Interviste

CICAP Fest 2024: si fa presto a dire sostenibilità. Intervista a Maria Cristina Lavagnolo

Intervista di Eleonora Conca

Si parla tanto di crisi climatica, ma per molte persone questo concetto è difficile da comprendere appieno, perché si tratta di un fenomeno che avviene su periodi molto lunghi, distanti dalla nostra percezione diretta. Inoltre, essendo un problema su scala globale, esistono zone del pianeta in cui il cambiamento non si riesce a percepire distintamente. In queste condizioni, agire diventa estremamente difficile, anche perché i cambiamenti richiesti a livello di società e di stili di vita richiedono un impegno oggi per un beneficio che sarà eventualmente visibile soltanto un domani. Ne hanno parlato sabato 12 ottobre a Padova, Maria Cristina Lavagnolo, docente di Circular and Sustainable Waste Management, ed Enrico Rubaltelli, professore associato di psicologia, nell’ambito della settima edizione del CICAP Fest. Al termine della conferenza, abbiamo chiesto a Maria Cristina Lavagnolo di parlarci di sostenibilità, e di come possiamo agire per creare un mondo più sostenibile.

Lavagnolo, che cosa significa davvero la parola sostenibilità?

La usiamo così tanto che sta quasi perdendo significato. La sostenibilità non riguarda solo noi, ma i nostri figli, i nostri nipoti e chi verrà dopo ancora: si tratta di un patto tra generazioni. Non possiamo comprenderla se abbiamo una visione a corto raggio, occorre guardare verso il futuro. La comunicazione ambientale ha sempre avuto un grosso problema: oscilla tra la negazione del cambiamento climatico, attraverso le fake news, e il greenwashing, ovvero l’esaltazione esagerata di iniziative volte alla sostenibilità che, però, spesso risultano essere inefficaci o trovate di marketing. Tutto questo mette i cittadini in difficoltà, perché non riescono a discernere le notizie false da quelle vere. Ognuno ha diritto ad esprimere un’opinione, ma per farlo è necessario informarsi bene, e questa è una responsabilità di ogni singolo cittadino. L’unico modo che abbiamo per informarci è attraverso i dati e chi sa interpretarli: in ambito climatico, ci sono professionisti che si occupano proprio di studiare i cambiamenti che stanno avvenendo e di mettere a punto metodologie di misura sempre più accurate.

Come società stiamo facendo passi avanti verso un futuro sostenibile?

Attualmente siamo focalizzati sulla transizione energetica, ma dobbiamo puntare ad una transizione ecologica, di più ampio respiro. Finora abbiamo agito all’interno di un sistema economico di tipo lineare: abbiamo consumato risorse e, alla fine del ciclo vitale dei prodotti, generato rifiuti. Questo ha causato buona parte dei problemi ambientali che stiamo affrontando attualmente: scarsità di risorse non rinnovabili e allo stesso tempo abbondanza di rifiuti. Occorre chiudere il cerchio, riutilizzando i rifiuti per produrre nuove materie prime: è quella che chiamiamo “economia circolare”. A tal proposito, è stato recentemente pubblicato un Regolamento Europeo sull’ecodesign, ovvero sulla progettazione ecocompatibile, che spingerà le aziende a concepire prodotti che siano facilmente riciclabili, per esempio facendo sì che le materie prime di cui sono composti siano separabili agevolmente. Quando inizieranno ad essere disponibili sul mercato prodotti di questo genere, però, sarà nostra responsabilità scegliere di acquistarli, preferendoli ad altri magari più economici. La sostenibilità è anche una nostra responsabilità: la normativa ci può venire in aiuto, ma siamo noi come cittadini che dobbiamo scegliere di agire.

Quali sono, secondo lei, le azioni più importanti che potremmo adottare?

Bisogna integrare le diverse soluzioni: certe azioni sono più utili in alcune parti del mondo e in altre meno. Ma c’è un altro aspetto da tenere in considerazione. Gherardo Colombo, ex magistrato che ha contribuito a inchieste celebri come quella di “Mani pulite”, una volta ha detto «Mi sono accorto che prima della legge e della giustizia ci sono le persone». È una frase che mi è rimasta molto impressa e trova applicazione anche in ambito ambientale: prima della sfera economica, prima anche dell’ambiente se vogliamo, ci sono le persone. Ma attualmente ci sono tante persone in difficoltà. Faccio un esempio. Per cercare di ridurre l’inquinamento delle nostre città e le emissioni di gas serra, stiamo puntando tanto sulle auto elettriche. Ma se per reperire le materie prime dobbiamo andare fino in Congo e uccidere persone per prendere il comando, forse stiamo puntando nella direzione sbagliata. A queste condizioni, forse è meglio andare a piedi.

E quale potrebbe essere una soluzione? 

Fortunatamente, è stato recentemente pubblicato un Regolamento Europeo anche sulle materie prime critiche strategiche, che dalle nostre parti scarseggiano. Secondo questo regolamento, entro il 2030 almeno il 25% del fabbisogno annuale dell’Unione dovrà provenire dal riciclaggio dei rifiuti. È una percentuale bassa, di per sé non sufficiente ad eliminare la dipendenza europea dalle importazioni da paesi terzi, però è un primo passo. Dobbiamo prestare un po’ più di attenzione agli aspetti sociali: secondo me è questa la chiave della vera sostenibilità. Garantire una sostenibilità sociale porterà poi automaticamente anche ad una sostenibilità ambientale. E, grazie alle nuove normative europee, qualche passo in questa direzione lo stiamo iniziando a fare.

A suo parere, quindi, la sostenibilità ambientale e quella sociale sono strettamente legate?

Bisognerebbe sempre tener conto di tre diversi pilastri: economico, sociale e ambientale. Purtroppo, nel compiere scelte in ambito ambientale, spesso non teniamo conto della sostenibilità sociale: ci sono persone che vivono in estrema povertà e allo stesso tempo persone sempre più ricche, e la forbice si sta allargando sempre di più. Negli ultimi decenni la tecnologia ha fatto passi da giganti, ma dobbiamo sempre chiederci se le nuove tecnologie sono economicamente disponibili per tutti. Sfortunatamente, nella maggior parte dei casi non è così. Un progresso si può considerare tale solo se porta avanti tutti. Se lascia indietro le persone non è un vero progresso: si tratta di un fake progress.