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Da dove arriva la pietra dell’altare di Stonehenge?

di Agnese Picco

Stonehenge è un monumento megalitico famoso in tutto il mondo e spesso citato come metro di paragone per nuove scoperte. Nonostante sia nell’immaginario comune sinonimo di antichi misteri, dal punto di vista archeologico sono ormai molte le informazioni in nostro possesso, a partire dalla sua storia. Le prime strutture ad oggi note sono 5 buche, tre delle quali contenevano probabilmente grossi pali eretti tra l’8500 e il 7000 a.C, durante il Mesolitico. Successivamente, intorno al 3500, nella zona comparvero diverse strutture, come terrapieni e lunghi tumuli. Per quanto riguarda in senso stretto il monumento oggi conosciuto come Stonehenge, la sua comparsa si può far risalire al Neolitico. Intorno al 3000 a.C fu costruito un fossato circolare che racchiudeva un’area di circa 100 metri con strutture di legno e 56 buche, note come Aubrey Holes. All’interno e attorno a quest’area sono state trovate 150 sepolture ad incinerazione che hanno permesso di identificare lo scopo funerario del monumento.

Il cerchio di pietre come lo conosciamo oggi venne eretto intorno al 2500 a.C. I megaliti presenti a Stonehenge appartengono a due tipi diversi: le pietre sarsen, più grandi e posizionate nel cerchio esterno e nel ferro di cavallo più interno, e le blue stones, più piccole, sistemate tra i sarsen, a doppio arco. Queste ultime furono riposizionate circa 200 o 300 anni dopo, in concomitanza alla costruzione del viale rialzato che collega il monumento al fiume. Le ultime modifiche risalgono al 1800/1500 a.C, quando furono scavate alcune buche concentriche, ma Stonehenge non fu dimenticato e rimase un punto di interesse per le comunità locali che, ad esempio nella successiva età del Bronzo, concentrarono attorno al sito diversi tumuli funerari. Il monumento era noto in epoca romana. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce diversi oggetti appartenenti a questo periodo, ma i primi riferimenti scritti ad oggi noti risalgono al medioevo.

Nonostante le molte informazioni che si stanno accumulando su questo noto e suggestivo sito (ad esempio questo studio recente riguardante alcune blue stones), alcuni dati sono ancora ignoti o controversi. Ad esempio i ricercatori cercano di definire nel modo più preciso possibile il luogo di provenienza dei megaliti. Comprendere e contestualizzare questi dati permette agli archeologi di definire meglio il raggio dei contatti tra le popolazioni neolitiche, la loro consistenza e gli strumenti che avevano a disposizione. Secondo quanto scoperto fino ad oggi, i sarsen più grandi provengono dalla zona di Marlborough, circa 25 km a nord di Stonehenge. Sotto il nome blue stones sono state raggruppate invece tutte le pietre di origine non locale. Alcune sono state collegate a cave neolitiche presenti nel Galles occidentale.

Il blocco più grande appartenente alla categoria delle blue stones è la cosiddetta Altar Stone, posizionata in orizzontale al centro del monumento e oggi spezzata nel mezzo. Si tratta di una pietra composta da arenaria micacea, lunga quasi 5 metri e del peso di 6 tonnellate. Studi precedenti hanno associato questo monolite all’arenaria rossa, presente ampiamente sia in Gran Bretagna che in Irlanda.

Sezione centrale dell’Altar Stone, foto da “The Stones of Stonehenge“, via Wikimedia Commons, licenza CC BY 4.0 International

Uno studio pubblicato sulla rivista Nature ad agosto 2024 prova a circoscrivere l’area di provenienza dell’Altar Stone analizzando i granuli minerali detritici. Le rocce sedimentarie, formate da detriti accumulatisi nel corso del tempo, riflettono spesso una storia complessa riguardante il trasporto e sedimentazione delle particelle dalle quali sono formate. Lo studio della loro composizione può quindi dare una precisa informazione riguardo la loro provenienza. I dati isotopici per lo zircone detritico e il rutilo (U–Pb) e l’apatite (U–Pb, Lu–Hf e oligoelementi) indicano che l’Altar Stone di Stonehenge proviene dal bacino delle Orcadi, nel nord-est della Scozia, a circa 750 km di distanza dalla piana di Salisbury, dove sorge il monumento megalitico. 

Questo dato può sembrare sorprendente: come possono popolazioni neolitiche aver anche solo saputo dell’esistenza di questa pietra così distante? Qui ci viene però in aiuto l’archeologia. Grazie a nuove analisi si è scoperto che le persone sepolte in questo periodo nei dintorni di Stonehenge avevano una mobilità molto ampia all’interno della Gran Bretagna (ad esempio vedi questo studio). Anche gli stili architettonici, i motivi dell’arte rupestre e i manufatti dimostrano contatti a lungo raggio tra isole Orcadi, Gran Bretagna e Irlanda (ad esempio vedi qui).

Un monolite del peso di 6 tonnellate, però, non è facile da trasportare per lunghe distanze. Come si può fare? I ricercatori firmatari dello studio ipotizzano che l’Altar Stone sia stata trasportata via mare. Infatti, anche con l’aiuto di animali da soma, le barriere naturali via terra sarebbero state insormontabili. Parliamo di numerosi fiumi da attraversare, i monti Grampiani e Pennini, il paesaggio prevalentemente boscoso dell’isola ecc.. Abbiamo invece notizie che la navigazione, anche in mare aperto, era ben sviluppata e utilizzata. Ad esempio, intorno al 5000 a.C., le popolazioni neolitiche portarono dall’Europa fino alle Orcadi il topo di campagna, probabilmente proprio nelle stive delle navi che compivano quella tratta (come riportato in questo studio). Abbiamo anche le prove di un commercio a lunga distanza riguardante l’industria litica (ad esempio uno strumento trovato nel Dorset proveniva probabilmente dalla Normandia centrale).

Sebbene ulteriori indagini saranno utili per individuare la cava neolitica, i contatti tra le popolazioni e le rotte commerciali seguite, ogni nuova scoperta ci avvicina ad un’idea del mondo neolitico molto diversa da quella che si aveva in passato. I commerci a lungo raggio anche seguendo rotte in mare aperto collegavano le persone e permettevano la diffusione non solo di beni, ma anche di innovazioni tecnologiche, idee e correnti religiose.

Foto di apertura di Chbec da Pixabay