Giandujotto scettico

Santo Stefano de’ changeling

Giandujotto scettico n°172 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo

Poco fuori dall’abitato di Morozzo, a circa quattordici chilometri da Cuneo, c’è una piccola cappella campestre dedicata a santo Stefano. Fra il 2014 e il 2015, i suoi affreschi tardo-gotici sono stati oggetto di un restauro che li ha riportati agli antichi splendori. Particolarmente interessante per chi si interessa di leggende antiche è la fascia superiore dell’abside, che racconta in sei scene l’infanzia di santo Stefano. Insieme a quella, una credenza dai contorni cupi: quella che i bambini potessero essere scambiati nella culla con esseri diabolici. Una disavventura che era accaduta, stando ai racconti medievali, anche ad alcuni dei santi più celebri della cristianità.

I dipinti di Morozzo

I dipinti della Cappella di santo Stefano risalgono al tardo Quattrocento; non se ne conosce l’autore. Nell’abside, la fascia inferiore è occupata da immagini della Madonna e santi e da un affresco seicentesco della lapidazione di santo Stefano, che fu probabilmente sovrapposto a dipinti precedenti. Nella fascia superiore, invece, il racconto dell’infanzia di santo Stefano viene sviluppato in sei momenti:

  1. La nascita: in un quadretto intimo, il padre di santo Stefano offre del brodo alla sposa che ha appena partorito, come un tempo si usava con le puerpere. Santo Stefano, neonato, è in braccio a una balia.
  2. Il rapimento: nel lettino, al posto del neonato, ora c’è un demonietto nero, mentre un altro diavolo scappa dalla finestra con il “vero” santo Stefano. 
  3. Il salvataggio: il diavolo abbandona santo Stefano sui monti, dove sarà ritrovato da un monaco e allattato da una cerva (in molte agiografie, il salvatore è identificato con un certo “vescovo Giuliano”).
  4. Il ritorno a casa: Stefano, ormai cresciuto, torna alla casa natale, e inizialmente non viene riconosciuto; l’affresco ci mostra il padre incredulo che addita il diavolo, come a dire “Non è possibile, mio figlio è lì”. Si noti, tra l’altro, che mentre santo Stefano è cresciuto, il demonietto è rimasto quello della seconda scena: nella tradizione popolare, infatti, i changeling (cioè i “sostituti” dei neonati) erano avidi di latte, ma piangevano giorno e notte e non crescevano. 
  5. Il ricongiungimento: finalmente, santo Stefano mostra al padre le fasce che lo avvolgevano quando era stato rapito (sono quelle che nella quarta scena si trovano in mano, e in questa scena a terra). Il bambino e i genitori si abbracciano, mentre il diavolo cerca di fuggire attraverso il camino.
  6. La cacciata del diavolo: l’ultima scena è poco leggibile, perché l’affresco era in parte irrecuperabile. A sinistra, una piccola folla capitanata da santo Stefano affronta il diavolo-changeling. Con tutta probabilità, l’impostore veniva costretto a rigurgitare tutto il latte materno di cui si era nutrito: era così tanto da riempire una tinozza intera!

Per quanto ne sappiamo, si tratta di una rappresentazione abbastanza rara, e, comunque, l’unica che conosciamo per il Piemonte. Assai più importante, dal punto di vista artistico, è il Rapimento di santo Stefano in fasce di Filippo Lippi, nel duomo di Prato, risalente alla metà del Quattrocento. Ma dipinti analoghi sono presenti anche nell’oratorio di santo Stefano a Lentate sul Seveso (Monza-Brianza), nella chiesa di san Lucchese a Poggibonsi (Siena) e nell’oratorio di santo Stefano a Tivoli (Roma). All’estero, vanno sicuramente menzionati i dipinti di Martino di Bartolomeo conservato presso il museo di Francoforte sul Meno e il retablo sulla Natività di santo Stefano visibile nel Museo Nazionale di Barcellona. 

Una scena simile è presente anche nella chiesa di san Nicolò a Martignacco (Udine), dove però il santo (san Nicolò) non viene sostituito, ma è un semplice intercessore che permette la restituzione di un “bambino scambiato”.

Bambini sostituiti in culla

Il mito del changeling è particolarmente vivo nei paesi del Nord Europa, ed è stato particolarmente studiato per il mondo anglosassone. Per chi desiderasse approfondire il tema, possiamo consigliare Storie di figli cambiati – Fate, demoni e sostituzioni magiche tra folklore e letteratura, di Riccardo Castellana (Pacini, Pisa, 2014) e The Medieval Changeling: Health, Childcare, and the Family Unit, di Rose A. Sawyer (D.S. Brewer, 2023).

A seconda della cultura locale, gli autori dello scambio potevano essere identificati con diavoli, fate, gnomi, fauni o streghe. In tempi in cui la medicina aveva capacità assai limitate, il mito veniva spesso usato per giustificare problemi fisici o mentali dei più piccoli, come sindromi congenite e ritardi del neurosviluppo. Se un bambino sembrava crescere poco, o piangeva in continuazione, si diceva che fosse un cangiato, un neonato lasciato in sostituzione dalle fate o dai demoni che avevano preso con sé quello “vero”. D’altra parte, secondo quanto affermava il vescovo cattolico e teologo Jacques de Vitry nel Tredicesimo secolo, il bambino sostituito “prosciuga il latte di molte nutrici ma non ne trae alimento né cresce, ma ha il ventre duro e gonfio”.

Questa superstizione poteva rivelarsi assai pericolosa per i bambini additati come “impostori”. In molte versioni della leggenda, infatti, i genitori che desideravano riavere il proprio bambino dovevano tormentare il “sostituto”, o mettere la sua vita in pericolo: a quel punto i veri genitori, colti da istinto materno, sarebbero tornati per riprendersi il figlioletto, e avrebbero lasciato libero il neonato rapito. Del resto, l’idea che dei diavoli potessero avere figli non deve stupire: questo argomento fu a lungo dibattuto nell’antichità, e in favore di quest’ipotesi si pronunciarono fior di teologi; lo stesso mago Merlino era considerato il figlio di una monaca e di un demone (per maggiori informazioni su questo motivo, consigliamo Le Ver, le démon et la vierge. Les théories médiévales de la génération extraordinaire di Maaike van der Lugt).

Nel Tredicesimo secolo l’inquisitore e frate domenicano francese Stefano di Bourbon (1180 ca.- 1256), scrivendo di un santuario dedicato a san Guinefort (il santo segugio) nella regione di Dombes, a nord di Lione, racconta un rituale che aveva lo scopo proprio di far ritornare un bambino “scambiato”:

Quando arrivarono [le donne con bambini malati], fecero offerte di sale e altre cose; […] fecero passare i bambini nudi tra i tronchi di due alberi; la madre, da una parte, teneva in braccio il bambino e lo lanciò nove volte alla vecchia, che stava dall’altra parte. Invocando i demoni, invitarono i fauni della foresta di Rimite a prendere il bambino debole e malato che, dicevano, era loro, e a restituire il bambino che i fauni avevano portato via, robusto e grassottello, sano e salvo. Fatto ciò, le madri assassine presero i loro figli e li deposero nudi ai piedi dell’albero, su un giaciglio di paglia; poi, usando la torcia che avevano portato con sé, accesero due candele, ciascuna lunga un pollice, una per ciascun lato della testa del bambino e le fissarono nel tronco al di sopra. Poi si ritirarono […] per non vedere il bambino né sentirlo piangere.

Inutile dire che i neonati, lasciati a loro stessi nel mezzo di una foresta, rischiavano di fare una brutta fine.

I changeling di Martin Lutero

La credenza nei changeling, comunque, non era solo del popolino: lo “scambio” era dato per possibile anche da personaggi eminenti come il padre della Riforma protestante, Martin Lutero. Ne parlò in più occasioni. 

Interessante a notarsi, le sue osservazioni si trovano in uno dei testi di Lutero a lungo più popolari nel mondo centro-europeo, cioè le chiacchierate informali con amici, colleghi, familiari e commensali pubblicate postume per la prima volta nel 1566, e note come Tischreden (“Discorsi a tavola”). Queste conversazioni sono celebri per lo stile rilassato – a volte sboccato – dei ragionamenti del Riformatore della Chiesa, che, a volte, si lascia andare a racconti, aneddoti e considerazioni tutt’altro che filologicamente accurati, se non a vere e proprie esagerazioni, contumelie, e così via.

Certo, Lutero è uomo fermamente convinto della realtà fisica dell’azione di Satana nel mondo, e dunque è anche possibile che, nel raccontare il folklore della Germania del nord, sua area geografica di origine, credesse alla realtà letterale di queste storie – ovviamente è difficile decidere con quale spirito si lasciasse andare a queste confidenze. Fatto sta che, almeno in un’occasione, Lutero afferma di esser stato testimone diretto di un caso di changeling

Otto anni fa [nell’anno 1532] a Dessau, io, il dottor Martin Lutero, vidi e toccai un bambino cambiato. Aveva dodici anni e dai suoi occhi, e dal fatto che aveva tutti i sensi, si sarebbe potuto pensare che fosse un bambino vero. Non faceva altro che mangiare; infatti mangiava abbastanza per quattro contadini o trebbiatori. Mangiava, urinava e defecava, e ogni volta che qualcuno lo toccava piangeva. Quando accadevano cose brutte in casa, rideva ed era felice; ma quando le cose andavano bene, piangeva. Aveva queste due virtù. Dissi ai principi di Anhalt: “Se fossi il principe o il sovrano, getterei questo bambino nell’acqua, nella Mulde che scorre vicino a Dessau. Oserei commettere un omicidio!” Ma l’elettore di Sassonia, che era con me a Dessau, e i principi di Anhalt non vollero seguire il mio consiglio. Perciò dissi: “Allora dovreste far ripetere a tutti i cristiani il Padre Nostro in chiesa, affinché Dio esorcizzi il diavolo”. Lo facevano ogni giorno a Dessau, e il bambino sostituito morì l’anno successivo… Un bambino cangiato come questo è solo un pezzo di carne, una massa carnis, perché non ha anima. (fonte originale tedesca, edizione del 1854

Il mito dei bambini sostituiti in culla durò fino a epoche recentissime. Ne è una prova la novella di Pirandello Il figlio cambiato, pubblicata nel 1922, che racconta di un bambino sostituito dalle “donne” (le streghe). Ancora nel 1863, a New York, una donna di origini irlandesi venne indagata per aver provocato la morte di un neonato: lo aveva ustionato con una pala arroventata, convinta che le fate le avrebbero così restituito il suo vero bambino. Nel 1895, in Irlanda, una donna venne uccisa dal marito che si difese affermando che la moglie era stata rapita dalle fate e sostituita da un essere dalle fattezze analoghe. 

Dipinto di Martino di Bartolomeo conservato a Francoforte sul Meno. Da Wikimedia Commons, pubblico dominio

San Bartolomeo e san Lorenzo, due santi “scambiati”

La presenza di “bambini scambiati” nelle vite di diversi santi sembra indicare che la Chiesa cattolica, a un certo punto, inserì nelle sue agiografie queste tradizioni, sostituendo però alla figura di fate e elfi quella del diavolo, teologicamente più facile da giustificare.

Santo Stefano, infatti, non è l’unico santo-changeling della cristianità del Medioevo occidentale. Sono tre i santi che, da neonati, sarebbero stati incorsi nella stessa disavventura: oltre a lui, anche san Lorenzo e san Bartolomeo sarebbero stati scambiati, da neonati, con esseri diabolici. 

Le variazioni sul tema sono minime. Secondo una Vita di san Bartolomeo conservata a Bruxelles, presso la Bibliothèque royale de Belgique (MS 1116), i genitori del futuro santo erano due nobili siriani che faticavano a concepire un bambino e avevano quindi promesso, nel caso in cui lo avessero avuto, di votarlo a Dio. Nato il bambino, tuttavia, i diavoli si riunirono e decisero che bisognava fare qualcosa. Avvolsero quindi uno dei loro nelle fasce e lo sostituirono al futuro san Bartolomeo, mentre il neonato veniva abbandonato sulle montagne innevate. Dio, mosso a pietà, ordinò comunque ai demoni di prendersi cura di lui, e quelli furono costretti ad obbedire, fino a quando il piccolo non venne trovato da un rabbino di passaggio, che lo crebbe come un figlio per tre anni. Un giorno il rabbino sentì i suoi servi che decantavano la bellezza del bambino, che era proprio l’opposto di quel brutto figlio di nobili siriani, che piangeva tutto il giorno, non cresceva ed era la vergogna e la disperazione dei suoi genitori. Così al rabbino venne voglia di vedere quel portento della natura, si recò dai nobili siriani, insistette per vedere il loro figlio, e quando lo vide si accorse che aveva natura diabolica e lo esorcizzò nel nome del Dio di Israele, obbligandolo a rivelare la sua storia. 

Ed è a questo che avviene il riconoscimento: il demone confessa la sostituzione, e indica san Bartolomeo come il vero figlio della coppia. Una storia, quella di San Bartolomeo, che ebbe grande successo in Spagna, dove se ne trovano diverse rappresentazioni pittoriche. 

Analoga è la storia del san Lorenzo “cambiato”, le cui gesta sono descritte in diversi manoscritti. Nella versione riportata dallo storico tedesco Hermann Oesterley nella sua edizione (1872) delle Gesta Romanorum (raccolta di aneddoti e racconti in latino probabilmente redatta nel XIII secolo), san Lorenzo è figlio del re di Spagna, un pagano che – di nuovo – fatica ad avere un erede. Un eremita gli suggerisce di farsi battezzare, così si converte al Cristianesimo e sua moglie concepisce subito un figlio. Ma il diavolo lo rapisce, lasciando al suo posto un sostituto, e abbandona il vero san Lorenzo in un boschetto di Roma, in un canestro appeso ad un albero di alloro. Qui viene ritrovato da papa Sisto (plausibile il riferimento, per quanto confuso, volesse essere a Sisto III), che sta facendo una passeggiata e decide di allevare il bambino nella fede cristiana. Intanto, il presunto figlio del re di Spagna conduce i genitori alla disperazione, fino a quando questi non rinnegano il battesimo e cominciano a perseguitare i cristiani. Il vero Lorenzo, che nel frattempo è cresciuto ed è stato adottato da un nobile barone, viene preso in giro dai compagni di scuola, che gli rivelano che è stato ritrovato in un canestro. Il ragazzino, allora, decide di andare alla ricerca dei suoi genitori, fino a quando non si ritrova, di notte, su un albero, dalla cui sommità cui sente una congrega di diavoli che si vantano delle loro malefatte. Uno di loro racconta: “Ho rapito il figlio del re di Spagna e l’ho appeso a un albero di alloro vicino a Roma, e mi sono messo al suo posto, e fui amorevolmente allattato, e con la mia astuzia ho portato il Re con tutta la sua famiglia lontano dalla fede cristiana”. A questa rivelazione seguirà il viaggio in Spagna, il ricongiungimento con i genitori, fra abbracci e manifestazioni di gioia. 

E vissero tutti felici e contenti – almeno, fino al martirio di san Lorenzo, arrostito su una graticola, secondo la tradizione, durante le persecuzioni dell’imperatore Valeriano, nella seconda metà del III secolo.

La leggenda di santo Stefano nei manoscritti italiani

La figura del diacono Stefano, raccontata negli Atti degli Apostoli, probabilmente è una di quelle che hanno fondamento storico. La sua vicenda è centrata sul fatto che chi aveva conosciuto direttamente Gesù quando era in vita, cioè il gruppo che aveva il ministero di apostolo, aveva deciso di istituire un altro ministero, il diaconato, per adempiere a compiti di assistenza e di sostegno degli apostoli e delle comunità cristiane. 

Stefano è indicato come il primo fra i sette diaconi di cui viene fatto il nome, al capitolo 6 degli Atti. La sua figura, dunque, è già così di particolare importanza, ma lo stabilimento nel ministero, in cui si rivela particolarmente ripieno di Spirito Santo, in realtà è soltanto il preludio per il climax narrato nel capitolo successivo degli Atti, il 7. Per il coraggio della sua testimonianza della fede cristiana, Stefano è lapidato e, dunque, diventa il primo di una lunga serie di martiri. Proprio per questo la Chiesa cattolica lo venera come santo il 26 dicembre, il primo giorno dopo il Natale del Cristo. 

La Bibbia è una vera e propria biblioteca di testi assai diversi fra loro che, però, spesso presentano vuoti narrativi e contraddizioni. Per scioglierle, nel corso dei secoli vennero scritte, fra le tante cose , parecchie Vitae di santi, che espandevano le storie accennate nelle Scritture, fornendo maggiori dettagli sui miracoli e gli insegnamenti dei più vari personaggi biblici poi canonizzati. Qualcosa del genere è successo anche per il protodiacono e protomartire Stefano, diventato ben presto oggetto di culto, e dunque oggetto della curiosità dei fedeli.

Nel Medioevo, dunque, cominciano a comparire diversi manoscritti che narrano la storia dall’infanzia di Stefano. Il primo è probabilmente il Codex CXVII conservato presso l’Abbazia di Montecassino, la Fabulosa vita S. Stephani Protomartyris (ma racconti dell’infanzia del santo sono presenti anche presso la Biblioteca Marciana di Venezia e all’Ambrosiana di Milano). È da queste agiografie che arrivano i particolari “favolosi” rappresentati anche negli affreschi di Morozzo – cioè la sostituzione del neonato, il salvataggio da parte del vescovo Giuliano e l’allattamento da parte di una cerva (parlante, sostiene l’agiografia). 

Se un giorno doveste avere a che fare con un changeling, ora sapete a che santi votarvi.

Si ringraziano Davide Ermacora e Roberto Labanti per le discussioni e gli spunti. Immagine di apertura da Picryl, pubblico dominio