Hilma af Klint, l’esoterista che anticipò l’arte astratta
di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Arte moderna e pensiero esoterico. Un legame la cui portata, man mano che avanzano gli studi accademici sull’occultismo occidentale, diventa sempre più chiaro. Un legame che si delinea col simbolismo francese e russo, già dagli anni ‘80 dell’Ottocento, ma che diventerà assai più forte all’inizio del Ventesimo secolo. Se volete un’introduzione generale a queste vicende affascinanti, guardate questa puntata del format Strane Storie di Massimo Polidoro. Se, invece, volete esplorare un caso specifico di artista-esoterista del Novecento, vi consigliamo di leggere questo articolo sul pittore russo Nicholas Roerich, uscito nel 2023 su Query, la rivista cartacea del CICAP.
Vasilij Kandinskij, il papà dell’astrattismo, la corrente che ha rivoluzionato per sempre l’idea che in Occidente abbiamo dell’arte, era uno studioso di esoterismo. Nelle sue teorie pittoriche, fu fortemente influenzato da alcuni teosofi, cioè da esponenti della più importante corrente occultistica fra Otto e Novecento.
Eppure, la ricerca storica recente ha portato a un parziale, ma curioso cambiamento di prospettive sulla paternità dell’astrattismo – anzi, sulla maternità di questo modo così rivoluzionario di pensare la pittura. Una sorprendente anticipatrice di questa corrente fu, infatti, una figura appartata di artista svedese, Hilma af Klint. Sorprendente lo è, questa donna, insieme a un piccolo gruppo di compagne, non solo perché dipingeva “come Kandinskij” prima di lui e dei suoi emuli, ma perché… concepì parte delle sue opere sulla base di varie forme di pensiero esoterico.
L’arte moderna, almeno in qualche misura, è figlia legittima di questi modi di pensare, legati e contrapposti al tempo stesso alla razionalità scientifica.
Lutto, mistica e spiritismo, motori dell’arte?
Hilma af Klint, venuta al mondo nel 1862 nell’elegante maniero di Karlberg, non lontano da Stoccolma, era nata con la camicia. Suo padre era un ufficiale di marina con compiti d’insegnamento. Suo nonno era un celebre cartografo. Precoce nel talento artistico, mescolò però questa inclinazione con temi che nella sua famiglia erano coltivate da sempre: le ultime acquisizioni della botanica e della matematica.
A Stoccolma, dove si trasferì per studiare già a diciotto anni, dal 1882 frequentò l’Accademia di belle arti, e cominciò a dipingere soggetti convenzionali: panorami, ritratti, manifesti. Insieme all’estrazione familiare, le permetteranno di vivere senza grossi pensieri pratici.
Nel frattempo però erano accadute due cose fondamentali. La prima fu l’inizio dell’interesse per l’occultismo e in particolare per lo spiritismo. Nel 1879, a diciassette anni, cominciò a partecipare a sedute spiritiche, prima vicino a Karlberg, poi nella capitale.
La seconda, l’anno dopo, il 1880, fu la morte della sorella minore, Hermina. Gli storici delle idee hanno fatto notare che alla popolarità dello spiritismo, verso metà Ottocento, contribuirono due fattori: da un lato, lo sviluppo della famiglia moderna borghese (basata su legami romantici e di tipo nucleare, cioè, con indebolimento dei rapporti con le famiglie di origine). Dall’altro, a fronte delle grandi aspettative emotive insorgenti da questo tipo di matrimoni, l’incidenza altissima di morti precoci di figli piccoli, puerpere giovanissime, mariti per incidenti sul lavoro o malattie banali – senza dimenticare il triste mietitore della seconda metà del secolo, il colera. Con le sue molteplici articolazioni, lo spiritismo offriva risposte soddisfacenti a molti bisogni del tempo; non ultimo, rassicurava, promettendo un’evidenza constatabile al di fuori del quadro religioso tradizionale, sul fatto che i legami individuali fra le persone non si sarebbero interrotti con la morte.
Klint frequentò in maniera intensa per alcuni anni i circoli spiritici di Stoccolma sia per sete di spiritualità moderne, sia, soprattutto, per affrontare il trauma della perdita della sorellina amatissima. Da quelle esperienze nacque il suo primo interesse per un tipo di pittura che in seguito diventò completamente simbolista e poi astrattista.
Però, nel giro di qualche anno gli ambienti spiritistici non la soddisfecero più. Hilma era troppo raffinata e dotata di senso critico per accontentarsi di tavolini che ballavano e medium di successo. Così, si volse alla seconda e più coinvolgente area d’interesse occultistico: quello della Teosofia.
Negli anni ‘80 dell’Ottocento la Società Teosofica era in forte espansione in molte parti del mondo. In Italia, in maniera organizzata, i primi gruppi teosofici compaiono intorno al 1891. Più precoce fu la patria della Klint: la sezione svedese della Società Teosofica, espressione ufficiale della dirigenza internazionale del movimento, fu creata nel 1889, e l’artista ne fu immediatamente parte attiva, anche se diventò formalmente socia della loggia di Stoccolma soltanto nel 1904. Per capire meglio quanto la cosa fu importante per lei, basti dire che non solo scrisse diversi articoli su riviste teosofiche, ma che nel 1913 relazionò al congresso mondiale della Società, che si tenne nella capitale svedese.
Al contempo, sulla scia di quanto stavano elaborando pionieri della psicologia come William James e il teosofo tedesco Franz Hartmann, Klint era affascinatissima dall’idea dell’esperienza diretta degli stati alterati di coscienza, spontanee o indotte da tecniche occultistiche. Per questo, quando scoprì che c’era un altro occultista e mistico tedesco che su quell’idea spingeva ancora di più, il barone Karl Du Prel (1839-1899), si tuffò nei suoi scritti e uscì rafforzata in quella convinzione. L’artista, per creare opere che potessero rendere accessibile il sovrasensibile, e renderlo fruibile, poteva trovare la via maestra nell’accesso a stati di coscienza diversi dall’ordinario.
Non ci stancheremo mai di ripeterlo: queste idee culturali sono in costante dialogo e confronto con la scienza “ordinaria”: fra le idee di un certo numero di filosofi, scienziati, politici e il pensiero esoterico il muro è permeabile, i confini ambigui, complicati, e i percorsi delle singole biografie spesso sorprendenti e ricche di chiaroscuri. Basti pensare a una cosa, nel nostro caso: un occultista a dir poco colorito come Karl Du Prel, letto e ammirato nella fase della sua formazione da Hilma af Klint, ha un posto anche nella quarta edizione rivista dell’Interpretazione dei sogni di Freud. In una qualche misura, Freud lo considerava un anticipatore del legame che riteneva di aver stabilito tra inconscio e vita onirica.
Che poi la ricerca contemporanea abbia ampiamente rivisto le idee di Freud, è altra questione.
Astrattista prima dell’astratto
Klint cominciò ad affiancare la sua produzione naturalistica con un’altra, assai più interessante. In quel mondo a parte, che il pubblico, gli acquirenti e quasi nessuno del suo ambito conosceva, iniziò a rappresentare quello che, essendo nascosto, non poteva essere né appreso, né rappresentato nei modi in cui, di norma, faceva l’arte europea dell’Ottocento.
Prese a intessere quello che per lei e per un gruppo ristretto di sue amiche era un dialogo continuo fra stato cosciente e inconscio. Influenzata dalle idee sulla condizione psichica in cui secondo molti spiritisti operavano i medium, iniziò a dipingere in uno stato alterato di coscienza da lei attribuito alla meditazione dei testi occultistici e teosofici che frequentava. Sta di fatto che sul piano della creatività i risultati furono eccellenti.
Ecco però un punto che ci serve per capire meglio fino a che punto l’arte d’avanguardia di Klint fu legata all’occultismo. Una parte importante del suo lavoro non lo fece da sola, ma insieme a un cenacolo semi-segreto composto da altre quattro donne di idee simili alle sue. Questo gruppo informale è noto sotto il nomignolo De Fem, “Le Cinque”, dal numero complessivo delle componenti.
Klint incontrò le sue quattro compagne d’avventura in due momenti diversi: la prima, l’artista Anna Cassel, poi seguace della Teosofia come Hilma, era sua compagna all’Accademia di Belle Arti di Stoccolma. Anna e Hilma conobbero le altre tre in un circolo occultistico di Stoccolma che, fra le altre cose, fu tra i precursori del movimento ecumenico fra chiese cristiane, il gruppo Edelweiss. L’esperienza delle cinque donne nell’Edelweiss si consumò tra il 1896 e l’anno successivo, ma, alla fine, la svolta verso un’arte astratta basata su idee esoteriche poteva dirsi compiuta.
Il gruppo De Fem, attivo per dieci anni, si riunì ogni settimana prendendo nota di tutto – in primo luogo delle esperienze psichiche che le sue componenti sperimentavano. Fiduciose di essere in rapporto con entità di altri piani di esistenza e di poter accedere in quei modi a conoscenze arcane, produssero otto volumi con i resoconti delle sessioni.
Le riunioni delle cinque, tutte vegetariane, si aprivano con il canto o con una preghiera, cui seguiva la lettura e la discussione libera di un brano del Nuovo Testamento (tutte erano protestanti di confessione luterana). Poi, una di loro, Sigrid Hedman (1855-1922) cominciava a entrare in una condizione di coscienza modificata: cambiava voce, e tramite lei, varie presunte entità inviavano messaggi e istruzioni. Quel che più conta, disegnavano forme e geometrie astratte in maniera automatica, giungendo alla fine a dipingere veri quadri che, per loro, erano letteralmente frutto di azione di esseri di altri piani di esistenza, gli Höga Mästare (“Alti Maestri”) che, uno dopo l’altro, si presentavano col loro nome.
Dopo un periodo iniziale, la guida del gruppo fu presa in maniera più netta da Klint: anche lei riferiva esperienze medianiche, e – non ultimo – produceva in apparenza senza alcuna volontà opere sempre più notevoli. Uno degli Alti Maestri, Gregor, gli annunciò che stavano accedendo alle più alte conoscenze dello Spirito – a ben vedere, una particolare forma di misticismo, di evidente impronta teosofica, ma con un lascito cristiano.
La fioritura dell’arte esoterica di Hilma
La svolta artistica era matura. Nel 1906 Hilma annunciò che i Maestri Ascesi di Venere le avevano comunicato che suo compito era quello di realizzare, sulla base di loro istruzioni, una serie di quadri che nell’insieme doveva chiamare Målningarn till Templet (“I dipinti del tempio”). Che cosa fosse questo tempio non è mai stato chiaro nemmeno a lei, ma il risultato fu che, in due fasi, entro il 1915 aveva dipinto 193 tavole meravigliose, ignote a tutti se non a una ristrettissima cerchia di esoteristi. Raccontava di essere guidata da una forza esterna: non era lei a fare, erano i Maestri di Venere a comporli, quelli di cui aveva parlato la fondatrice della Teosofia, Helena Blavatsky. Simmetrie moderne, simboli, colori e accostamenti innovativi, eliche, spirali, voli liberi in un cosmo al di là di quello noto. Il Ventesimo secolo, annunciato in una serie di opere che la Klint realizzava senza volerlo, senza sapere che cosa stava facendo e – stando a quanto ha lasciato scritto, senza mai esitare in un solo colpo di pennello.
La serie “Il Cigno”, parte dei 193 dipinti, per esempio, per lei era ciò che i Maestri teosofici volevano mostrare del processo alchemico, quello in cui l’uomo diventa “completo”, accedendo al soprasensibile.
Secondo diverse testimonianze, quel lungo periodo di così elevata creatività artistica a sfondo esoterico sarebbe stato parallelo a una fase di disagio, nel corso della quale Klint avrebbe mostrato spesso sintomi di dissociazione psicologica. Con un risultato paradossale: alla fine, fu quasi come se i suoi “Maestri” – o le sue dinamiche psicologiche, se preferite – proprio in quel periodo complicato le avessero fatto dare il meglio, come artista. Dopo il 1915, sta di fatto che l’automatismo pittorico cessò. Continuò a disegnare simboli e a rappresentare concetti e personaggi dell’universo esoterico, ma lavorando in maniera “normale”.
Se oggi si conoscono in dettaglio sia l’influenza dell’occultismo di quel periodo su di lei, sia, più in generale, le sue idee teoriche sulla pittura e sui colori, lo si deve al fatto che Klint raccolse una gran quantità di note e schizzi in 124 taccuini, per un totale di 26.000 pagine.
Attraverso di essi, e, naturalmente, dall’analisi della sua produzione da parte degli storici dell’arte, è possibile asserire che Klint fu una straordinaria anticipatrice della rivoluzione dell’arte astratta, e, in particolare, che le sue idee sui colori mostrano forti consonanze con quanto il riconosciuto padre dell’astrattismo, Vasilij Kandinskij, stava elaborando, ma che cominciò a mettere a frutto mentre Klint stava ormai concludendo la grande serie “I dipinti del tempio”.
Kandinskij fu direttamente influenzato dagli scritti dei teosofi (in particolare quelli della cosiddetta “seconda generazione”) sui colori dell’aura. In particolare, risentì delle suggestioni di Annie Besant nel volume Le forme-pensiero, uscito nel 1905, che anche Klint aveva letto. Pure da questa circostanza, probabilmente, scaturirono gli esiti pittorici paragonabili, ma Hilma li concepì in un contesto di tipo quasi iniziatico, e furono poco compresi mentre lei era ancora in vita.
L’eredità “segreta” dell’arte esoterica di Hilma af Klint
Dopo il suo lungo periodo di opere “automatiche”, Klint spostò i suoi interessi verso un’altra branca dell’occultismo moderno, e cioè verso l’Antroposofia di Rudolf Steiner, il nuovo movimento religioso creato dall’occultista e filosofo tedesco nei primi anni ‘10 del secolo scorso – anche in questo caso, in modo in parte parallelo a quanto stava accadendo a Kandinskij.
Nel 1908, prima che Steiner si separasse dalla Società Teosofica gestita dai successori della Blavatsky, Klint lo convinse ad andare a trovarla a Stoccolma per farle vedere i quadri che stava producendo guidata dai suoi misteriosi maestri. Era particolarmente ansiosa di mostrargli la serie dei Dipinti del tempio. La speranza mutò ben presto in delusione: Steiner, ancora legato ai dettami della Teosofia, le disse che la sua medianità non andava bene. Il quadro teorico retrostante alle idee di Klint, ancora segnato dal Cristianesimo, lo lasciava perplesso. Il risultato fu drammatico: Klint si rifiutò di dipingere per quattro anni.
Eppure, da questo incontro in apparenza fallimentare si stavano aprendo nuove strade. Steiner consolò Klint dicendole che soltanto dopo cinquant’anni si sarebbe compreso il valore simbolico della sua opera. Ne fece anche fare delle foto, alcune delle quali, come a quel tempo era comune, fece colorare a mano. Poi se ne tornò in Germania.
Pochi mesi dopo, Steiner andò a incontrare Kandinskij, che nel frattempo si era ormai dato all’occultismo, ma che non aveva ancora realizzato nessuna opera astratta. Fra gli storici dell’arte è questione dibattuta se Steiner abbia mostrato a Kandinskij le riproduzioni dei dipinti di Klint e se le abbia raccontato dell’incontro con lei, ma una cosa è certa: l’astrattismo di Kandinskij inizia dopo quella della svedese, e la parentela teorica fra i due modi d’intendere la pittura sono innegabili. Non è possibile asserirlo con certezza, ma è plausibile che Kandinskij, poi convinto antroposofo, abbia appreso quanto Hilma aveva già elaborato prima di lui.
Hilma af Klint morì vicino a Stoccolma il 21 ottobre del 1944, a causa dei postumi di un incidente stradale. Nella sua storia c’è un aspetto che negli ultimi decenni è stato fatto notare mille volte, e nel quale c’è molto di vero, ma che non va forzato in maniera eccessiva. L’idea che la sua produzione artistica di tipo astratto, strettamente connessa alle sue convinzioni occultistiche, sia stata tenuta completamente segreta sino a ben oltre la sua morte.
Ora, che il gruppo De Fem operasse nel silenzio, in una conventicola semi-iniziatica, è senz’altro vero, ed è vero che, per motivi ideali, Klint coltivava le sue idee e le sue frequentazioni nella riservatezza. Questo aspetto però non va esagerato. Della sua arte d’ispirazione esoterica l’artista scrisse più volte su riviste occultistiche e, soprattutto, nel 1928 parecchie sue opere furono esposte a Londra in occasione di un grosso convegno occultistico. Un altro tentativo di esporle ad Amsterdam col sostegno della grande rivista oldandese d’arte e architettura Wendingen, otto anni prima, malgrado i suoi sforzi non era andato in porto. In quel periodo, in questi tentativi collaborò a lungo con una delle principali esponenti della Società Antroposofica di Steiner, l’olandese Peggy Kloppers-Moltzer (1881-1930), una delle inventrici dell’euritmia, il tipo di performance espressiva promossa dagli antroposofi.
Insomma: che Klint fosse un’esoterista dall’animo elitario la cui arte nacque da quella visione del mondo, non ci sono dubbi. Che, invece, tenesse i frutti del suo lavoro davvero nascosti a chiunque, come una specie di maga gelosa dei segreti contenuti in un antro, è una sciocchezza, frutto di esagerazioni e dei miti recenti sorti sul suo conto.
Già, perché la riscoperta, la fama e la fruizione generale dei capolavori di Hilma af Klint è, in effetti, un fatto relativamente recente. Nelle volontà testamentarie della donna c’era il fatto che le sue opere astratte, lasciate nella loro interezza al nipote Erik, un alto ufficiale della marina militare svedese, dovessero essere conservate privatamente per almeno vent’anni dopo la sua morte. Anche in questo caso, però, se è vero che le idee di Klint fanno facilmente pensare a una volontà di segretezza, bisogna andarci cauti. La personalità dell’artista era quella di una donna che, per quanto se ne sa, non ebbe relazioni amorose, né su di lei circolarono voci su flirt o sul suo orientamento sessuale. Aveva una vita segreta, certo, ma era quella della sua mente, della sua visione occultistica della realtà e dei legami fra gli esseri umani e una sapienza alla quale si poteva alludere attraverso la pittura.
La mancata conoscenza di gran parte dell’opera di Klint fino a diversi decenni dopo la sua scomparsa è stata paragonata alla solitudine estrema e alla semi-reclusione di una scrittrice della portata di Emily Dickinson, la cui produzione poetica fu scoperta quasi tutta soltanto dopo la sua dipartita.
D’altro canto, una serie di lungaggini rallentò il processo di riscoperta dell’artista. La conoscenza contemporanea di Hilma af Klint cominciò a farsi strada solo agli inizi degli anni ‘80, anche perché, in un primo tempo, il Museo d’arte moderna di Stoccolma aveva rifiutato di acquisire il lascito. Fu creata una fondazione, in cui la Società antroposofica aveva ruolo, e questo per volontà del nipote di Hilma, titolare del lascito. Poi, arrivò il boom, con mostre sino al Museo Guggenheim di New York, cataloghi, lavori e libri sulla vita di Hilma e sulle sue intuizioni artistiche.
Vista ormai come pittrice geniale e antesignana dell’empowerment femminile, è presentata spesso come un fiore all’occhiello da parte di chi apprezza la concezione esoterica del mondo, a riprova del fatto che, in molti casi, quel tipo di idee, oggi parte del mainstream occidentale, possono generare anche cultura “alta”.
Un mondo a parte? Oppure no?
La storia di Hilma af Klint ci interessa per due motivi.
Da un lato, infatti, la ricerca storiografica ha mostrato che, diversamente da quanto propone chi sostiene una visione esoterica della realtà, per capire i paralleli fra la sua arte anticipatrice e quella di altri astrattisti interessati all’occulto, come Kandinskij, o Mondrian, non c’è bisogno di ricorrere a “serbatoi” segreti di una conoscenza perenne, che esiste al di fuori della storia e alla quale alcuni sono in grado di attingere.
I rapporti fra gli artisti e le correnti, l’aria del tempo comune a tanti, i movimenti collettivi e lo sviluppo contemporaneo di idee, tecniche e motivi simili, sono elementi sufficienti per interpretare in modo meno effervescente molte cose, anche quelle sorprendenti come la “preveggenza” di af Klint.
Ma occorre stare attenti. Sul versante opposto, e questo è il nostro secondo motivo d’attenzione, figure come Klint e gli studi sul suo conto sono un esempio del fatto che, ammesso lo sia mai stato, l’esoterismo non è una parte marginale o caduca della cultura occidentale. Al contrario, ne è una componente rilevante, naturalmente insieme a molte altre. Capace di produrre idee in maniera autonoma, complessa e fruttuosa, ma anche movimenti, letteratura e punti di vista su molte cose, va studiata e spiegata nel suo sviluppo – cosa che, del resto, storici della religione e delle idee, antropologi e specialisti in mille discipline oggi fanno in ambito accademico, suddivisi a loro volta in correnti e orientamenti.
Siamo sicuri che gli scettici siano stati in grado di cogliere queste trasformazioni, e, dunque, di raffrontarsi in modo adeguato a tutto ciò?
Immagine di apertura: Particolare da “Pala d’altare”, di Hilma af Klint. Da Wikimedia Commons, pubblico dominio