Interviste

CICAP Fest 2024: alieni tra noi; invasioni biologiche e come prevenirle. Intervista a Piero Genovesi

Intervista di Chiara Siracusa

Le definiamo “aliene”. Sono specie viventi che si trovano a colonizzare un ecosistema diverso da quello in cui si sono sviluppate. Un fenomeno, questo, che può avere pesanti ripercussioni sulla biodiversità di alcune aree e che negli ultimi anni sta conoscendo un certo incremento. Dello stato dell’arte e dei possibili scenari futuri ha parlato il 12 ottobre 2024 Piero Genovesi, in una conferenza tenuta durante il CICAP Fest 2024. Responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), Genovesi si occupa del tema sin dal suo primo incarico post-dottorato. Il suo ultimo libro, Specie aliene (Laterza, 2024), riassume i temi caldi della questione e quali sono i possibili comportamenti da mettere in pratica, anche da parte dei singoli cittadini. 

Genovesi, partiamo dalle basi. Cosa si intende per specie aliena? 

Una specie si definisce aliena quando viene trasportata dall’uomo al di fuori del suo areale naturale. Se invece la sua distribuzione cambia per condizioni climatiche o di disponibilità di risorse, come il lupo che in Italia sta occupando anche aree in cui prima non era presente, si tratta sempre di specie autoctone. Se si fosse invece portato il lupo in Sudafrica, in quel caso sarebbe diventato una specie aliena. Simile è il caso dell’orso, che, reintrodotto sulle Alpi, rimane autoctono.

Quando si pensa ad una specie aliena, di solito vi si associa uno spostamento da aree della Terra molto distanti, per esempio l’importazione in Europa del Fico d’India dal Messico, nel XVI secolo. Quali sono i confini geografici delle cosiddette specie aliene? 

La scala geografica del fenomeno non è così netta, poiché spesso si parla di specie trasportate da un capo all’altro del mondo, ma si definisce specie aliena anche quella i cui organismi sono trasportati in un’area isolata, come un’isola. Per esempio, è successo con il cinghiale che l’uomo ha portato sull’Elba, dove naturalmente non sarebbe potuto arrivare da solo. Il suo impatto è stato gravissimo, nonostante si tratti di poche decine di chilometri di distanza dal luogo di origine. Ancora più evidente è il fenomeno nelle acque dolci. Se un predatore viene spostato da un bacino a un altro limitrofo, ma isolato, i danni possono essere enormi. Stesso discorso può essere fatto per delle grotte, che seppur vicine, contengono forme di vita diverse. La scala del fenomeno varia in relazione a organismi, dalla biogeografia e quindi dall’isolamento dei diversi ambienti. 

Il fatto che introduzioni di certe specie siano viste con benevolenza, come nel caso di vegetali quali il pomodoro e le patate, dipende dal fatto che nel passato non c’era la consapevolezza o adesso si parla più di rischio perché il fenomeno è aumentato con la globalizzazione?

Il fenomeno è effettivamente esploso in tempi recenti: il 30% delle specie aliene che conosciamo è stato introdotto negli ultimi decenni. Gli effetti dipendono comunque da caso a caso. Alcune specie introdotte sono state importanti e non invasive, come il cipresso, che non si è espanso al punto tale da doverne limitare la diffusione e l’utilizzo. Al contrario, l’importazione intenzionale in Italia di Eucalipto durante il secolo scorso o di Acacia saligna ha creato degli sconvolgimenti drastici agli ecosistemi. Ma fino a qualche decennio fa non esistevano valutazioni del rischio. Al giorno d’oggi alcune leggi permettono l’introduzione di organismi soltanto previo screening, procedura che in alcuni Paesi, come la Nuova Zelanda, è fattibile anche in un paio di settimane. 

Come può essere stimato il rischio dell’introduzione di specie aliene?

Le valutazioni di rischio si effettuano sulla possibilità di insediamento e diffusione, quindi, quanto potrebbe sopravvivere e riprodursi un organismo in un nuovo ambiente, sui rischi di impatto, anche sulla base di esperienze pregresse e sulla possibilità di controllarlo quando si espande. 

Oggi esiste l’opportunità di vendere e acquistare alcune specie esotiche. Come convivono protezione ambientale e commercio?  

Anche qui dipende dalla specie in questione. Con quelle tropicali o artiche il rischio di diffusione e impatto è inferiore, per esempio. Adesso, comunque, è in discussione un regolamento che potrebbe vietare la messa in commercio di molte specie in Italia. Per parecchie piante e animali ornamentali, molti Paesi stanno stilando elenchi autorizzati. Alcuni Paesi li vietano del tutto, mentre in Europa (Italia inclusa) ancora è per lo più permesso in base a quei parametri prima citati. 

Continuando con le misure, esiste un modo per quantificare l’impatto economico dell’introduzione di specie invasive? 

In Italia abbiamo soltanto  dati parziali, al momento, e si tratta sicuramente di sottostime. Su scala globale, l’introduzione di specie invasive provocherebbe un danno stimato di 400 miliardi di euro all’anno. Ma è soltanto la punta dell’iceberg. Ogni dieci anni quadruplica e questo è già un dato più credibile. Alcuni esempi specifici sono stati però meglio quantificati: si veda la diffusione del granchio blu, che ha causato la perdita dell’80% del pescato. Queste valutazioni rimangono comunque relative. Infatti, se si dovessero applicare gli stessi criteri in Paesi in via di sviluppo, il danno economico potrebbe ammontare a cifre trascurabili in termini assoluti. Nonostante questo, se si tratta di perdita di campi e pascoli, unico sostentamento di alcuni popoli, la cosa può fare la differenza tra la vita e la morte. In conclusione, dare una stima economica non riflette necessariamente l’impatto che il fenomeno ha sulla vita delle persone. Ecco perché nuovi parametri sono necessari, come l’impatto sull’attività, quindi la misura della modifica della vita delle persone e delle loro attività.