10 Novembre 2024
Approfondimenti

Allunaggi: le nuove tesi di complotto

Questo articolo è parte del programma di “Stregati dalla Luna”, iniziativa nata dalla collaborazione tra il CICAP e l’Unione Astrofili Italiani (UAI), che mira a raccontare e sfatare le principali fake news e leggende metropolitane riguardanti la Luna e lo spazio, con l’intento di gettare le basi per una corretta informazione scientifica. Tutte le iniziative su  www.cicap.org/StregatiDallaLuna

di Paolo Attivissimo

A cinquantacinque anni dal primo dei sei allunaggi del progetto Apollo che portarono in tutto dodici uomini a camminare sulla Luna, fra il 1969 e il 1972, le tesi che negano questo evento storico continuano a prosperare e si evolvono. I protagonisti diretti e indiretti di quelle imprese che ho avuto il piacere di incontrare nel corso degli anni si sono rassegnati all’idea che ci sarà sempre una percentuale piccola ma rumorosa di negazionisti ad oltranza, impermeabili ai fatti, e non se ne curano se non se li trovano davanti e anche in quel caso li liquidano con poche, lapidarie parole. Neil Armstrong, primo uomo a toccare il suolo lunare, di fronte a un noto complottista che lo sfidava a giurare sulla Bibbia di essere andato sulla Luna, gli rispose 

“Conoscendo lei, probabilmente quella Bibbia è fasulla”

Nel 2002 il suo compagno di missione, Buzz Aldrin, provocato ripetutamente da quello stesso complottista che gli stava dando del vigliacco e del bugiardo in pubblico, alla fine gli mollò un cazzotto. Con sublime ironia, su YouTube si discute se il pugno dell’allora settantaduenne Aldrin sia davvero atterrato sul mento del complottista, perché il video dell’incontro non mostra nitidamente l’impatto.

Questi protagonisti sono però consapevoli che con il passare del tempo il ricordo vivo, di prima mano, di quei primi passi umani su un altro corpo celeste si sta affievolendo, e nelle loro biografie (molte delle quali sono disponibili anche in italiano) si adoperano per conservarlo con vigore. Oggi molte persone, non cospirazioniste ma semplicemente non informate, non sanno che gli allunaggi furono non uno, ma appunto sei, e non sanno che quei viaggi sono documentati da decine di migliaia di fotografie e da decine di ore di riprese filmate e video (che sarebbe stato impossibile falsificare con gli effetti speciali limitati degli anni Sessanta, quando non esisteva la grafica digitale e i veicoli spaziali nei film erano semplicemente dei modellini), da reperti geologici confermati dalle recenti missioni lunari automatiche cinesi, e da archivi immensi di schemi di costruzione, piani di volo, progetti. E tutto questo materiale oggi è consultabile via Internet.

È inevitabile che ricordi storici sempre più tenui lascino uno spazio crescente ai dubbi, anche in chi non è complottista, e in questo spazio si incuneano e possono fare facilmente presa le tesi di complotto. Vediamo alcune delle più recenti, la cui complessità testimonia l’evoluzione del pensiero cospirazionista.

Lo scarico mancante del modulo lunare

Per scendere sulla Luna, gli astronauti delle missioni Apollo usavano una sorta di scialuppa, chiamata Modulo Lunare, che si staccava dal veicolo principale. Questo Modulo Lunare, dalla caratteristica forma spigolosa a ragno, senza alcuna carenatura aerodinamica perché volava solo nel vuoto, era diviso in due parti, montate una sopra l’altra: la parte inferiore alloggiava il motore per la discesa e le zampe di atterraggio, mentre la parte inferiore ospitava la cabina con due dei tre astronauti (il terzo restava nel veicolo principale) e il motore per la risalita dalla Luna. Questa concezione fortemente modulare serviva a ridurre il più possibile i pesi al decollo.

Una volta compiuta la loro escursione sulla superficie lunare, gli astronauti ripartivano a bordo della parte superiore del veicolo, usando quella inferiore come rampa di lancio. L’obiezione dei complottisti moderni è che questo sarebbe stato impossibile, perché l’ugello del motore a razzo usato per la risalita era a ridosso della parte inferiore del veicolo e quindi pressoché tappato, per cui la sua potente spinta non avrebbe avuto modo di sfiatarsi e avrebbe distrutto il veicolo. Guardando le fotografie del Modulo Lunare sulla Luna, effettivamente risulta che il motore della sua parte superiore è davvero a ridosso della parte inferiore e non sembra proprio esserci alcuno sfiato possibile per il getto al decollo.

È un’obiezione molto tecnica, che comprensibilmente risulta parecchio convincente per chi non conosce i dettagli di queste missioni e delle tecnologie di oltre mezzo secolo fa e può spiazzare anche chi fa ingegneria aerospaziale oggi e magari non ha familiarità con i veicoli delle missioni Apollo. Chi presenta quest’obiezione dà l’impressione di aver studiato a fondo la materia.

Rispondere a questa tesi di complotto richiede un livello di conoscenza specifica dei veicoli delle missioni Apollo ancora superiore a quello del complottista. Bisogna infatti conoscere a menadito la struttura del Modulo Lunare, e sapere dove andare a procurarsi gli spaccati, le fotografie della sua costruzione e i relativi disegni tecnici, per sapere che in realtà la superficie superiore piatta della parte inferiore del veicolo aveva una grossa apertura centrale proprio in corrispondenza del motore della parte superiore. Il motore della parte inferiore era appeso al centro di questa apertura, creando così un ampio varco anulare di sfiato per il getto del motore della parte superiore.

Nelle fotografie del Modulo Lunare assemblato che normalmente vengono presentate, quelle delle missioni di allunaggio, questa apertura è quasi impossibile da scorgere, perché è mascherata dalla presenza della parte superiore del veicolo. Ma nei disegni tecnici e nelle immagini dell’assemblaggio è molto evidente, ed è ancora più evidente negli esemplari inutilizzati del Modulo Lunare visitabili nei musei.

Questo dettaglio costruttivo era così cruciale per il successo delle missioni che la NASA realizzò un’intera missione apposita di collaudo del Modulo Lunare, denominata Apollo 5, che si svolse a gennaio del 1968 (un anno e mezzo prima del primo allunaggio) senza equipaggio a bordo e in orbita intorno alla Terra. Nei documenti d’epoca, il nome informale del collaudo dell’accensione della parte superiore del Modulo Lunare mentre era ancora agganciata alla parte inferiore era eloquentissimo: “fire in the hole”. Letteralmente, “fiamme nel buco”, ossia nell’apertura di sfiato che secondo la tesi di complotto non sarebbe esistita.

Le riprese ritrovate della troupe cinematografica sulla finta Luna

Su TikTok e su altri social network circola un breve video che mostra delle immagini degli astronauti Apollo sulla Luna, accanto al loro veicolo spaziale, con il cielo nerissimo e la luce nitida e tagliente che sono aspetti così caratteristici delle riprese nello spazio e sono difficilissimi da ricreare in studio. Ma accanto agli astronauti ci sono delle persone senza tuta spaziale: sembrano i membri di una troupe di ripresa cinematografica. Non si tratta di immagini sgranate, ma di un video a colori estremamente nitido.

È la prova che fu tutta una messinscena? No, ma è la prova che i complottisti, o chi vuole seminare disinformazione, non si fa scrupoli a mentire sapendo di mentire. Le immagini sono infatti prese di peso da un documentario sulla produzione del film First Man – Il Primo Uomo (2018), diretto da Damien Chazelle, che ha usato tecniche di assoluta avanguardia per gli effetti visivi, ottenendo delle immagini straordinariamente simili a quelle delle missioni lunari reali e fra le più realistiche in assoluto nella storia del cinema.

Per raggiungere questo risultato, Chazelle e i suoi tecnici hanno dovuto ricorrere a un misto di tecnologia fisica e digitale, effettuando riprese fatte non in studio ma all’aperto, di notte, illuminando la scena con un’unica, potentissima serie di luci a simulare il sole, ed elaborando le riprese digitalmente per estendere il set fino all’orizzonte e per nascondere gli attrezzi di scena e i complessi cavi che reggevano gli astronauti per consentire loro di muoversi in maniera simile agli astronauti sulla Luna, che beneficiavano di una gravità ridotta (sulla Luna si pesa un sesto di quello che si pesa sulla Terra).

Anche così, però, l’occhio attento nota che in alcune scene del film gli oggetti portati dagli astronauti non oscillano con la lentezza adatta a una gravità ridotta: un fenomeno che invece è ben visibile nelle vere riprese delle escursioni lunari e che dimostra che sarebbe stato impossibile, negli anni Sessanta, creare quelle riprese con gli effetti visivi dell’epoca. C’era un unico modo per realizzarle: andare davvero sulla Luna.

La “confessione” di Stanley Kubrick

Da decenni il celeberrimo e compianto regista Stanley Kubrick viene indicato dai sostenitori delle tesi di complotto lunare come l’artefice dell’asserita falsificazione delle riprese delle missioni lunari, presumibilmente per via del suo film 2001: Odissea nello spazio, che alla sua uscita nel 1968, un anno prima del primo allunaggio, fu considerato iperrealistico nella sua creazione di scene ambientate nello spazio e sulla Luna.

Viste con l’occhio critico di oggi, in realtà, queste scene rivelano che gli effetti visivi coordinati da Kubrick hanno molte imperfezioni e lacune, che nulla tolgono alla bellezza e alla profondità del film ma dimostrano inequivocabilmente che neppure i migliori tecnici degli effetti visivi dell’epoca (principalmente Douglas Trumbull e Wally Veevers) erano in grado di creare riprese perfettamente autentiche dell’ambiente lunare.

Nel 2013 ebbi occasione di incontrare Trumbull e chiedergli quale sarebbe stata, secondo lui, la caratteristica visiva dello sbarco sulla Luna più difficile da falsificare, avendo a disposizione gli effetti speciali degli anni Sessanta. Nella sua dettagliata risposta, notò che il particolare moto parabolico della polvere lunare sollevata dai piedi degli astronauti e dalle ruote della jeep elettrica usata sul suolo selenico nelle missioni più sofisticate sarebbe stato ottenibile solo 

“con qualche sistema di simulazione di particelle in grafica computerizzata. Potresti farlo oggi, ma non potevi farlo all’epoca”. 

Nel vuoto la polvere sollevata non forma volute, come sulla Terra, ma ricade rapidamente seguendo traiettorie paraboliche. Nelle riprese delle missioni lunari reali si comporta così: nelle riprese lunari di 2001, invece, forma degli sbuffi che rivelano che si trattava di modellini su un set nel quale non era affatto praticato il vuoto. Neppure maestri come Trumbull e Veevers erano riusciti a creare una simulazione perfetta della Luna nel 1968, con buona pace dei sostenitori di questa tesi di complotto.

Ma su Facebook, a settembre 2022, è comparso un post che conteneva una dichiarazione in video attribuita a Kubrick, nella quale ammetteva di aver 

“commesso una grande frode ai danni del pubblico americano […] Con la collaborazione del governo degli Stati Uniti e della NASA, abbiamo simulato lo sbarco sulla Luna. Tutti gli sbarchi sulla Luna erano falsi e sono stato io a filmare tutto”.

Ma la persona che parla non è Kubrick: è un’altra persona, tale Tom Mayk, neppure tanto somigliante, che ha interpretato il regista nel mockumentary (documentario-parodia) di T. Patrick Murray intitolato Shooting Stanley Kubrick, uscito nel 2015. Chiaramente qualcuno ha estratto questo spezzone e l’ha pubblicato sui social network pur sapendo benissimo che si trattava di una scena recitata da un attore.

Basterebbe verificare se la persona che parla è davvero Kubrick prima di far circolare post del genere, ma la voglia di credere ai complotti fa mettere in disparte le verifiche e la tendenza dei social network a promuovere qualunque controversia per alimentare la discussione e far spendere più tempo online agli utenti fa il resto.

Intanto si torna davvero sulla Luna

Dopo decenni di sostanziale stasi, il mondo delle tesi di complotto lunari si trova a un punto di svolta: due delle sue argomentazioni principali stanno per essere stroncate da eventi molti visibili.

Dal 1972, data dell’ultimo allunaggio di un equipaggio, è stato possibile asserire che le missioni lunari erano state falsificate perché sembrava strano e sospetto che non se ne facessero più, nonostante gli enormi progressi tecnologici compiuti in oltre mezzo secolo.

Uno dei motivi per questa mancanza di ritorno, secondo queste tesi, è che le fasce di radiazioni di Van Allen che circondano la Terra sarebbero troppo intense per consentire a un equipaggio di superarle e allontanarsi dal nostro pianeta verso la Luna senza una schermatura pesantissima, assente nei veicoli delle missioni Apollo, e quindi le missioni lunari con equipaggi sarebbero state falsificate per forza di cose. E sarebbe per questo motivo che tutti i voli spaziali umani dal 1972 in poi, di tutti i paesi, si sono limitati allo spazio vicinissimo alla Terra, a non più di 600 chilometri di distanza, stando al di sotto di queste fasce.

In realtà furono motivazioni politiche, non tecnologiche, a far cessare i voli lunari con equipaggi. L’intero progetto Apollo aveva una connotazione fortemente politica: dimostrare al mondo in maniera semplice e inequivocabile che gli Stati Uniti erano superiori alla rivale Unione Sovietica. Una volta piantata la prima bandiera a stelle e strisce sulla Luna a luglio del 1969, l’interesse politico si spense e il budget della NASA fu tagliato drasticamente. In questi decenni sono mancati la volontà e i finanziamenti, non la tecnologia. Portare sulla Luna degli astronauti era estremamente costoso e anche rischioso, perché la perdita di un equipaggio sarebbe stato un danno d’immagine enorme, per cui nessun governo statunitense ha più voluto rischiare.

Le fasce di Van Allen, invece, sono oltrepassabili con la normale schermatura offerta dai veicoli spaziali e con una traiettoria che ne attraversi solo gli strati più esterni: lo dimostrò già il loro scopritore, il fisico statunitense James Van Allen da cui prendono il nome, che nel 1960 fece notare che le fasce non avvolgono tutta la Terra uniformemente, ma la circondano solo all’equatore, per cui sono in parte aggirabili attraversando solo le loro regioni più esterne e meno intense.

Nonostante queste spiegazioni, queste due tesi hanno goduto di una grande popolarità fra i complottisti lunari. Ma da alcuni anni è in corso un programma multinazionale di esplorazione della Luna, che prossimamente includerà anche delle missioni con equipaggi. Il programma statunitense Artemis ha già scelto i primi quattro astronauti che voleranno intorno alla Luna (e che stavolta includono una donna) con la missione Artemis II, attualmente prevista per la fine del 2025, e sta già costruendo il veicolo spaziale apposito, con una partecipazione europea importante. Un altro esemplare di questo veicolo ha già volato intorno alla Luna, senza equipaggio ma con a bordo sensori di misura delle radiazioni, risultate tollerabili. Il primo di una serie di allunaggi con equipaggi è previsto per il 2027, con la partecipazione di SpaceX.

I viaggi di questi veicoli saranno osservabili e tracciabili dalla Terra con qualunque buon telescopio professionale e quindi dimostreranno molto visibilmente che gli esseri umani possono eccome attraversare le fasce di Van Allen.

La tesi delle fasce di Van Allen non oltrepassabili sta insomma per ricevere una smentita molto potente e vistosa con queste missioni verso la Luna. Ma in realtà l’ha già ricevuta con meno clamore con una missione spaziale privata, denominata Polaris Dawn: a fine agosto 2024 quattro astronauti hanno raggiunto la quota di 1400 chilometri a bordo di un veicolo Crew Dragon di SpaceX, immergendosi intenzionalmente nella fascia di Van Allen più bassa per raccogliere dati sulla schermatura offerta da questo veicolo e dalle loro tute spaziali, i cui materiali sono molto differenti da quelli dei corrispettivi dell’era Apollo.

Un altro caposaldo del complottismo lunare, la richiesta di immagini telescopiche dei siti di allunaggio Apollo che mostrino i resti dei veicoli lasciati dagli astronauti, è già crollato quindici anni fa con le immagini mandate dalla sonda Lunar Reconnaissance Orbiter, che ha fotografato questi siti con un dettaglio tale da permettere di vedere non solo i veicoli ma anche le tracce lasciate nella polvere lunare dai passi degli astronauti e dalle ruote della loro mini-auto elettrica pieghevole Lunar Rover. Immagini analoghe, anche se meno dettagliate, sono state ottenute anche da sonde indiane (la serie Chandrayaan, che continua tuttora) e giapponesi (Kàguya, 2007-2009).

Anche le tesi di presunte anomalie nelle immagini e nelle riprese TV e su pellicola delle missioni Apollo si devono confrontare oggi con il fatto che Cina, India, Giappone e anche un gruppo privato statunitense hanno effettuato atterraggi sulla Luna con delle sonde robotiche, che hanno trasmesso immagini a colori e in alta definizione della superficie, mostrando caratteristiche morfologiche e visive molto peculiari e identiche a quelle osservabili nelle foto scattate dagli astronauti delle missioni Apollo.

Infine, ulteriori conferme incrociate della realtà delle missioni lunari umane sono arrivate di recente dalla geologia: dopo quasi cinquant’anni di pausa in cui gli unici campioni di roccia lunare riportati sulla Terra erano quelli presi dagli astronauti degli Stati Uniti (circa 382 chilogrammi) e quelli raccolti dalle sonde automatiche dell’Unione Sovietica (circa 500 grammi) fra il 1970 e il 1976, nel 2020 e nel 2024 la Cina ha prelevato campioni del suolo selenico, anche dalla faccia non visibile della Luna, e li ha riportati sulla Terra con dei veicoli senza equipaggio. I circa quattro chilogrammi di reperti cinesi confermano le caratteristiche particolari delle rocce lunari, che le distinguono da quelle terrestri e sono coerenti con quelle dei campioni statunitensi e sovietici (oggi russi).

Le future missioni umane sulla Luna produrranno migliaia di fotografie e centinaia di ore di video in altissima definizione, genereranno una quantità sterminata di dati scientifici e riporteranno sulla Terra non solo altri campioni di roccia lunare ma anche le avventure, esperienze e testimonianze di una nuova generazione di astronauti, anche italiani, che potranno confermare che sulla Luna si può andare e si era già andati.

Per quello che si è visto della mentalità cospirazionista, nulla di tutto questo scalfirà minimamente le convinzioni di chi non vuole accettare i fatti. Ma il complottismo lunare dovrà inventarsi nuove e più astruse giustificazioni per spiegare una cospirazione che a questo punto coinvolgerebbe non solo gli Stati Uniti ma anche molti altri paesi e anche l’Italia, tramite la sua partecipazione all’Agenzia Spaziale Europea. E si può quindi sperare che diventi più difficile per le loro tesi, sempre meno credibili, far presa sull’opinione pubblica.