16 Settembre 2024
Biografie

Il fantastico universo del professor Calligaris

di Paolo Cortesi

A vederlo, era il tipico professore universitario dei primi del Novecento: serio, quasi accigliato, solenne, ieratico. Eppure, Giuseppe Calligaris, che faceva sempre seguire il suo nome dalla dicitura “Docente di neuropatologia alla R. Università di Roma”, era molto più sovvertitore e iconoclasta del futurista Marinetti a cui assomigliava.

Marinetti, infatti, si limitava ad esaltare quello che ogni ricco borghese poteva permettersi (l’automobile, i viaggi in aereo, l’arroganza), ma non si era mai neppure avvicinato alla stravolgente certezza del professore:

«La nostra superficie cutanea, non un solo punto microscopico escluso, rappresenta un grande specchio magico sul quale viene riflesso tutto quanto esiste nel cosmo nel senso più lato: non soltanto la terra e gli astri, ma anche i mondi stellari che gravitano intorno a milioni di altri soli».

Giuseppe Calligaris era nato a Forni di Sotto, nella Carnia udinese, il 26 ottobre 1876, da Domenico, medico condotto del paese.

Si laureò in medicina all’Università di Bologna nel 1901, con una tesi dal titolo Il pensiero che guarisce, poiché fin dall’epoca degli studi, Calligaris era affascinato dai legami tra corpo e psiche. Il venticinquenne neolaureato non immaginava neppure fin dove lo avrebbe portato questo suo interesse.

Aiuto del professor Mingazzini, direttore dell’Istituto di neuropatologia dell’Università di Roma, Calligaris aprì con il padre, nel 1909, a Udine la «Casa di cure per malattie nervose e del ricambio», di cui il fratello Plinio, ragioniere, fu il direttore amministrativo.

Nel 1908, Giuseppe Calligaris sottopose all’Accademia medica dell’Urbe una memoria (La metameria sensitiva spinale) che è, per così dire, la madre di tutte le future affermazioni del medico: l’intera superficie cutanea umana è suddivisa con precisione geometrica in linee speciali, rivolte in quattro direzioni, longitudinale, trasversale, obliqua destra e sinistra.

Questa trama che avvolge tutto il corpo è “la mappa” in cui si localizzano tutti i disturbi della sensibilità (cerebrali, periferici e funzionali). Il presidente dell’Accademia, il professor Guido Baccelli (1830-1916), nominò una commissione per valutare l’ipotesi di Calligaris, la quale concluse il suo lavoro non confermando la teoria del friulano, a cui consigliò di proseguire le ricerche. Un modo rispettoso per dire al medico che era fuori strada.

Calligaris, invece, andò ben oltre al semplice riconoscimento di linee dalla spiccata sensibilità. Nel 1927/1928, la teoria generale della sua straordinaria visione dell’uomo e del cosmo era compiuta ed elaborata e negli anni futuri, fino alla morte avvenuta nel 1944, Calligaris continuò le sue ricerche, in un percorso mentale autoalimentante di “conferme” e di continue “scoperte”, una più sensazionale dell’altra.

Egli scoprì (o meglio, fu certo di scoprire) che tutta la superficie del corpo umano era attraversata da un regolare e simmetrico reticolo di catene lineari – come lui le chiamò    – che sono collegate non solo agli organi interni, al sistema neurovegetativo e alle ghiandole esocrine, ma anche alla mente. Dunque stimolando con un ago faradico, con un magnete o con un cilindretto di metallo, una singola placca (cioè una piccola porzione circolare dell’epidermide ben determinata) il soggetto esaminato avrà immagini mentali o vivrà emozioni collegate a quella placca.

Questo meccanismo è immutabile e rigoroso: le catene lineari, scrive Calligaris, si riflettono 

«in modo predestinato, secondo regole fisse e con una precisione immancabile nel mondo della Psiche». 

E ancora più chiaramente: 

«Tutto è fisso, tutto è regolato, tutto è matematico in quei complicatissimi ma perfettissimi giochi funzionali delle catene lineari del corpo e dello spirito».

Calligaris ha redatto nel tempo uno sterminato elenco di queste placche e le loro relative caratteristiche. Esiste, ad esempio, la placca della vendetta: applicando il martelletto su un punto del dorso del piede sinistro, il soggetto sarà preso dal desiderio di rivalsa. E anche invidia (guancia sinistra), crudeltà (faccia anteriore del braccio sinistro), ingiuria (lato esterno guancia destra) e disperazione (faccia dorsale polso destro sulla linea del dito medio) possono essere indotte artificialmente, premendo la specifica placca.

Fortunatamente esistono anche placche che suscitano sentimenti piacevoli: la felicità si ottiene premendo la placca situata nella faccia posteriore della gamba destra, sotto la piega del ginocchio. La pietà proviene dal palmo della mano destra, alla base del dito medio.

Calligaris “scoprì” anche curiose emozioni indotte dallo stimolo di alcune placche. Un placca di tredici millimetri di diametro si trova – così assicura lo studioso – nella faccia posteriore della spalla sinistra, tre centimetri dietro la linea laterale, sulla linea articolare scapolo-omerale. Ebbene, sollecitata, essa trasmetterà un ricordo patriottico.

C’è poi una placca (faccia anteriore gamba sinistra, due centimetri all’interno della sua linea assiale, cinque sei centimetri sopra la linea articolare del piede) che trasmette un’emozione nel lavoro, e non ne sappiamo di più, ma francamente non è un cruccio.

Le prodigiose catene lineari non sono solo caratteristica del corpo umano, non sono una semplice proprietà fisiologica; esse sono porte aperte verso l’esterno, un esterno senza limiti che si estende fino ai confini dell’universo.

Il fittissimo sistema cutaneo che Calligaris ha disegnato è, in sostanza, uno specchio del cosmo, una mappa universale, perché ogni cosa esistente emette radiazioni che il corpo umano percepisce tramite le placche; Calligaris parla di riflesso astro-cutaneo. Non a caso, un suo libro si intitola L’Universo rappresentato sul corpo dell’uomo (Udine, Istituto delle Edizioni Accademiche, 1936).

«Tutto quanto avviene nell’universo», scrisse Calligaris nell’ultimo periodo della sua sconcertante attività 

«è raccolto e depositato sul piano della subcoscienza di ogni essere umano che può diventare onnisciente e onniveggente quando questi depositi affiorano sul piano della sua coscienza».

E ancora: 

«Il corpo dell’uomo è un risonatore di tutto l’universo. Al cervello di tutti gli esseri umani pervengono nello stesso tempo infiniti altri messaggi, cioè infinite altre irradiazioni partite non solo da esseri viventi e cose del nostro mondo ma da tutto l’Universo».

Ma, e questa è forse la più straordinaria delle «rivelazioni sorprendenti» di Calligaris, egli “scoprì’” che l’uomo non è solo ricevente, ma anche trasmettitore di immagini, emozioni, sensazioni e idee, sempre grazie alla catene lineari di corpo e psiche.

Il medico friulano arrivò a stabilire una legge naturale: 

«Le immagini che passano per il nostro cervello, e così si può dire dei sentimenti, vengono automaticamente e fatalmente riflesse sugl’individui che ci sono vicini, accendendo sul loro corpo corrispondenti sistemi cutanei, la cui iperestesia non può non riflettersi su concatenati sistemi psichici del cervello, evocando come un’eco le stesse immagini e gli stessi sentimenti. Tutto ciò avviene nel campo della subcoscienza».

Insomma, i pensieri e le emozioni sono necessariamente irradianti, perciò la telepatia è «una legge universale e generale», come la gravitazione.

Si possono inviare pensieri e immagini, tra due soggetti sintonizzati, anche a distanze enormi; il mezzo è sempre lo stesso: stimolazione della placca specifica. Tra le placche («il loro numero è così grande da non poter essere valutato») ve ne sono diverse che hanno effetti a dir poco bizzarri: una «trasmette simpatia o antipatia per un obbietto qualsiasi alla distanza fra 1 metro e 2000 chilometri» (c’è da domandarsi come Calligaris abbia potuto fare esperimenti con elementi lontani duemila chilometri, che è – per farsi un’idea – la distanza fra Udine e Lisbona); una placca «provoca paura alla distanza fra 1 metro e 500 chilometri»; un’altra «provoca tosse, singhiozzo e starnuto, lacrime fra 1 metro e 100 chilometri»; un’altra ancora «provoca fame alla distanza tra 1 metro e 10 chilometri».

Poi ci sono placche la cui stimolazione suscita visioni mentali (il soggetto dell’esperimento deve essere sempre a occhi chiusi o meglio bendato): c’è una placca che ha questo effetto: 

«l’esaminato che può trovarsi a Roma o in qualsiasi parte del mondo, vede, più o meno chiaramente, il Colosseo dall’esterno». 

Una placca, sulla faccia anteriore della gamba destra, sotto il bordo inferiore della rotula, a seguito di stimolazione 

«presenta la visione di 2 o 3 piramidi d’Egitto che si susseguono una all’altra, con le pietre che le costituiscono e con il paesaggio immediatamente vicino (sabbia, muri, strade, ecc.)».

E non dimentichiamo la placca («faccia anteriore braccio sinistro, sul bordo esterno della sua linea assiale, in un piano che passa 6 cm. ad un dipresso sopra la piega del gomito») che dona all’esaminato 

«l’immagine di diversi uomini di razza nera».

Oltre a questi scopi futili e assurdi, ci sono impieghi più interessanti della telepatia indotta tramite sollecitazione delle placche: 

«Se il capitano o il telegrafista di ogni nave viaggiante si caricasse ogni mattina una determinata placca cutanea sul proprio corpo, esso sarebbe poi in grado di captare per 24 ore (se non dorme) un messaggio di avviso o di allarme, trasmesso da un individuo che trovasi sopra un’altra nave che è in pericolo sulla superficie dello stesso mare, in un raggio di 5000 km».

Dagli anni Trenta del secolo scorso, l’attenzione di Calligaris si concentrò sempre più sulla metapsichica, per interpretarla e svelarne tutti i fenomeni che egli riconduceva alla incessante, illimitata azione delle radiazioni che provenivano da corpi viventi e da materia inanimata e che determinavano il pensiero e il sentire dell’uomo.

La fiducia di Calligaris nelle pretese radiazioni (percepite e inviate) divenne una vera fede nell’assoluta onnipotenza di queste misteriose vibrazioni, di cui non sapeva nulla, ma delle quali stabiliva le attività e la portata, misurata con la precisione di un regolo calcolatore.

Stimolando le giuste placche, si poteva avere visione di ogni cosa nell’universo; Calligaris, nel 1942, pubblicò La televisione degli astri. La luna (Editore Giulio Vannini, Brescia), un grosso volume di 400 pagine, in cui egli spiegava l’applicazione all’astronomia della sua teoria delle placche cutanee.

I pianeti del sistema solare hanno bande di proiezione sul corpo umano (tra parentesi: dato che sono molte centinaia le zone iperestesiche individuate da Calligaris, come mai non si accavallano le relative immagini?).

La banda del pianeta Mercurio si proietta sul volto, sul labbro superiore fino alle guance, Venere attraversa il collo, poco sotto il mento; la Terra ha la banda che corre da clavicola a clavicola; Plutone ha la banda più bassa, in corrispondenza della punta dello sterno.

In ciascuna di queste bande, che Calligaris chiama dermatomeri

«vi sono tutte le rappresentanze del pianeta in esame (il suo cielo con la luna, il suo stato fluido, solido, ecc., i mari e i continenti, i vegetali, i minerali e gli animali, nonché il Sole che viene proiettato in ogni dermatomero)».

Il modo più sicuro per esaminare i pianeti è posare la mano sulla foto del corpo celeste che si vuole osservare e stimolare le placche che fanno vedere le montagne, o la vegetazione, o gli abitanti di quel pianeta.

Calligaris studiò la Luna, e riportò nel volume citato le descrizioni delle immagini percepite dai soggetti tramite l’ultratelescopio delle placche cutanee. «Nella Luna» scrive il fantastico neurologo «non si vedono nuvole, non vapori né pioggia, e non si vede acqua alla sua superficie», e fin qui siamo tutti d’accordo. Ma poche pagine dopo, il dott. prof. ci illustra i tre tipi di vegetazione lunare: uno è di tipo corallo («molte radici come impietrite, di color grigio marrone, del diametro di circa mezzo metro, bitorzolute, alte 2-3 metri, che s’intrecciamo formando dei rialzi circolari od ovali. Sembrano dei gruppi simili a quelli formati dai nostri coralli. Questo è il tipo predominante sulla Luna»). Poi c’è il tipo canna («fusti alti e sottili che s’innalzano su località coperte da una specie di lava»); infine c’è il tipo fungo o medusa («si tratta di vegetali aventi la forma dei nostri funghi, ma di consistenza solida come la corazza delle tartarughe. Portano gambi come tentacoli, la loro superficie è solcata, alcuni hanno un’ombrella molto grande»).

Una placca sull’avambraccio sinistro consente di vedere le bestie lunari, un tipo delle quali vive specialmente sulle colline che circondano i deserti; 

«queste bestie si possono paragonare a sfere di un diametro che varia fra i 5-6 cm. e 1 metro, circondate da lame acute più chiare del corpo che ha un colore marrone». 

Ci sono anche animali simili alle foche, e 

«grandi libellule di color grigio, formate da due lunghe lamine sottili, cartilaginee o coriacee, che sono articolate fra loro ad un estremo e si muovono aprendosi e chiudendosi come ali di grandi farfalle. Pare che volino rasentando il suolo, e si vedono per lo più sulle montagne, intorno ai crateri».

Calligaris non ci spiega come possano volare le spigolose libellule lunari in mancanza di atmosfera, ma forse non aveva pensato di scoprire la placca cutanea dell’aerodinamica selenita.

«Abitanti della Luna non esistono», rivela Calligaris, e questa doccia fredda di duro realismo un po’ dispiace. Ma evidentemente esistettero, perché «con la carica di determinate placche cutanee» sono state osservate 

«opere artificiali o manufatti di esseri pensanti, non prodotti naturali […] L’esaminato vede una gradinata che discende verso una caverna che ha forma rotondeggiante e parecchie pareti divisorie con dei fori. Dal primo sotterraneo si vedono altre gradinate discendere in un sotterraneo sottostante, che è più esteso del primo, e al di sotto si scorgono altri ambienti sempre più vasti. Tali scale, i cui gradini hanno l’altezza di circa 1 m. e la lunghezza di 2-3 metri, che mettono in comunicazione i diversi piani sotterranei, sono regolari e simmetriche, cosicchè si debbono certamente considerare come opere artificiali o manufatti di esseri pensanti e non già come prodotti naturali».

Nel libro dedicato alla Luna, Calligaris dette alcune anticipazioni delle sue ricerche sugli altri pianeti del sistema solare. Così, apprendiamo che solo due pianeti sono abitati, Marte e Venere. I marziani sono glabri, i venusiani (Calligaris li chiama veneriani) hanno pochi peli ispidi. La testa marziana è sferica, quella venusiana è di forma allungata. I marziani hanno orecchie senza padiglioni, i venusiani hanno padiglioni appuntiti. I marziani hanno un solo occhio rotondo in mezzo alla fronte ed è simile ai nostri; i venusiani hanno molti piccoli occhi vicini fra loro, eccetera.

La fantasia (o piuttosto la visionarietà) di Calligaris era febbrile e inesauribile. Egli era certo che 

«ogni elemento inanimato non soltanto emana radiazioni sue proprie, ma conserva, depositato ed impresso nei suoi meccanismi atomici, tutto il suo passato che può essere rivelato». 

Qui ci troviamo in pieno occultismo; non c’è più neppure un tentativo di spiegazione razionale, ma ogni dichiarazione, anche la più astrusa, si fonda sulla fede nella psiche universale la quale ha, in buona sostanza, gli attributi di un dio: essa può tutto, comprende tutto, annulla lo spazio e il tempo in una atemporalità assoluta in cui passato, presente e futuro sono i goffi nomi che la debole mente umana ha dato alle apparenti correnti di un unico fiume: 

«Tutto resta nel mondo, e vi resta conservato per l’eternità, depositato in ogni particella dell’Universo (che comprende tutti i regni della natura) nella quale, notisi bene, è per di più segnato anche il futuro».

Nella sua frenetica attività di ricerca (c’è da chiedersi come trovasse il tempo per queste centinaia di “sperimentazioni”, mentre lavorava nella sua clinica), Calligaris “scoprì” delle placche cutanee se possibile ancora più sbalorditive delle altre, che pure erano fenomenali: esistevano placche che permettevano di vedere l’autore di un libro, di un dipinto, di una statua, semplicemente toccando questi oggetti.

Nel libro Le immagini dei vivi e dei morti richiamate dalle loro opere (Udine, Istituto delle Edizioni Accademiche, 1935), l’infaticabile professore raccolse decine di descrizioni di artisti dettate dai soggetti di cui aveva stimolato la placca opportuna, che si trova al centro del petto, leggermente a destra.

Le visioni, in verità, non rivelarono nulla dell’aspetto fisico che già non si fosse visto nei più noti ritratti. Così, Leopardi è «un omino non molto alto, piuttosto brutto, gobbo»; Leonardo Da Vinci appare come nel celeberrimo presunto autoritratto di età avanzata: «Vedo un uomo, faccia da vecchio, pelle del volto rugosa, una barba a tutto mento molto lunga occupa tutto il collo, anche le guance, fino alle orecchie, occhi grandi, naso lungo, volto serio, bocca piccola, sopracciglia lunghe»; Raffaello: «figura snella, veste a colori, occhi grandi e dolci, un volto giovane, capelli a zazzera con una frangetta sulla fronte, un volto femminile, pelle liscia, collo piuttosto lungo, ben segnate le sopracciglia, un bel volto».

Come spiegare la straordinaria avventura di Calligaris? Perché uno studioso formatosi nella cosiddetta scienza ufficiale ha dedicato la sua vita a una teoria così palesemente assurda? Come poteva dichiarare verità le sue caotiche fantasie? Non si può dare una risposta unica e decisiva, e forse neppure il professore avrebbe potuto farlo.

Di certo, si può solo affermare che Calligaris sopravvalutava la sua conoscenza, riteneva infallibile la sua capacità interpretativa, credeva sempre esatte le sue illazioni e non teneva in alcun conto le critiche. Lo scrisse più volte e senza mezze misure:

«Non escludiamo l’influsso degli astri e non neghiamo che un esperimento possa fallire perché la Luna è in una fase piuttosto che in un’altra, perché Marte e Venere sono in una posizione non favorevole, ecc. Se qualche occhialuto, barbuto e canuto cultore dell’onniscienza ride di ciò che stiamo scrivendo, noi, naturalmente, ce ne ridiamo di lui».

Dei critici: 

«Essi non pensino che io mi lasci perturbare minimamente dalle opposizioni e dalle derisioni, poiché da trent’anni ho camminato imperterrito per la mia strada, senza curarmi per nulla del volgo profano, pubblicando finora, su “Le catene lineari del corpo e dello spirito”, 50 lavori sparsi e 15 volumi».

«Quando si ha ragione ventiquattro ore prima degli altri, si passa, durante quelle ventiquattro ore, per una persona sprovvista di senso comune».

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