. Una grandissima porta conduceva in una specie di atrio scoperto, nel quale erano dei guardiani con un elmo larghissimo, quasi nudi, dalla pelle ocra, rossastra. Nel cortile vidi due animali sacri, uno piccolo con una gran testa e con un naso simile a quello di questi Marziani, ma molto più pronunciato; due occhi vivacissimi e grandi piuttosto rotondi; denti pronunciati e numerosi; zampe corte e corto il corpo peloso di lunghi peli duri. L’altro animale era grande come un piccolo elefante ed a questo assomigliava un po’, ma senza zanne, colle orecchie più piccole ed in luogo della proboscide, una lunghissima zanna centrale, piatta, mobilissima, orizzontale».

Tornando a casa, Bellotti pensò di fare una deviazione di qualche milione di chilometri, e andò a vedere Saturno

«constatai la sua alta luminosità mentre il suo anello è oscuro, illuminato dalla luce riverberantesi dalla parte illuminata del nucleo centrale; l’anello (non rilevai che fossero tre vicini, che vidi color della terra) m’apparì molto largo, almeno come corpo centrale, ma molto sottile, non però così sottile come appare visto dalla terra al telescopio».

Raccontando le sue straordinarie avventure planetarie, Luigi Da Venezia immaginò il dubbio che queste suscitavano: cosa provava che stesse descrivendo Marte e non invece una sua allucinazione? La risposta del medium ha una sua sbilenca genialità: 

«Come sono riuscito io dopo un anno di esercizio metodico e paziente, anche altri potranno riuscirvi e recarsi, come altri fecero, anch’essi in Marte e altrove, a controllare ciò che affermo, ciò che realmente ho visto».

In due anni, Bellotti compì 56 viaggi astrali, che fa una media d’un viaggio ogni 13 giorni, una attività intensa, incalzante, che si alternava con molte altre, come le sedute per psicografia, la ricezione di apporti, la scrittura di articoli per le riviste metapsichiche, ma anche le interviste che apparivano ogni tanto sui giornali.

Luigi da Venezia aveva le physique du rôle per questa sua missione di iniziato: il giornalista e scrittore Giannino Omero Gallo così lo descriveva in un articolo apparso su «La Tribuna» del 17 dicembre 1926: 

« […] trenta anni, alto, magro, pallidissimo, sobriamente vestito di nero, di una rara nobiltà di lineamenti, viso allungato, fronte alta, occhi neri ma estatici, quasi vitrei, sognatori, incantatori».

Nel 1936, Bellotti annunciò che dall’al di là aveva ricevuto una straordinaria rivelazione: William anzi Guglielmo Shakespeare era italiano. Fu il diretto interessato a svelare il mistero della sua identità, lasciando un memoriale autografo, l’ennesima psicografia che si era materializzata dal nulla dentro la cassettina chiusa nel salotto di casa Bellotti. Luigi Da Venezia raccontò: 

«Il suo vero nome era Crollalanza, valtellinese, nato vicino a Sondrio, amico di Giordano Bruno, perseguitato dagli inquisitori ma, già in un primo tempo, mutò nome anche qui, in Italia, pubblicando libri di poesia col pseudonimo di Michelagnelo Florio. Fuggito dall’Italia, viaggiò l’Europa e si stabilì a Stratford dove il suo nome reale divenne quello che adottò, Shakespeare».

Com’è noto, il nome Shakespeare significa letteralmente scuoti lancia, che in italiano antico suona crolla lanza. Mentre l’identificazione tra Shakespeare e Michelangelo Florio era stata proposta per la prima volta nel 1927 dal giornalista Santi Paladino (1902-1981), pare che si debba proprio al Bellotti l’idea fantasiosa che Shakespeare sia la traduzione italiana del cognome Crollalanza.

Certe sensazionali dichiarazioni erano nello stile caratteristico di Bellotti, il quale affermava con la massima tranquillità di avere visitato Marte e di ricevere lettere regolarmente affrancate e spedite, spartiti musicali e poemi dai grandi morti. Luigi Da Venezia, fedele all’anima di Leonardo Da Vinci che si era reincarnata in lui, era enciclopedico e “scientifico”, non concedeva ai suoi ammiratori zuccherine massime morali ed esortazioni spirituali; lui eccelleva in quello che gli altri medium non tentavano neppure. 

Quale altro medium aveva pubblicato le ricette di Lavoisier per fare l’oro in laboratorio? Ovviamente, si parla non del chimico in carne e ossa, ma dello spirito di Antoine-Laurent de Lavoisier (1743-1794), che nel marzo 1928 regalò a Bellotti le formule per la fabbricazione di oro, diamanti e perle. Trascrivo la più breve, così come la trovo pubblicata su «Mondo occulto» (a.VIII, n.3, maggio-giugno 1928): 

«Far bollire a 340°, 100 di mercurio e 100 d’acido solforico. Porre nel crogiuolo con 100 d’argento puro e 30 di trisolfuro d’argento e 10 di pentasolfuro di antimonio e 10 di tellurio. Scaldare a 1500° con fomenti di borace e carbone. Fondere con acido azotico a 36°. Passare a correnti alternate jonizzate. Lavare poi la massa con acido nitrico puro, poi con acqua pura alternativamente finché rimanga l’Oro».

Dunque non ci stupisce che Luigi Da Venezia abbia voluto evocare l’anima più popolare e più richiesta fra medium, magnetizzatori, spiritisti e spiritati: Napoleone Bonaparte. Anzi, in verità fu Napoleone ad evocare Bellotti, il quale raccontò al fedele Giannino Omero Gallo, che ne scrisse su «La Stampa»: 

«Una sera m’accorsi improvvisamente di non essere più solo. L’Imperatore era presente e voleva parlarmi. La mia mano fu obbligata a tralasciare un lavoro di calcoli e diagrammi appena iniziato e a scrivere velocemente poche righe con la sua consueta calligrafia. Lo spirito di Napoleone mi avvertiva che poche sere dopo egli sarebbe apparso a Nizza sul suo cavallo bianco». 

Queste le parole che il Bonaparte dettò al veneziano: 

«La sera del 5 maggio alle ore nove mi farò vedere a Nizza. Sarò sul mio cavallo bianco. Preavvisa per presenze e controlli. Tutti mi vedranno. Le macchine fisseranno l’apparizione. Napoleone». 

Come si vede, anche dopo morto Napoleone era un tipo autoritario e altezzoso.

Bellotti avvisò subito la collega medium signora Gal, direttrice del circolo spiritistico Fiat Lux di Nizza. Nel giorno e all’ora fissati, apparve lo spirito dell’Empereur a cavallo; venne scattata (in totale oscurità, fu detto) una fotografia che rappresenta Napoleone al galoppo su un cavallo bianco. La fotografia fu riprodotta a pagina 3 de «La Stampa» di domenica 9 dicembre 1934 e perciò è facile verificare che si tratta in realtà di un disegno.

Questa volta, Ernesto Bozzano (1862-1943), decano degli spiritisti, che pure aveva un senso critico assai blando (tanto da prendere per oro colato praticamente tutte le narrazioni pubblicate sulle riviste di metapsichica), reagì con giustissima e per lui insolita fermezza, accusando Bellotti di non essere affatto credibile, perché si era sempre rifiutato di portare i “rigorosi accertamenti” necessari alle sue clamorose dichiarazioni di apporti e apparizioni. Così come rifiutò sempre di fare sedute alla presenza di testimoni non scelti da lui.

Gastone De Boni (1908-1986), discepolo e continuatore del lavoro di catalogazione parapsicologica del Bozzano, così scrisse al suo maestro, dopo una visita a Luigi Da Venezia e ai suoi cinquemila apporti:

«O il Bellotti si deciderà a riprodurre anche un solo apporto in condizioni di controllo sufficienti, o egli rimarrà inesorabilmente squalificato. Di qui non si sfugge. Ma il Bellotti non ha mai accettato alcun controllo, anzi lui paventa. […] In conclusione, io mi credo in dovere di affermare che nessuno degli apporti di Luigi Bellotti è degno di essere considerato genuino: in primo luogo perché nessuno li poté mai controllare, in secondo luogo perché egli non volle mai sottoporsi ad alcun controllo; in terzo luogo, perché essi rivestono tale carattere d’inverosimiglianza da non potersi certo accogliere in ambiente metapsichico».

L’ambiente metapsichico è più affollato di inverosimiglianze di ogni altro, ma le dichiarate prodezze di Bellotti erano addirittura grottesche, fumettistiche.

Perfino suoi amici occultisti, come l’avvocato Giovanni Battista Penne, dovettero notare l’assoluta mancanza della più piccola prova delle sue sbalorditive affermazioni. Ad esempio, una volta Luigi Da Venezia, durante un volo astrale in Messico, vide che un treno stava per fracassarsi contro un altro. I viaggiatori su entrambi i convogli dormivano, evidentemente anche i macchinisti, e lo scontro sembrava inevitabile. Luigi, con enorme sforzo di volontà, materializzò la sua mano destra e con quella tirò il freno di emergenza, evitando lo schianto appena in tempo.

Penne (che pure accoglie soddisfatto tutta la storia) fece una domanda molto semplice e opportuna: 

«Perché il Bellotti che ebbe cura di precisare il luogo, il giorno ed il momento del suo salvataggio, non ebbe altresì cura di confortarlo con qualche cronaca di giornale del Messico, che probabilmente avrà riportato il caso da Lui narrato, o con il referto di un diario di quelle stazioni ferroviarie, o procurandosi un certificato del capo treno o del capo stazione? Questo non era impossibile, ed una simile positiva ed evidente dimostrazione avrebbe contribuito assai a dare maggiore autorità e serietà al suo volume».

Eppure, nonostante le sue incessanti, eccessive, strabilianti dichiarazioni, Luigi Da Venezia era riuscito a creare di sé – presso un pubblico di bocca buona – un’immagine di scienziato, di ricercatore.

Nell’estate 1935, su L’Araldo della Salute (una rivistina che mescolava vegetarianesimo, naturismo e spiritualismo, che si stampava a Riccione), sotto il titolo “Scienziati italiani d’oggi”, si leggeva:

«Luigi Bellotti. Egli, con le arditissime e impensabili ricerche e scoperte scientifiche sta commovendo i cenacoli, i gabinetti e le accademie scientifiche d’Italia ed anche dell’estero, specialmente della Francia e dell’Inghilterra, come stiamo constatando attraverso la più autorevole stampa internazionale, quotidiana ed ebdomadaria, politica e scientifica. Ha, recentemente, annunziato le sue scoperte scientifiche. I. Riguardo alla visibilità dell’atomo, di un dato ed unico elemento. II. D’un ignoto movimento della Terra che egli denomina movimento giroscopico, il quale apporterà all’astronomia importantissime ed imprevedibili basilari innovazioni ed un originale rivolgimento alla vecchia mentalità della classica scienza. III. L’esistenza d’un altro satellite della Terra, preannunciandone con chiare e minute descrizioni la natura, il movimento, la distanza, il volume, le funzioni ed il peso specifico alla prossima opera: Dal sole all’atomo, la realtà cosmo astrofisica.

Si sta preparando un europeo referendum su le enunciazioni, le ricerche e le scoperte del Bellotti, le quali, nel lato astrofisico, sono una rivoluzione dei sistemi universo-cosmici in voga. […] Ce ne congratuliamo con lui e con la presente Italia che sanno lavorare per redimere l’umanità e creare una nuova civiltà più possente e gloriosa».

In un altro articolo: 

«Il Bellotti è una religione per i suoi discepoli, l’unica bandiera, lo credono l’incarnazione di Leonardo Da Vinci, lui stesso credendoci, e lo chiamano con somma venerazione il Signore».

Nel 1674, Nicolas Boileau scrisse: Un sot trouve toujours un plus sot qui l’admire. (Uno sciocco trova sempre uno più sciocco di lui che lo ammira). È una verità di ogni tempo.

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