Serial killer e nazismo, legami e differenze tra criminali di guerra e assassini seriali
Un giorno, pensò Liebermann, mi piacerebbe incontrare un mostro che sembri veramente un mostro. (Ira Levin, I ragazzi venuti dal Brasile, 1976)
Una questione affrontata dalla criminologia è stata la distinzione tra i seriali e i criminali di guerra, i sicari e i membri di organizzazioni criminali, capaci di commettere omicidi spietati senza esitare. Esistono sia punti in comune che radicali differenze. La differenza principale si trova nella coazione a ripetere: le fantasie e il profondo desiderio di uccidere, vissuto come un vero e proprio bisogno che ritorna con ricorrenza ciclica, sono radicati nella mente del seriale, mentre un membro di un’organizzazione criminale tende ad utilizzare il delitto come mezzo e mai come fine. In ambito di organizzazioni criminali come quelle di stampo mafioso, terroristico, fanatico o basate sul narcotraffico, troviamo persone che hanno vissuto in un contesto in cui la violenza e la sopraffazione sono normalizzate da fattori culturali, economici, educativi. I fattori devianti possono essere presenti nelle fasi cruciali della vita di chi entra in queste organizzazioni, e ciò porta a rendere familiare l’uso della violenza tra loro membri, come nel caso dei minori nati e cresciuti in contesti mafiosi, che vivono la mafia come un vero e proprio antistato, con leggi molto rigide e in cui è possibile affermarsi ed emergere, magari raggiungere un ruolo sociale riconosciuto e gratificante.
Uno dei fenomeni criminali più drammatici e complessi su scala mondiale è senza dubbio l’Olocausto e l’avvento del nazismo in generale. Sulla psicologia e sociologia nazista sono stati scritti migliaia di libri e una parte della psicologia del secondo dopoguerra si è occupata proprio di questo tema, ovvero l’origine di una società basata sulla violenza e sulla sopraffazione, in grado di arrivare a livelli di crudeltà mai raggiunti nella Storia.
Si può capire il male assoluto?
Tra gli studi ed esperimenti più noti e interessanti svolti per tentare di capire le basi psicologiche del nazismo, possiamo ricordare l’esperimento Milgram del 1961, svolto non casualmente subito dopo il processo Eichmann. Stanley Milgram ha evidenziato l’influenza degli ordini di un’autorità e delle pressioni psicologiche su una persona qualsiasi: seguire questi comandi può portare al punto di fare del male al prossimo perché si “obbediva a un ordine superiore”. Ad alcuni soggetti, a cui veniva assegnato il ruolo di “insegnanti” dopo un finto sorteggio, venne chiesto di porre delle domande a una persona in un’altra stanza, l’”allievo”. in caso di risposta sbagliata, L’insegnante avrebbe dovuto somministrare all’allievo una scossa elettrica. L’allievo, in realtà un complice degli sperimentatori, all’udire questa cosa, faceva notare chiaramente di temere queste scosse in quanto cardiopatico. Il macchinario che avrebbe dovuto somministrare la scossa, in realtà non funzionante, aveva tra i suoi comandi diversi livelli di intensità della scossa elettrica, dal più lieve fino ad un inquietante “XXX, scossa molto pericolosa”. Dopo i primi errori dell’allievo e conseguenti scosse da parte dell’insegnante, di solito quest’ultimo mostrava delle perplessità e chiedeva un’interruzione allo sperimentatore in camice bianco accanto a lui. L’insegnante veniva incoraggiato con frasi come “è necessario che lei continui”; lo sperimentatore ha quindi messo in atto pressioni psicologiche per non farlo desistere. Quando l’insegnante non poteva vedere o udire i lamenti dell’allievo, il livello massimo di scossa fu “inflitto” da oltre il sessanta per cento dei partecipanti. Più gli insegnanti erano messi in condizione di udire, vedere o perfino toccare l’allievo, la percentuale di “obbedienti” totali si riduceva fino al trenta per cento. Questo esperimento è stato ripetuto da altri studiosi, ottenendo risultati simili.
Ispirato da Milgram, l’esperimento carcerario di Stanford, condotto da Philip Zimbardo nel 1971, ha studiato i meccanismi che portano alla cosiddetta aggressività situazionale, legata quindi non a caratteristiche personali dei carnefici, ma al contesto in cui si è posti e al ruolo che si ricopre. Sorteggiando i ruoli di “secondino” e “prigioniero” tra 24 studenti universitari, Zimbardo creò un finto carcere in cui i due gruppi dovevano interpretare i rispettivi ruoli per quattordici giorni. I secondini avevano la divisa e gli occhiali da sole, i prigionieri una tuta da detenuto. Dopo meno di una settimana, Zimbardo interruppe quello che stava diventando uno psicodramma: i secondini trattavano i prigionieri come se non valessero nulla, arrivando a vere e proprie sevizie. I prigionieri, dopo alcune iniziali proteste, si erano lasciati andare, vivendo una vera e propria disgregazione della persona. Obbedivano ai comandi, cercavano solo di non subire ritorsioni. Anche in questo caso, le pressioni psicologiche messe in atto dagli sperimentatori hanno fatto sì che i partecipanti non fossero in grado di ribellarsi, continuando a far parte dell’esperimento. Zimbardo, negli anni 2000, ha partecipato come consulente per il processo sugli abusi di Abu Grahib.[1]
Nel 1967 è stato condotto una sorta di “esperimento” noto come “La Terza onda” in una scuola superiore di Palo Alto, in California, dal professor Ron Jones con i suoi allievi: il professore ha favorito la nascita di dinamiche antidemocratiche, volte a creare un gruppo coeso tra i suoi studenti, che disprezzasse chiunque non ne fosse membro, per dimostrare quanto facilmente si potessero ricreare le basi di uno stato fascista. Come l’esperimento di Zimbardo, anche La Terza onda fu sospeso prima del previsto. [2]
Le conclusioni drammatiche di queste e molte altre ricerche e riflessioni, alcune delle quali proposte da psicologi di origine ebraica e sopravvissuti alla Shoah, come Viktor Frankl o Anna Freud, hanno fornito delle chiavi di lettura del pensiero nazista e di ciò che lo ha reso così diffuso. Nonostante ciò, gli orrori del nazismo restano umanamente poco comprensibili ed è necessario non smettere mai di indagare: il saggio del 2011 di Bettina Stangneth, La verità del male, si pone in dialogo col celebre La banalità del male della Arendt, portando elementi inediti e rivalutando il ruolo di Adolf Eichmann nella “soluzione finale” attuata dal Terzo Reich, delineando un ritratto di un convinto e spietato carnefice, in contrasto con la tradizionale immagine del grigio burocrate. [3]
Alcuni criminologi trovano dei legami stretti tra i criminali nazisti e i seriali, pur mantenendo alcune differenze sostanziali, come la tendenza di molti nazisti a sottomettersi a un gruppo dominante, tratto difficilmente riscontrabile nei serial killer. Ad esempio, Ruben De Luca, basandosi sulle teorie di Niels Peter Nielsen sull’Universo mentale nazista, teorizza l’Universo mentale nazista dell’assassino seriale (UMNAS), ovvero l’esistenza di un rigido sistema valoriale autoriferito e un immenso desiderio di onnipotenza che sia i nazisti sia i killer in serie avrebbero in comune. Secondo De Luca, nell’UMNAS si trovano quattro caratteristiche:
1-educazione alienante, che favorisce la cristallizzazione di pensiero rigido e dicotomico, in cui esistono solo vincitori e vinti, vittime o carnefici.
2-uso abituale della violenza senza rimorso e sempre giustificato, può anzi essere utile per passare dal ruolo di vittima a quello di carnefice.
3-ricorso alla menzogna per tutelare la personalità pubblica, di facciata.
4-manipolazione degli altri per le proprie esigenze e scopi, usando il prossimo come mezzo. [4]
Vincenzo Mastronardi fa invece interessanti riflessioni riguardo al rapporto tra seriali e i peggiori dittatori della storia: in entrambe le categorie, con le dovute distinzioni, ritroviamo il desiderio di annientare l’umanità altrui per uccidere inconsciamente una parte di sé, della propria umanità, disprezzata dal carnefice stesso. L’altro rappresenta una minaccia al senso del Sé, l’assassino proietta sulle sue vittime i suoi elementi residui di sentimenti umani, distruggendoli con violenza. Lo studioso paragona l’omicidio e lo sterminio a un lento suicidio e li definisce come una difesa profondamente disfunzionale dai traumi. [5]
Demòni tra i demòni
Al di là di questi studi, che aiutano a comprendere meglio il complesso fenomeno del nazionalsocialismo e della violenza umana in generale, di sicuro tra gli uomini e le donne fedeli a Hitler troviamo persone con alcune caratteristiche che ricordano i serial killer, al punto di far pensare che con ogni probabilità, in altre circostanze, avrebbero comunque commesso assassinii, anche senza il ruolo rigidamente definito del nazismo. Questi personaggi si trovano sia tra i gerarchi, ad alti livelli di comando, sia tra i capireparto dei campi di concentramento, che hanno sfruttato il loro piccolo potere su persone inermi per dare sfogo ai loro peggiori istinti violenti. Dopo la sconfitta della Germania, nemmeno la prospettiva della forca ha modificato l’atteggiamento sprezzante di queste persone, spietate e fredde fino all’ultimo istante, come è stato per molti seriali in punto di morte, ad esempio l’americano John Wayne Gacy.
Questo fenomeno ricorre sia nelle bande criminali e mafiose, tra le fila delle forze militari o tra chi è al servizio di sistemi dittatoriali: si trova molto spesso uno dei membri che sembra troppo “zelante”, che va spesso ben oltre i suoi doveri. Ad esempio, si può ricordare Richard Kuklinski, detto “L’uomo di Ghiaccio”, un serial killer di origine polacca emigrato negli Stati Uniti che ha scelto di entrare nella mafia locale per dare sfogo alla sua “vocazione”: uccidere uomini con grande varietà di metodi e un’organizzazione di ferro.
Manny Pardo, un militare dei Marines e in seguito agente di polizia in Florida, ha ucciso almeno nove persone negli anni ‘80. Durante il processo, ha rivendicato i suoi crimini: “Mi è piaciuto sparare. Sono dei parassiti e non meritano di vivere”.
Un altro esempio in ambito militare di serial killer “in incognito” è quello di Julian Grenfell, rampollo di un’agiata famiglia inglese di origini nobili. Nato nel 1888, frequenta Eton, scuola che ha visto tra i suoi allievi molti membri della famiglia reale. Affascinato dal mondo militare, entra nel corpo dei Dragoni Reali. Quando è di stanza in Sudafrica e nelle colonie indiane scopre che uccidere gli animali selvatici e i maiali gli dà un piacere immenso. Quando scoppia la Grande Guerra, Grenfell mostra a pieno il suo fanatismo e uccide con piacere sadico i nemici tedeschi. Le lettere che spedisce a casa raccontano dei suoi reali sentimenti; troviamo infatti frasi come: “È il divertimento più meraviglioso, meglio di quanto si possa immaginare.” Grenfell muore in battaglia, colpito da una granata nel 1915. [6]
Irma Grese, la belva di Belsen
Irma Grese nasce nel 1923, nella Germania del Nord, da Alfred e Berta Winter. Bionda, bellissima e dagli occhi azzurri, il suo aspetto incarna la donna perfetta secondo i canoni nazionalsocialisti. La sua famiglia, di estrazione contadina, ha cinque figli e vive nella povertà. Nel 1936, la madre si suicida ingerendo dell’acido cloridrico, dopo una vita passata con un marito alcolizzato, brutale e infedele. Irma e i suoi fratelli crescono quindi col padre, che non esita a ricorrere alle punizioni corporali. Anche i fratelli non sono affettuosi con Irma, che spesso diventa oggetto di scherzi crudeli e violenza psicologica. Dopo le nuove nozze del padre, Grese non vede l’ora di trovare un modo per andare via da quella casa, cercando un ambiente gratificante, dove potesse trovare un ruolo rispettabile. [7]
La giovane, una volta adolescente, resta affascinata dall’ideologia nazista e si iscrive entusiasta alla Lega delle Ragazze Tedesche. Tenta di diventare infermiera, senza riuscirci. Nel periodo degli studi, assiste agli esperimenti sadici del medico nazista Karl Gebhardt, che effettua atroci esperimenti su cavie umane, scelte tra i detenuti dei campi di concentramento. Tramite il contatto con Gebhardt, amico di Himmler, Grese entra nelle ausiliarie delle SS e inizia a lavorare nel 1942 nel campo di concentramento di Ravensbrück. Si fa subito notare per la sua spietatezza e per la sua depravazione sessuale. Ha rapporti promiscui con altre SS, sia uomini che donne, sempre con una vena di sadismo e di crudeltà. Le prigioniere del campo sono le sue vittime predilette, a volte è costretta a commettere le sue sevizie di nascosto dalle altre guardie, perché sarebbero considerate delle infrazioni al regolamento.
Nel 1943 viene trasferita ad Auschwitz-Birkenau e in seguito a Bergen-Belsen.
Ad Auschwitz, Grese gira per le baracche con grossi stivali militari di cuoio nero, una grossa frusta e un’arma da fuoco. Insieme a lei, sono onnipresenti dei cani, pronti a scattare al suo comando contro i deportati. Qui commette, oltre a terribili torture e omicidi senza alcuna ragione disciplinare, un enorme numero di stupri ai danni delle detenute, anche utilizzando oggetti. La sua frusta colpisce spesso le donne che lei considera attraenti. Spesso, le persone da lei violentate, in seguito venivano poi mandate alle camere a gas o uccise dai cani. Diverse testimonianze la descrivono in preda a spasmi di piacere alla vista delle torture e del sangue, come se provasse un orgasmo. Ha modo di collaborare con Joseph Mengele, medico che passerà alla Storia come l’Angelo della Morte, che avrebbe potuto essere degno maestro di Gebhardt. Ha una relazione con lui, anche se probabilmente per lei sono molto più intense e interessanti le ore in studio con il dottore, passate a infliggere terribili sofferenze ai “pazienti”.
Nel 1945 i russi sono ormai alle porte di Auschwitz. La donna viene trasferita a Bergen-Belsen, dove si guadagna il soprannome di Belva di Belsen. È in questo campo che viene infine arrestata dalle truppe britanniche, dopo un breve tentativo di fuga. Durante la detenzione, mai simula un pentimento di comodo, né rinnega il nazionalsocialismo o afferma di essere stata costretta ad eseguire ordini superiori, come avrebbero fatto molti suoi “colleghi”, anche di rango ben più alto. Gli inglesi la condannano a morte per impiccagione, il 13 dicembre del 1945: Irma Grese è la più giovane SS mai condannata a morte. Affronta il patibolo a testa alta: intona canti nazisti nelle ore precedenti e, quando il cappio le viene stretto intorno al collo, la sua ultima parola è un gelido: schnell, fate in fretta.
Non è difficile immaginare seriali sadici come Robert Berdella, Peter Kürten o Steven Pennel con la divisa nazista, a girare per le baracche in cerca di prede inermi, proprio come ha fatto la Belva di Belsen. Nonostante la donna non abbia avuto una valutazione psichiatrica durante il processo, i suoi comportamenti sono una dimostrazione eloquente del suo orrendo mondo interiore e delle sue fantasie malate, nonché del suo insaziabile desiderio di potere, a volte giudicato eccessivo perfino dai nazisti stessi.
Irma Grese non è la sola SS che mostri evidenti tratti in comune con i serial killer. Anche altre sue colleghe come Maria Mandl, Dorothea Binz o Hermine Braunsteiner hanno avuto un comportamento simile al suo durante il loro servizio presso i campi di sterminio. Amon Göth, reso celebre dal film Schindler’s list, sarebbe diventato con ogni probabilità un feroce killer anche se non avesse avuto il ruolo di potere in diversi campi di sterminio. Viene ricordato come il Macellaio di Plaszów. Il suo sparare a caso dal balcone della sua abitazione, affacciato sul campo di sterminio, ne è una dimostrazione lampante.
Julius Streicher, il gerarca perverso
Julius Streicher, piccolo di statura, robusto e dallo sguardo glaciale, se fosse nato in un diverso periodo storico, probabilmente avrebbe ottenuto una sinistra fama come stupratore, omicida seriale o di massa, con crimini a sfondo razzista.
Streicher nasce in Svevia, a Fleinhausen, nel 1885. La sua famiglia conta ben undici membri: i suoi genitori e nove figli, a cui viene impartita un’educazione cattolica. Da sempre, Streicher prova interesse per il mondo militare e per le armi, partecipa quindi entusiasta alla Grande Guerra, uscendone decorato al valore militare. Frequenta sin da giovanissimo gruppi politici a sfondo militare e di chiare ideologie razziste e violente, che rispondono alle sue esigenze profonde di vomitare odio e disprezzo, in particolar modo contro gli ebrei, che ritiene esseri indegni di vivere, che non devono contaminare la fantomatica “razza ariana”.
Prima del conflitto mondiale era diventato insegnante, come il padre, ma aveva capito che non sarebbe stata quella la sua strada: il suo carattere perverso e iracondo e la sua sete di odio lo porteranno altrove. Nel 1920 tenta la via di un partito personale, basato esclusivamente sull’antisemitismo e sulla discriminazione razziale, ma non avendo doti di comunicatore né carisma particolare, sceglie di aderire ad un partito già avviato e si avvicina al nazismo, che incarna perfettamente il suo pensiero. [8]
Le parole che riserva agli ebrei somigliano moltissimo a quelle che tanti seriali riservano alle categorie di vittime da loro odiate. Ad esempio l’iraniano Said Hanaie ha commentato così gli omicidi delle sue vittime, prostitute strangolate con un chador: “Dio è soddisfatto del mio operato. […] Ho ripulito il quartiere. Mashhad è una città santa”.
Streicher si sposa due volte, senza amare le sue mogli profondamente: ne è del tutto incapace.
La sua prima moglie, Cunegonda Roth, gli dà due figli e muore nel 1943. Julius si risposa nel 1945 con Adele Tappe, che ha lavorato per lui come segretaria. Per tutta la vita, l’uomo pratica una sessualità perversa e si macchia di stupri violenti.
All’interno del partito, Streicher ottiene la fiducia di Hitler, ma il disprezzo di altri gerarchi, come Göring, con cui avrà sempre rapporti tesissimi. In comune coi nazisti ha il fanatismo e il desiderio di distruzione e morte, ma non il corporativismo né il senso di unità o di obbedienza cieca; Il suo carattere iracondo ed eccessivo gli procura non pochi problemi, nonché diverse condanne penali. Dirige un giornale di regime, il Der Stürmer, (traducibile come l’irruente, l’assalitore) completamente dedicato alla diffusione di idee antisemite e che non esita a ricorrere a deliberate menzogne per giustificare tale pensiero. Julius usa titoli ad effetto come “Gli ebrei sono la nostra disgrazia!” o “Gli ebrei praticano sacrifici umani!” assieme a un disegno medievale che rappresenta degli uomini con la barba che uccidono durante un rituale diversi bambini.
Nonostante le assurdità che riporta, il giornale ottiene un grande successo, raggiungendo anche le 800.000 copie al giorno, anche grazie a una diffusione capillare. Durante gli anni ’30, Streicher rende note sulla sua testata le sue convinzioni in merito alla necessità dello sterminio di massa, indispensabile per liberarsi da esseri che ritiene pericolosi, immondi e indesiderabili. Non sono idee che il popolo tedesco ritenga assurde, anzi: i suoi lettori concordano con lui e le sue parole deliranti, che trovano terreno fertile nel secolare antisemitismo presente sottotraccia in Germania. Julius arriva ai massimi livelli della sua carriera quando entra nel Reichstag e diventa governatore di Norimberga, la città del celebre processo, durante il quale sarà anch’egli condannato. Il suo carattere irascibile e ben poco diplomatico gli costa un’espulsione (temporanea) dal partito nel 1940 a seguito dell’ennesimo scontro con Göring.
È possibile ipotizzare che, se non avesse avuto un ruolo di rilievo nella comunicazione di regime, avrebbe probabilmente scelto di manifestare il suo odio in un modo più diretto, compiendo ad esempio una strage. È interessante notare il suo esasperato individualismo, in antitesi col nazista “canonico”: questo tratto lo accomuna maggiormente ai seriali, esseri tendenzialmente solitari, immersi nel loro mondo di fantasie violente, cosiddetto aurorale.
Processato a Norimberga, subisce una valutazione da parte di diversi psichiatri. Tutti mettono in evidenza il suo sadismo, la sua ossessione per il sesso perverso e la sua possibile psicopatia.
La sua fissazione malevola contro gli ebrei viene definita una vera e propria monomania, probabilmente frutto di quella che in seguito verrà definito nel DSM come disturbo paranoide, che fa parte del cluster A dei disturbi della personalità. [9] Alcuni studiosi, come Holmes e De Burger, lo avrebbero forse definito un potenziale serial killer missionario, che cerca di purificare il mondo da una categoria di persona che lui reputa impure.
Nemmeno la paura del capestro lo fa desistere dalle sue idee: disprezza profondamente gli ebrei, lo rivendica, senza mai arretrare. È fiero del suo ruolo nella progettazione dello sterminio, della sua propaganda antisemita. Il suo atteggiamento fa pensare a una possibile incapacità di intendere e volere, che però viene smentita dalla perizia: nonostante il suo disturbo di personalità e le sue deliranti convinzioni, è “sano di mente e idoneo a comparire davanti al tribunale per sostenere la propria difesa.” [10]
In carcere, teme una congiura nei suoi confronti da parte dei consueti nemici, gli ebrei. Ricusa alcuni difensori, poiché il loro cognome gli fa sospettare un’origine ebraica. Solo la forca pone fine alle sue farneticazioni, il 16 ottobre 1946.
Un ringraziamento speciale alla dottoressa Riccarda De Mattè.
BIBLIOGRAFIA
[1] I. Merzagora, La normalità del male, Raffaello Cortina, Milano 2019.
[2] Per approfondire: L’Onda, 2008, regia di D. Gansel.
[3] B. Stangneth, La verità del male, Luiss University Press, Roma 2017.
[4] R. De Luca, Serial killer, Newton e Compton, Roma 2021.
[5] V. Mastronardi, R. De Luca, I serial killer, Newton e Compton, Roma 2006, pp. 434-436.
[6] M. Newton, Il dizionario dei serial killer, Newton Compton, Roma 2005.
[7] A. Leggiero, Il profilo criminologico dei gerarchi nazisti, Mursia, Milano 2023.
[8] Ibidem.
[9] American Psychiatric Association, DSM-V, Raffaello Cortina, Milano 2023.
[10] A. Leggiero, Il profilo criminologico dei gerarchi nazisti, Mursia, Milano 2023.