“Due globi che contengono in sé misterio”. La nave volante magnetica di Bartolomeu de Gusmão
di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Girando sulla rete fra siti, blog e account social dedicati a misteri vari, può capitare d’imbattersi in una vecchia stampa, a colori o in bianco e nero, che mostra una specie di nave volante dall’aspetto barocco, con un omino ai comandi. In genere è accompagnata da brevi spiegazioni sul suo funzionamento, sovente in francese.
Le pagine e gli account che la offrono agli occhi spalancati del pubblico raccontano senza mezzi termini che all’inizio del Diciottesimo secolo, e più esattamente nel 1709, c’era chi era in grado di far volare quell’ordigno misterioso, una macchina propulsa da un’energia avanzatissima: la stessa che, oggi, farebbe muovere gli Ufo nei cieli della Terra.
Una straordinaria macchina volante nei cieli portoghesi!
Tutto iniziò nel 1784, quando, prima a Parigi, e poi altrove, apparve sui giornali una notizia sensazionale, accompagnata da immagini altrettanto sconcertanti – quelle che oggi sono rilanciate dagli appassionati di “misteri”.
Giusto un anno prima, nel 1783, i fratelli Joseph-Michel e Jacques Étienne Montgolfier erano finiti al centro dei commenti dell’intero paese e dell’Europa colta per il fatto di esser riusciti a volare in un grosso cesto legato a enormi palloni sollevati grazie al riscaldamento dell’aria. Loro, però, erano dei dilettanti a confronto di quello che era accaduto parecchi decenni prima: già nel 1709 un geniale portoghese, Bartolomeu de Gusmão, aveva carpito alla natura ben altri segreti, e aveva progettato e fatto volare un incredibile ordigno metallico, la Passarola (“Passerella”, in portoghese). E questo, senza usare un “mezzuccio” da poco come un involucro innalzato dall’aria scaldata da un braciere (oltretutto, sempre in balia dei venti), ma usando tutto un altro sistema!
La spiegazione dettagliata era accompagnata da disegni che illustravano con precisione le meraviglie della Passarola. Erano datati 1774, cioè dieci anni prima della loro comparsa sulle pubbliche piazze e nelle librerie.
Eccone una versione meravigliosa e ottimamente conservata, proveniente dai fondi della Bibliothèque Nationale de France.
Come vedete, racconta di un certo “Laurent de Guzman, cappellano del re del Portogallo”, che nel 1709 aveva inventato “una barca […] per sollevarsi e spostarsi per aria”. Una macchina fantastica, tanto più che la legenda dava dettagli di ogni genere sul suo funzionamento. Non c’era soltanto, indicata con la lettera “A”, una “velatura per sostenere la barca”, ma qualcosa di assai più sorprendente: due sfere, segnate con la lettera “E”. Si trattava di
“una calamita, nascosta dentro due globi di metallo, che attiravano il corpo della barca, ricoperta di lamine di ferro”.
E, ancora, sotto la lettera “F”, un filo metallico che comprendeva ambra (materiale noto dall’antichità per le sue qualità magnetiche), e oricalco, antica lega di rame e zinco che, si noti bene, nel Crizia di Platone si estraeva in gran quantità ad Atlantide!
Una macchina di ferro da sogno, che si sosteneva in cielo non solo grazie alle vele, ma attraverso ogni portento della scienza moderna (i magneti) e della scienza antichissima (l’oricalco atlantideo).
Chi era dunque questo cappellano del re del Portogallo, Laurent de Guzman, che molti decenni prima aveva avuto accesso a una scienza segreta, quella che permetteva di portare in cielo lui e un intero equipaggio?
Bartolomeu de Gusmão, chi era costui?
In realtà Laurent de Guzman, almeno sotto quel nome, non esisteva. I disegni del 1784 e le loro copie intendevano riferirsi a un uomo che aveva calcato sul serio le scene del mondo, ma la cui realtà storica era stata assai diversa. Un uomo vissuto a cavallo fra (almeno) due mondi, e che rispondeva al nome di Bartolomeu Lourenço de Gusmão. Un portoghese figlio del Brasile, fiore all’occhiello di un impero, quello lusitano, troppo grande per un paese ormai troppo piccolo per poterlo sostenere a tempo indeterminato. La sua inventiva tecnica, peraltro davvero notevole, è all’origine della storia della “nave volante” che vi abbiamo appena fatto vedere.
Nato a Santos nel dicembre del 1685, Bartolomeu de Gusmão visse appena trentanove anni, ma non senza lasciare una traccia importante nella storia culturale sia della madrepatria portoghese, sia di quella del Brasile moderno.
Quarto di dodici figli di un chirurgo, come molti dei suoi fratelli e sorelle fu indirizzato alla carriera ecclesiastica. Ordinato prete gesuita a nemmeno diciannove anni nel seminario di Belem, dove studiava, si rivelò eccezionalmente rapido negli studi, ma, soprattutto, versato nella tecnica ingegneristica e nelle innovazioni tecnologiche, in particolare nell’idraulica.
Viaggiò più volte fra il Brasile e il Portogallo, dove acquisì fama per la memoria prodigiosa e per la cultura enciclopedica, entrando nelle grazie di uno dei nobili più importanti del paese, Dom Rodrigo Anes de Sá Almeida e Menezes, terzo marchese di Fontes, confidente del giovane re Giovanni V di Braganza (1689-1750), il “re Sole del Portogallo”, l’uomo sotto il quale il paese raggiunse il massimo della prosperità economica e dell’influenza negli affari transatlantici.
Stabilitosi a Lisbona in via definitiva nel 1708, de Gusmão maturò l’idea che doveva dargli fama imperitura: realizzare una macchina in grado di far innalzare gli uomini per aria.
Fu per questo che nei primi mesi del 1709 presentò direttamente alla corte una “petizione di privilegio”, cioè una richiesta di brevetto di esclusiva, per il suo progetto di uno Istrumento per andare per l’aria. La notizia, diffusasi rapidamente, suscitò scalpore in Portogallo e sulle gazzette europee. Fece la sua comparsa anche la prima immagine della macchina, la Passarola, ed è da qui che iniziarono equivoci, esagerazioni e, alla fine, la trasformazione in parodia dell’idea originale. Vedremo più avanti come andarono le cose: adesso ricostruiamo la realtà storica del tentativo del gesuita.
Nel mese di agosto del 1709, ricevuto a corte con ogni onore, Gusmão effettuò, con esito diverso di volta in volta, ben cinque esperimenti del suo Istrumento davanti a Giovanni V e alla sua recentissima moglie, la regina Maria Anna d’Asburgo (1683-1754). Un altro, di maggior successo e con un Istrumento di maggiori dimensioni, ma comunque incapace di portare con sé un uomo, lo mise in atto, sempre a Lisbona, il 3 ottobre, all’aperto. Di che cosa si trattava? Com’era prevedibile, di palloni di dimensioni, foggia e materiali costruttivi diversi, ma sempre basati su quello che era plausibile: il riscaldamento dell’aria all’interno di un involucro, e il tentativo di capire i rapporti tra il riscaldamento dei gas e la densità dell’aria. Anche se, a quanto se ne sa, i saggi di Gusmão non andarono oltre questa fase, è lecito definire il sacerdote portoghese-brasiliano come un precursore del volo umano e, naturalmente, uno di coloro che aprirono la strada alla svolta dei fratelli Montgolfier, che giungerà però settantaquattro anni dopo.
Ma Gusmão era un irrequieto. La carriera ecclesiastica per lui era anche un modo per assumere una dignità sociale e una buona condizione, ma in realtà erano altri i suoi interessi principali. Negli anni ‘10 del Settecento prese a viaggiare per l’Europa: in Olanda prese contatti con altri mondi culturali e religiosi, compresi quelli protestanti. A Parigi fece l’erborista. Rientrato in Portogallo, la fama della sua eterodossia lo rese inviso all’Inquisizione, che lo accusò di parteggiare per le posizioni teologiche dei cosiddetti “Nuovi cristiani”, ossia gli ex-ebrei costretti a diventare cattolici in modo violento a partire dalla fine del Quattrocento, e poi portatori di nuovi modi di pensare Dio e la società, a mano a mano che le idee di libertà dell’Illuminismo si facevano strada.
Gusmão preferì rifugiarsi in Spagna, da dove, a Toledo, intendeva imbarcarsi per l’Inghilterra, terra di assai maggiore libertà d’opinione. Secondo documenti dell’Inquisizione portoghese redatti dopo la sua scomparsa e la cui attendibilità è oggetto di discussioni, nel 1722 si sarebbe convertito alla fede ebraica e avrebbe assunto toni misticheggianti con tratti megalomani. Morì a Toledo il 18 novembre del 1724.
A testimoniarne la fama e la rivalutazione in Brasile in tempi moderni, dal 2004 parte delle sue spoglie, recuperate già nel 1856, riposano nella cattedrale di San Paolo.
Una cosa è importante sottolineare: l’evidenza documentaria disponibile indica che in nessun modo le vicissitudini che Gusmão attraversò nella seconda parte della sua esistenza fossero legate agli esperimenti con gli aerostati e all’idea di far volare l’uomo. La cosa va detta con chiarezza, soprattutto in vista di quello che racconteremo ora: i modi in cui il progetto di Gusmão fu presentato, come giunse all’opinione pubblica europea e poi andò incontro a una seconda ondata di popolarità: quella dei tempi dei Montgolfier e del trionfo delle idee del medico tedesco Anton Mesmer, l’uomo-miracolo dell’ultimo quarto del Settecento,.
Pier Jacopo Martello smentisce tutto!
Come si diceva, la storia dell’Istrumento di Gusmão suscitò entusiasmo ovunque: subito assunse caratteristiche fantastiche, con descrizioni e illustrazioni del tutto improbabili e che nel tempo andarono incontro a rifacimenti di ogni genere.
Una dettagliatissima anche se parziale ricostruzione dello sconquasso che Gusmão, senza volerlo, suscitò in mezza Europa, si deve allo storico della scienza (in particolare dell’aviazione) e bibliografo Giuseppe Boffito (1869-1944). Lo avevamo già incontrato come biografo di un altro sognatore aeronautico e della scienza, Alessandro Volante, di cui ci eravamo interessati per una puntata della nostra rubrica Divergenti su Query, il trimestrale cartaceo del CICAP.
Boffito si occupò di Gusmão nel secondo di due articoli su alcuni falsi della proto-storia aeronautica pubblicati nel 1919-20 su La Bibliofilia (ciò che ci riguarda è nel vol. 21, nn. 8-12 del novembre 1919-marzo 1920, pp. 257-73). Per farlo, presentò il ruolo centrale che nello smentire le fantasie sul portoghese ebbe uno dei più celebri letterati e filologi di inizio Settecento, il bolognese Pier Jacopo Martello (1665-1727).
Autore iperbarocco, Martello era affascinato dal volo. Per questo, aveva dedicato alle “macchine per l’aria” due scritti partoriti in un breve lasso di tempo: Gli occhi di Gesù (1707) e il dialogo Del volo (1709), che l’anno dopo raccolse insieme ad altri nel volume Versi e prose.
La storia di Gusmão cadde a fagiolo: nel 1709 a Martello arrivò fra le mani uno degli opuscoli ed estratti di gazzette che davano la notizia della fantastica macchina volante che sembrava si stesse sperimentando sul Portogallo, e, a quanto pare, credette per filo e per segno alle versioni magniloquenti che giravano.
In particolare, gli giunse un opuscolo di quattro pagine, in tedesco, pubblicato da poco a Vienna presso lo stampatore Schönwetter con il titolo Abriss von Fliegenden Schiffen. Descriveva una nave “tutta di ferro”, capace di portare dieci o undici uomini oltre all’Artefice, che, dentro due globi… che contengono in sé misterio, nascondeva due calamite che avrebbero dovuto “attirare la nave a sé”.
Nel corpo c’erano dei mantici che avrebbero dovuto supplire alla propulsione in caso di difficoltà e sopra la nave, per completare l’opera, delle vele. Non mancavano delle reti metalliche superiori, contenenti ambra, materiale accumulatore di elettricità statica, che avrebbero contribuito a sostenere l’arnese.
Quel “cumulo di bestialità”, commentava Giuseppe Boffito nel suo articolo, non impedì a Martello di cascarci, tanto da fargli presentare l’opuscolo, completo dell’illustrazione che lo adornava (eccola qui accanto), nella prima edizione del suo dialogo Del Volo. I “globi” metallici con le calamite sono quelli indicati con la lettera E.
Mentre la storia e altre versioni dell’opuscolo dilagavano ovunque (per esempio, sempre nel 1709, attraverso la rappresentazione fattane per tutta l’Europa salottiera da un periodico di gran moda, il viennese Wiennescheis Diarium), ad aprire gli occhi a Martello fu uno dei presenti agli esperimenti (quelli veri) fatti da Gusmão a Lisbona. Si trattava del cardinale Michelangelo Conti (1655-1724), già legato pontificio presso la corte portoghese, e poi, nel 1721, papa Innocenzo XIII, che gli spiegò di persona, per filo e per segno, che l’Istrumento di Gusmão era costituito da una serie di tentativi di far volare dei palloni ad aria calda, di norma conclusisi con scarso successo e con l’incendio degli stessi aerostati. Delusissimo, Martello si affrettò a smentire il contenuto fantastico dell’opuscolo nella seconda edizione di Del Volo.
Il senso di una storia e la sua riemersione
La “meraviglia” introdotta nella storia della nave volante portoghese era dunque l’uso fantastico delle calamite a fini propulsivi. Lentamente, a inizio Settecento il magnetismo e le proprietà delle calamite cominciavano a essere comprese e studiate in modo sistematico, e, un po’ per volta, intorno ai fenomeni magnetici si prendeva a fantasticare. Così, la popolarità della storia della nave di Gusmão, pur attenuatasi, non cessò mai del tutto. Riemerse al momento opportuno, generando magnifiche illustrazioni e spiegazioni fantasmagoriche come quelle che abbiamo visto in apertura, per la convergenza di due novità rivoluzionarie. La prima, il successo degli aerostati in grado di portare in una navicella persone, cose e animali, inaugurati dai Montgolfier nell’estate-autunno 1783; la seconda, nel 1784, il picco della popolarità e delle polemiche sulle teorie e le pratiche di Anton Mesmer, che pretendeva di aver scoperto un “magnetismo animale” presente in tutti gli esseri viventi.
Il disegno che abbiamo visto all’inizio, falsamente retrodatato di dieci anni (1774) rispetto alla realtà della sua comparsa e poi diffuso in forme più o meno differenti negli anni dopo il 1784, ha intento satirico. Prende in giro sia i palloni dei Montgolfier e le loro idee, ritenute folli, sia la mania di massa per le terapie mesmeriste e gli esperimenti sui mesmerizzati. Le vignette anti-mesmerismo erano comunissime, come si vede dall’esempio qui accanto, datato 1780.
La nave volante di Gusmão, si diceva in quegli anni, vola come e dove gli pare, e dunque metterà in disparte i palloni Montgolfier, perché funziona grazie al magnetismo, vera chiave di ogni segreto della natura.
Certo, rimarrebbe da capire chi sia stato all’origine, nel 1709, delle prime versioni dell’immagine della Passarola poi circolate in fogge diverse per tutto il Settecento. Come si diceva, Gusmão è tenuto in grande considerazione soprattutto in Brasile. Ed è proprio in un’accurata História Geral da Aeronáutica Brasileira. Dos primórdios até 1920, Vol. 1 (INCAER, Rio de Janeiro, 1988, pp. 66-111; lo stesso in un opuscolo più recente dell’INCAER, Istituto Storico dell’Aeronautica Brasiliana) che la sua comparsa è attribuita a Joaquim Francisco de Sá Almeida e Meneses (1695-1756), figlio allora adolescente del marchese di Fontes, il mentore di Gusmão, che lo ospitava presso la sua villa.
Un po’ per scherzo, un po’ per cercare di tenere lontani i curiosi attraverso l’ironia, il giovane avrebbe fatto degli schizzi fantasiosi, che poi avrebbero preso a circolare come “vere immagini” dell’inesistente macchina.
Non siamo del tutto sicuri che sia andata così, tuttavia quella imagerie ci interessa, oltre che per raccontare uno dei modi con i quali nascono le storie sulle “tecnologie segrete”, soprattutto perché contribuì a forgiare le idee degli occultisti moderni e dei precursori del mito Ufo sull’esistenza di velivoli misteriosi propulsi da energie straordinarie. Con le illustrazioni della Passarola di Gusmão si tratta ancora di “calamite” e poi di “magnetismo”, perché quello c’era a disposizione. Solo a partire dagli esperimenti del fisico danese Hans Christian Ørsted, nel 1820, comincerà a diventare chiaro il legame tra elettricità e magnetismo. Negli anni ‘60 dell’Ottocento, James C. Maxwell riuscì a unificare in modo soddisfacente ottica, elettricità e magnetismo, dando origine a quella vera e propria rivoluzione della scienza rappresentata dall’elettromagnetismo.
La popolarizzazione delle scoperte sui campi elettromagnetici raggiunse scrittori di fantascienza, esoteristi e sognatori di ogni tipo. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo successivo, aeronavi misteriose avvistate nei cieli, dirigibili di malvagi che nei romanzi minacciavano il mondo, aeronavi di civiltà antichissime come Lemuria e Atlantide cominciarono a funzionare con motori elettromagnetici. Più tardi queste fantasie si trasferirono all’ufologia più credula. A partire dal 1949, uno dei papà del “contattismo” ufologico, l’americano George A. Adamski, prese a parlare delle navi spaziali degli abitanti degli altri pianeti del sistema solare che regolarmente ci visitavano. Quando, finalmente, nel 1952 venusiani, marziani e gioviani presero a incontrarlo di persona, gli spiegarono anche come funzionavano i sigari volanti che portavano al loro interno i più piccoli dischi volanti: si muovevano in aria grazie all’elettromagnetismo.
Come conferma, ecco il bellissimo schema del ricognitore venusiano, opera del disegnatore Glenn Passmore, pubblicato nel secondo bestseller di Adamski, A bordo dei dischi volanti (1955). La sfera superiore e le tre palle sottostanti sono gli accumulatori dell’energia elettromagnetica che li fa volare.
Confrontatele con i due globi “magnetici” del disegno della Passarola settecentesca, e noterete una certa somiglianza. Tanto da indurre al sospetto alcuni tra i più vivaci appassionati di misteri: Gusmão aveva capito tutto, e non aveva fatto altro che anticipare le rivelazioni fatte dagli extraterrestri a George Adamski nei primi anni ‘50 del Novecento.
Non pare anche a voi?