I miti del meteo
Articolo di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo, da Query 59
«Se con la vostra Arte, mio carissimo padre, avete scagliato le acque selvagge in questo sconvolgimento, placatele. Il cielo rovescerebbe fetida pece, se il mare, innalzandosi fino alle guance delle nubi, non spegnesse il fuoco»
Miranda. Atto I, scena II
Primo novembre 1611. Al Whitehall Palace di Londra avviene la prima rappresentazione nota de La tempesta di William Shakespeare: un dramma complesso, in cui la magia ha un ruolo centrale. Il titolo dell’opera deriva dal fatto che il protagonista, Prospero, grazie ai suoi poteri magici e al controllo sullo spirito Ariel, è in grado di scatenare nel Mediterraneo un terribile fortunale. È proprio questo evento a dare il via allo svolgimento dei fatti, separando i vari personaggi imbarcati su una nave.
Prospero è l’erede di una tradizione di “magia tempestaria” già stabilita da lungo tempo. Da sempre, il controllo dei fenomeni meteorologici è stato attribuito a entità superiori o a uomini dotati di poteri magici. Se nel mondo greco-latino ci si votava a Giove Pluvio o a Eolo “portatore di vento”, con il Cristianesimo furono ideati santi specializzati a cui chiedere la grazia di una pioggia ristoratrice o di un raccolto libero dalla grandine.
Che il cielo si apra: i tempestari e le loro trame
Tuttavia, al fianco degli esseri divini, si sviluppò anche l’idea che alcune persone in carne e ossa avessero il potere di comandare gli elementi. Una delle fonti più importanti al riguardo è il trattatello De grandine et tonitruis, scritto dal vescovo Agobardo di Lione intorno all’815. Il religioso se la prendeva contro una curiosa attività commerciale, diffusissima nella sua diocesi: quella dei maghi tempestari, che circolavano per le campagne affermando di poter suscitare la pioggia o allontanare la grandine a loro piacere, e che chiedevano ai contadini un corrispettivo per i loro servizi. Su di loro fiorivano leggende di ogni tipo: una di queste asseriva che provenissero da una misteriosa regione, chiamata Magonia, a bordo di navi volanti. (Negli anni ’60 del Novecento, l’idea fu requisita e popolarizzata da alcuni ufologi, sospettosi che Magonia fosse una realtà parallela alla nostra dalla quale provenivano le entità all’origine degli UFO).
Fu comunque anche a causa di personaggi come quelli menzionati da Agobardo che, tra il XV secolo e i primi del XVIII, la magia tempestaria finì per diventare un capo d’accusa comune contro le streghe, a cui veniva attribuita la colpa di raccolti distrutti dalla grandine, o il manifestarsi di tremende bufere marine. Uno degli episodi più celebri si ebbe nel 1589, quando la nave di Anna di Danimarca, che viaggiava verso la Scozia per sposare Giacomo I, re di Scozia e poi di tutto il Regno Unito, fu bloccata nel Mare del Nord da una terribile tempesta. L’evento scatenò un’ondata di cacce alle streghe; in Inghilterra fu arrestata una donna, Agnes Sampson, che sotto tortura confessò di aver generato la bufera annegando un gatto al quale aveva legato parti di un cadavere umano. In Danimarca, tredici persone (dodici donne e un uomo) furono accusate per lo stesso evento: si erano riunite nel giorno di san Michele per invocare la tempesta, in modo da impedire l’unione tra le due case reali. La capacità di comandare gli elementi, del resto, era uno dei tanti poteri che il diavolo poteva accordare ai suoi adepti. Un altro esempio fu il processo della Vauderie d’Arras (1459-1460), nella Francia del nord. Ventinove presunti stregoni furono accusati, tra l’altro, di aver sparso sul terreno polveri che, lanciate in aria, facevano condensare le nubi provocando bufere di neve e grandinate. Come fa notare Debora Moretti nel saggio Con tuono, lampo o pioggia, capi di imputazione di questo tipo sono quasi assenti nell’Italia centromeridionale, mentre sono presenti lungo l’arco alpino e nel resto d’Europa. Il culmine della caccia alle streghe coincise infatti con la cosiddetta Piccola Era Glaciale, quando le temperature calarono e i raccolti si fecero più scarsi, portando a carestie e alla ricerca di capri espiatori. L’Italia meridionale conservò invece un clima più mite, con meno tempeste improvvise e grandinate.
Dalla magia alla scienza
Le cose iniziarono a cambiare nel XVIII secolo, con i primi studi di fisica dell’atmosfera. Fu poi l’ipotesi dell’effetto serra, avanzata da Jean Baptiste Fourier nel 1827, a suscitare una serie di proposte per modificare artificialmente il clima. Ne nacque un vero e proprio filone di studio, quello dei cosiddetti pluviculturalisti, che ipotizzavano di vincere la siccità grazie a bombe, cannonate, lancio in aria di palloni riempiti di gas, eruzioni vulcaniche artificiali. Un esempio per tutti: il meteorologo statunitense James Pollard Espy, che tra il 1836 e il 1840 presentò una sua personalissima teoria secondo cui le precipitazioni potevano essere indotte incendiando le foreste: i moti convettivi avrebbero portato il calore verso l’alto, sviluppando nuvole cariche di pioggia.
Queste idee tracimarono nella nascente letteratura d’anticipazione e nelle prime proposte di grandi opere ingegneristiche, che proponevano la deviazione di fiumi o l’abbattimento di montagne per alterare la circolazione atmosferica. L’idea che il clima fosse in qualche modo modificabile, però, ebbe ben presto effetti anche sull’immaginario collettivo, andando ad alimentare nuove teorie del complotto. Tecnologie come il telegrafo e la radio furono accusate quasi subito di causare la siccità o di alterare in altro modo le precipitazioni. Un riflesso di queste nuove paure si ritrova anche nei Malavoglia, là dove Verga mette in bocca a padron Cipolla la sua spiegazione della mal annata: «Non piove più perché hanno messo quel maledetto filo del telegrafo, che si tira tutta la pioggia, e se la porta via». Paure simili hanno riguardato anche la radio. Nell’ottobre 1924, la rivista Science and Invention pubblicò un lungo intervento dell’inventore ed editore Hugo Gernsback, che riassumeva le false accuse contro la radio: tra queste, anche l’idea che le onde radio, viaggiando nell’aria e, si presumeva, riscaldandola, provocassero la siccità.
Parafulmini e paragrandine
In tutto questo, però, le scoperte scientifiche procedevano, benché lo studio della meteorologia portasse con sé anche solenni cantonate. Notevoli, fra tutte, due trovate ottocentesche che promettevano di liberare i campi dal flagello della grandine: il paragrandine, intorno al 1820, e i cannoni antigrandine, a partire dal 1896. Entrambi i sistemi erano mezzi moderni: il timore di un dio che faceva piovere a comando o di stregoni del tempo passava in secondo piano, almeno per il momento.
La prima invenzione si sviluppò nella prima parte del XIX secolo, in Europa e negli Stati Uniti. All’epoca, l’elettricità sembrava poter spiegare mille fenomeni naturali: si spaziava dalle meteore celesti, alle eruzioni, ai terremoti. Pionieri dell’elettrologia come il fisico e religioso francese Pierre Bertholon (1741-1800) mescolavano fenomeni naturali come i terremoti, le “luci sismiche”, la grandine e un altro fenomeno controverso che cominciava a colpire anche quello l’attenzione degli scienziati, i fulmini globulari. Dunque, se la grandine era un fenomeno elettrico, forse le nubi grandinigene potevano essere in qualche modo “scaricate”: perché non provare a farlo con le spranghe di Franklin, come si chiamavano allora i parafulmini? Intorno al 1820 la passione per il nuovo ritrovato esplose a partire dalla Svizzera, anche a opera di uno zoologo e pastore protestante, Daniel-Alexandre Chavennes. Si formò una “Società dei parafulmini” destinata a promuovere l’idea. La controversia scientifica raggiunse ben presto Parigi: contro l’uso dei parafulmini antigrandine si mosse l’Accademia delle Scienze; a favore, c’era invece la Società Linneana, e insieme a essa molti dilettanti e agricoltori.
L’evidenza a sfavore dei parafulmini però cominciò ben presto a diventare schiacciante. La moltiplicazione degli apparati, che sovente non erano dotati di adeguate messe a terra, causò parecchi incendi: fece scalpore quello che nel 1825 distrusse in parte la cattedrale riformata di Losanna. L’anno seguente, una serie di grandinate danneggiò in maniera gravissima i raccolti sia in Svizzera sia in Francia, gettando nella costernazione Chavennes. Nel 1827 l’entusiasmo per le spranghe di Franklin poteva dirsi cessato.
Alla passione per i paragrandine, verso la fine dell’Ottocento si sostituì quella per i cannoni antigrandine, dispositivi che sparavano a salve verso le nubi cariche di pioggia e potenzialmente grandinigene nel tentativo di dissolverle. Sebbene questa pratica sia oggi meno diffusa rispetto all’epoca del suo massimo successo (i primi del XX secolo), ancora oggi nelle campagne dell’Italia del nord può capitare di sentire dei boati sordi quando il cielo si fa minaccioso. Sono i moderni cannoni a propano o a GPL (un tempo si usava l’acetilene), acquistati da enti locali e agricoltori a costi spesso non irrilevanti, e non importa se i meteorologi e i fisici dell’atmosfera hanno da tempo stabilito la loro inutilità.
Il persistere dell’utilizzo di quei marchingegni è dovuto probabilmente a diversi fattori. I cannoni vengono usati soprattutto dove ci sono coltivazioni viticole particolarmente pregiate e perdere un raccolto può significare perdere un’annata di vino; acquistare i cannoni dà l’impressione di fare qualcosa per evitare quest’eventualità. Bisogna aggiungere poi che quando la moda dei cannoni tornò a diffondersi, negli anni ’70 del secolo scorso, si stava assistendo a un fortissimo rialzo dei costi assicurativi contro il maltempo per le colture agricole, e molte amministrazioni di piccoli comuni avevano scelto di fare della lotta alla grandine un cavallo di battaglia e un motivo di vanto. Così, si capirà meglio perché, ancora oggi, i boati dei cannoni puntati verso il cielo nelle Langhe o nelle regioni del prosecco stupiscano soltanto chi non è del posto.
Inseminare le nuvole
Rispetto a queste invenzioni ottocentesche, non va dimenticato uno sviluppo fondamentale. A partire dal 1946, grazie a una scoperta fortuita dei chimici Vincent Schaefer e Irving Langmuir (l’efficacia relativa del ghiaccio secco nel generare la pioggia) e, subito dopo, grazie allo ioduro d’argento sperimentato da Bernard Vonnegut, si è aperta davvero la strada dell’inseminazione delle nuvole, o cloud seeding. Dopo quei primi tentativi, le possibilità sono aumentate: sali di vario genere (per esempio il cloruro di potassio), gas come il propano liquido, o anche la produzione di scariche elettriche emesse da droni, stanno producendo risultati via via più interessanti, anche se l’effettiva efficacia di queste tecniche rimane dibattuta.
Il contraltare di questi processi è che, come sempre, la comparsa di nuove tecnologie comporta il sorgere di voci e di convinzioni complottiste. Se sullo sfondo dei maghi tempestari, dei parafulmini antigrandine e di altri metodi improbabili c’era la totale incapacità di influire sulle precipitazioni atmosferiche, oggi invece poterlo fare è scientificamente plausibile. Ma la plausibilità tecnica non diminuisce la portata delle credenze “magiche”: al contrario, sia pure in forme diverse dal passato, la accresce, favorendo il moltiplicarsi di voci, di leggende e il sorgere di mitologie nei più vari ambiti.
Proprio questo è accaduto con la mitologia meteorologica. Per mostrarlo, conviene spostarsi su un altro versante, quello in cui i disastri provocati dai manipolatori non sono gli eccessi di pioggia, ma la siccità: una mancanza di pioggia che si suppone decisa a tavolino da moderni maghi malvagi che usano una tecnica malata e asservita ai potenti. La tempesta, dunque, può essere manufatta, ma lo può essere anche la totale chiusura del cielo, il suo silenzio. Vediamo chi, di volta in volta, sono i responsabili di queste chiusure, quali mezzi usano, e che cosa li spinge a negarci la pioggia.
Che il cielo si chiuda: la siccità manufatta
Facciamo due esempi di voci sulla siccità manufatta, cercando di interpretarle. Il primo riguarda un’area della Spagna sudorientale, la provincia di Almeria, che dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso fu interessata da una lunga e grave siccità.
Agli agricoltori della zona pareva che le nubi di tempesta, visibili a volte in distanza, si disperdessero prima di scaricare la pioggia sui loro campi. Cominciò a diffondersi una voce: erano le multinazionali della produzione di pomodori che, con piccoli aerei, lanciavano prodotti chimici per bloccare le piogge. C’era chi raccontava di averli visti o di averne sentito il motore; venivano da piccoli aeroporti segreti, si diceva. Qualcuno sparò a casaccio contro velivoli da turismo di passaggio. Sui muri apparvero scritte come «Morte agli aerei» e «Sì alla pioggia, no ai pomodori».
La voce diventò protesta sociale, con manifestazioni, infuocate riunioni informative e testimonianze sui giornali in cui alcune persone affermavano di aver avvistato gli aerei fantasma. Sebbene in certi casi la siccità fosse imputata ad altri soggetti (l’industria balneare, o gli astrofili, che volevano il cielo limpido per il loro hobby), questa serie di voci, giunta al culmine nell’estate del 1985, ebbe una dialettica chiara. I piccoli produttori vedevano le loro attività cedere il passo alla grande industria conserviera e la siccità quindi era parte della volontà di cancellare l’agricoltura medio-piccola. Le voci spagnole furono segnate anche da una delle dimensioni caratteristiche di queste leggende: quella politica. Molti sostenevano che la siccità era peggiorata dopo la morte del dittatore Francisco Franco e il passaggio alla democrazia. La nuova forma di governo era additata come rovina dei piccoli produttori.
Quanto accadde in Spagna si ripeté un po’ dopo in Francia, su scala maggiore e con caratteristiche in parte diverse. Le regioni più colpite stavolta furono quelle del sud-ovest del paese, dove le dicerie raggiunsero il livello di guardia nell’estate del 1986, un ciclo di storie studiato da Jean-Louis Brodu, che si è occupato a lungo di leggendario contemporaneo (fu uno dei primi ricercatori a valorizzare l’approccio folklorico al mito UFO).
Secondo Brodu, il caso francese presentava diverse specificità. La prima era l’esistenza di un conflitto sociale fra le vittime della siccità. A lanciare accuse erano gli allevatori di bovini: la mancanza di pioggia, dicevano, dipendeva dalle imprese ortofrutticole della zona. Erano loro a usare gli aerei, in combutta con le assicurazioni, per garantirsi i risarcimenti per i danni alle colture. Il capro espiatorio, dunque, per una volta non era l’autorità superiore “esterna”, ma una componente della stessa realtà sociale alla quale tutti appartenevano.
Inoltre, per Brodu l’esplosione del 1986, con assemblee, interventi di politici e proteste collettive, fu il portato, oltre che di una causa oggettiva – l’aggravarsi della carenza idrica – di circostanze già presenti nella mentalità locale: le discussioni per la possibilità d’inseminazione artificiale delle nubi con ioduro d’argento, il vecchio uso dei cannoni antigrandine, contestato da alcuni fra gli stessi agricoltori, e, come fattore scatenante, alcune voci legate al disastro della centrale nucleare di Chernobyl, avvenuto in primavera. Riprese anche dalla stampa francese, queste dicerie affermavano che i sovietici avevano attaccato con aerei speciali le nubi che avrebbero portato le polveri radioattive a distanza allo scopo di dissolverle: forse la siccità francese dipendeva da marchingegni di quel tipo.
Infine, secondo Brodu, è plausibile che lavoratori stagionali spagnoli avessero contribuito già da tempo a introdurre in Francia le varianti iberiche della leggenda. In un’anticipazione di una delle più grandi correnti del cospirazionismo attuale, lo sciachimismo, che farà la sua comparsa a metà degli anni ’90, le dicerie francesi comprendevano testimonianze di prima mano circa aerei che spargevano intorno a sé strane nuvolette, che contenevano al loro interno le sostanze ammazza-pioggia, proprio come accadrà più tardi con la credenza nelle scie chimiche. Insieme al complotto HAARP, che vedremo più avanti, lo sciachimismo sarà determinante nel far assumere una dimensione planetaria e neo-demonologica alle paure politiche per il controllo del clima. In questo quadro, non sono più industriali, ecologisti o assicuratori a provocare disastri in cielo, ma poteri invisibili e assai più pervasivi. Come nel caso dei maghi tempestari del Medioevo, dietro quei fenomeni oggi si cela una minaccia mortale per l’intera umanità e per la sua salvezza.
Dal meteo al clima: piove, universo ladro
Lo sciachimismo è una delle teorie cospiratorie di maggior successo del nostro secolo. La tesi è che le scie di condensazione degli aerei visibili da qualche decennio nei cieli di tutto il mondo siano un modo per spargere sulla popolazione sostanze chimiche o biologiche.
Non è chiaro come sia sorta questa teoria. Si è detto spesso che sarebbe emersa da un saggio pubblicato nel 1996 dall’Accademia dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti intitolato Weather as a Force Multiplier (“Il meteo come moltiplicatore di forze”), dove, ai fini di un gioco strategico, si fingeva che, nel 2025, in guerra sarebbe stato possibile agire su pioggia e temperatura dell’aria per combattere gli avversari. In realtà, molti indizi puntano al fatto che l’idea delle cosiddette chemtrails era in via di formazione già da prima, e che un ruolo fondamentale nel suo successo lo giocò il giornalista radiofonico americano Art Bell (1945-2018), uno dei maggiori protagonisti dell’inoculazione di mille teorie cospirazionistiche attraverso i suoi programmi, diffusi prima via etere e poi via Internet.
Le tante funzioni che le scie chimiche sarebbero in grado di svolgere tornano utili anche per spiegarne meglio il successo. Secondo i teorici della cospirazione, le chemtrails hanno infatti scopi diversi, pur restando sempre uguali: spargono veleni, scatenano diluvi, causano il COVID-19, lanciano vaccini e molto altro. Siamo nell’epoca della climatologia, e anche l’idea di una gestione unica delle precipitazioni di tutto il mondo diventa centrale: la siccità manufatta è solo una delle mille capacità consentite dalla scienza asservita ai padroni occulti del mondo. Le scie chimiche oggi sono parte importante dei discorsi dei negazionisti climatici e dell’estrema destra. Sono state inglobate dalle teorie sulla geoingegneria: si possono provocare terremoti a Dallas e far piovere sabbia gialla “magnetica” a Pinerolo premendo un bottone. Ed è forse il fatto che, in queste fantasie, le scie sono in grado di agire in modo così diverso a spiegarne il successo e la persistenza fra le parti di pubblico più sensibili ai complottismi.
Lo stesso può dirsi per un altro babau del cospirazionismo contemporaneo: HAARP, il programma di ricerca scientifico sulla ionosfera, prima militare e poi universitario, con le sue enormi antenne trasmittenti di Fairbanks (Alaska). Già un po’ prima che saltasse fuori la moda delle scie chimiche, HAARP era preso di mira dai complottisti, che lo ritenevano responsabile di tempeste che potevano andare dalle Filippine alla Grecia, ma anche di ogni altro guaio: dal disastro del volo TWA 800, avvenuto nel 1996, alla sindrome da affaticamento cronico (CFS): alle forze del male, far piovere o negarci la pioggia non basta più.
Un cielo sempre più scuro?
Alcuni dati suggeriscono che nella prima metà del 2024 l’attenzione per l’idea della manipolazione del meteo sia cresciuta. Il servizio BBC Verify, che dal 2023 si preoccupa di consolidare la fiducia del pubblico verso le affermazioni dell’emittente pubblica britannica, ha misurato una tendenza chiara. Fra gennaio e giugno 2024, il numero di volte in cui l’hashtag #geoEngineering è stato usato su Twitter/X è più che raddoppiato rispetto al periodo analogo dell’anno precedente. In un lungo articolo pubblicato il 4 luglio è stato analizzato un trend che, in maniera del tutto empirica, abbiamo notato anche noi per l’Italia. Il fatto che in Gran Bretagna nel giugno 2024 le temperature siano state inferiori di circa due gradi rispetto alle medie, dopo un inverno assai piovoso (la causa era un lungo, ma non anomalo, afflusso di aria artica) ha scatenato sui social un gran numero di discussioni al cui centro c’erano, in varie forme, le teorie sulle scie chimiche e il cloud seeding.
Qualcosa di analogo sembra essersi verificato in Italia tra maggio e giugno scorsi a causa della copiosità delle piogge e della violenza delle perturbazioni. Nel nostro caso, però, con una peculiarità: la frequenza del trasporto dal Sahara di sabbia e pulviscolo, con conseguenti caduta di piogge giallastre e lunga velatura del cielo, ha fatto parlare in maniera più frequente di “sabbia magnetica” (le particelle sarebbero composte da metalli pesanti) e di azioni della NASA per indebolire la luce solare (!), magari per sperimentare nuovi modi per rovinare raccolti e frutteti, mettendo in ginocchio intere economie e la categoria sociale percepita come identitaria per eccellenza, vale a dire gli agricoltori, soprattutto quelli delle regioni del Nord, con il loro legame solido e fisico con il suolo e con una terra riconosciuta come di propria esclusiva appartenenza.
In questo modo, se non proprio agli inizi, si torna almeno agli anni ’70 del Novecento, cioè a quando i piccoli produttori spagnoli si sentivano minacciati dagli aerei monomotore che spargevano strane nubi. Perché “sapere” che c’è chi può cambiare il tempo, oggi ancor più di ieri, significa prima di tutto una cosa: sapere per certo di avere dei nemici; nemici con i quali qualsiasi dialogo sarà impossibile, perché mai riveleranno il loro volto, nascosto dietro i muri dei laboratori o nelle cabine degli aerei che volano a 11.000 metri di quota. Il passaggio da quei discorsi a una retorica violenta potrebbe non essere lungo.
Bibliografia
- Bowers, B., Westley, A. 1985. “The Rain in Spain is Stopped Mainly by Phantom Planes”, in Wall Street Journal, 5 giugno
- Gardner, M. 1988. “Reich the Rainmaker: The Orgone Obsession”, in Skeptical Inquirer, vol. 13, n. 1
- Brodu, J.-L., 1990. “Une rumeur de sécheresse”, in Communication, n. 52
- Lincos, S., Stilo, G., 2018. “Bum! I cannoni antigrandine, passione piemontese”, Query Online, 30 agosto (https://tinyurl.com/my5vt23b )
- Tedesco, V., a cura di, 2023. “Con tuono, lampo o pioggia”. Magia e stregoneria tempestarie fra antichità ed età moderna, La Vela, Lucca
- King, S., Silva, M., 2024. “No, UK weather is not being manipulated”, BBC, 4 luglio (https://www.bbc.com/news/articles/ckmmkdr0m2po )
Wilhelm Reich: visionario, contattista UFO e mago del meteo
Lo psicoanalista austriaco Wilhelm Reich (1897-1957) ha esercitato una grande influenza sia sulla cultura di massa sia sulle élite intellettuali. Fu negli anni ’30, quando lavorava in Norvegia, che Reich sviluppò idee radicali in psichiatria e in altri ambiti, enunciando la teoria energetistica dell’orgone, presunta forza vitale di qualsiasi organismo: un’idea che cercava di coniugare biologia ed elettricità.
Arrivato negli Stati Uniti, nel 1940 Reich cominciò a costruire marchingegni con cui intendeva accumulare l’orgone, un’energia il cui colore, in essenza, non era altro che l’azzurro del cielo. Dopo numerosi guai legali, nel 1951 la sua situazione iniziò a precipitare. Annunciò di aver scoperto un’altra energia, la DOR (Deadly Energy Radiation), dannosa per i viventi. Occorreva disperderla perché, oltre a essere responsabile della comparsa dei dischi volanti (fenomeni energetici “negativi”), la DOR era responsabile di siccità e desertificazione. Per questo, intorno al 1952 progettò e costruì il cloudbuster: una macchina simile a un cannone antiaereo, costituita da una serie di tubi di metallo puntati verso il cielo con cavi flessibili dietro, piantati dentro superfici ritenute in grado di assorbire l’orgone “negativo”. Era (anche) un modo per far piovere e, per quanto possa sembrare curioso, tentativi di usarlo contro la siccità furono fatti in vari paesi, Italia compresa.
Via via che i guai legali di Reich aumentavano, la sua salute mentale si deteriorava. Arrestato nel marzo 1957 dopo che gli accumulatori di orgone e i suoi libri erano stati distrutti sotto la supervisione della Food and Drug Administration (Reich aveva venduto i suoi marchingegni come cura contro il cancro), gli fu diagnosticato un disturbo paranoide di personalità. Morì poco dopo per insufficienza cardiaca in una cella del carcere federale di Danbury, nel Connecticut.