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Come si fabbrica una teoria del complotto: il nuovo libro di Jacopo Di Miceli

Manuale per fabbricare una teoria del complotto,
di Jacopo Di Miceli,
Edizioni People,
Busto Arsizio (VA),
2024, pp. 193,
euro 15

Recensione di Paolo Toselli, presidente del Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee

Siete stufi delle solite teorie del complotto e volete cimentarvi nella creazione di una tutta vostra che potrebbe raccogliere il favore di un vasto pubblico? Questo è il libro che fa per voi.

L’autore, Jacopo Di Miceli, oltre a collaborare con diverse testate giornalistiche non è nuovo a queste tematiche: dopo aver dedicato alla questione la tesi di laurea e aver dato alle stampe un altro saggio (L’ideologia della paura, People, 2023), soprattutto è curatore di Osservatorio sul complottismo, un progetto per l’analisi storica e politica sulle teorie del complotto nato una decina di anni fa e attivo sui principali social.

In linea col titolo, Di Miceli nell’introduzione presenta la sua opera come un vero e proprio manuale per imparare i trucchi e le tecniche utili a fabbricare una teoria del complotto, colmando addirittura, con l’uso retorico di una falsa modestia che cela un velo di sarcasmo, le lacune contenute nei vari manuali prodotti a suo tempo dal KGB, il servizio segreto sovietico, per le cosiddette “misure attive”, tra cui la disinformazione. Di fatto, ci troviamo di fronte ad un espediente per esporre le nozioni fondamentali sulla natura, gli elementi e i meccanismi che sottostanno alle teorie del complotto, anche se l’autore preferisce usare il termine complottismo o quello di “ideologia del complotto” in modo da evitare di etichettare negativamente qualsiasi narrazione giudicata falsa. Usa un approccio più neutro: alla sua attenzione, dunque, c’è “qualsiasi ipotesi che contempli l’idea di un gruppo di persone accordatesi in segreto per nuocere a qualcuno, a prescindere dal fatto che alla fine l’ipotesi si riveli vera o falsa”.

Ma veniamo ai consigli. Il primo passo è quello di costruire una buona storia che intrighi e spieghi come sarebbero dovuti andare i fatti in modo verosimile ed emotivamente accettabile. Nel caos in cui viviamo e nel vuoto di potere delle ideologie, dice, i complottisti possono cogliere l’occasione di conquistare il monopolio della narrazione, anche perché, di fatto, complotti, congiure e cospirazioni sono da sempre uno dei motori narrativi prediletti della letteratura. Basandosi sull’analogia con la narrativa, Di Miceli tenta di scomporre la struttura delle teorie del complotto come fossero un romanzo o una fiaba di cui analizzare la morfologia.

In più, dato che risalire correttamente nella catena delle responsabilità di una teoria del complotto è una pretesa spesso irrealistica, suggerisce che nello studio di queste ideologie sia meglio focalizzarsi su chi riceve il messaggio: non è mai successo che una di queste teorie sia attecchita senza che ci sia stato un humus pronto ad accoglierla. In questo caso, pare evidente l’analogia con quel vasto fenomeno per certi versi simile al complottismo, quello delle leggende metropolitane.

Ma chi sono gli attori dediti alla diffusione di teorie del complotto e a cui, di conseguenza, potrebbe essere utile questo manuale? Citando il sociologo olandese Jaron Harambam, Di Miceli ne individua tre: gli imprenditori delle teorie del complotto (ovvero i professionisti del cospirazionismo come il conduttore radiofonico texano Alex Jones), i movimenti  sociali (che si muovono tra attivismo politico e nuove forme di religiosità), e, infine, i singoli individui.

Dopo aver definito che cos’è, a cosa e a chi serve una teoria del complotto, ecco arrivare la ricetta per crearne una perfetta. La formula proposta punta a identificare un fattore sociale, economico o politico che susciti ansie irrisolte e che, al contempo, qualche autorità ormai priva di credibilità abbia provato a spiegare in modi percepiti come poco convincenti. È però essenziale, affinché la teoria abbia probabilità di attecchire, che tutte e tre queste componenti siano presenti. Ciò dipende dal fatto che queste ideologie sono, come sottolineato da Di Miceli, strumenti di riduzione dell’incertezza sociale e dell’ansia collettiva; soddisfano l’esigenza di sapere, perché non conoscere ciò che ci sta accadendo è un moltiplicatore dell’angoscia; in più, l’esigenza di sentirci al sicuro e di pensarci dalla parte giusta. Perciò, è essenziale anche identificare il nemico, individuando un ben definito capro espiatorio, preferibilmente lontano dalla nostra realtà quotidiana, magari una super-società segreta. Un ulteriore consiglio per sperare di avere successo è quello di condensare e rimodellare secondo il proprio obiettivo, i rumors che già circolano tra le persone. In tal modo si favorirà l’impressione che la teoria sia emersa in modo spontaneo tra di loro. A tal proposito, vale l’esempio di un professionista in questo campo, il britannico David Icke, che con la sua tesi degli esseri “rettiliani” che governerebbero in segreto il mondo si è proprio dimostrato un aggregatore piuttosto che un generatore di idee.

Anche se parrebbe un controsenso, l’autore è fra i tanti che concordano sul fatto che “il complottismo odierno affonda le sue radici nel secolo dei Lumi, il Settecento, quando le élite intellettuali rimossero la provvidenza divina come origine delle cose e la sostituirono con un principio meccanicistico di causalità, in cui era l’uomo ad assumersi la responsabilità morale delle sue azioni.” Ovvero, dopo la lunga epoca che attribuiva le grandi tragedie a una punizione dal cielo, cominciava quella in cui la malvagità era conseguenza diretta della volontà umana di infliggere dolore per ricavarne un guadagno. “Le teorie del complotto si pongono in diretta competizione con le scienze sociali, di cui contestano l’importanza accordata alle grandi forze impersonali della storia, come classi sociali e ideologie politiche, sia con le scienze mediche e naturali, di cui non riconoscono l’imparzialità in quanto corrotte dall’ambizione umana”.

Naturalmente non possiamo svelare tutti i trucchi per realizzare una buona teoria del complotto, che potrete apprendere nei dettagli dalla lettura del libro. Di Miceli ha fatto un buon lavoro: la sua pratica della letteratura recente – vastissima — sul tema è evidente. Più volte sottolinea i pericoli del complottismo, specie quelli derivanti dalla costante riscrittura della storia. La sua visione, tuttavia, è essenzialmente socio-politica: non sono frequenti i riferimenti alla scena italiana o a certe teorie, per esempio alle scie chimiche, alla geoingegneria, o al negazionismo del cambiamento climatico.

Le conclusioni dell’autore potrebbero rivelarsi pessimistiche, ma non per questo, purtroppo, appaiono meno corrette. “Si può debunkare una teoria del complotto, ma non si può debunkare il sentimento che la esprime”, afferma Di Miceli. E allora? “Se non si può cambiare la percezione della realtà, è la realtà quella che deve essere cambiata, affinché spariscano, almeno in parte, le condizioni di vulnerabilità in cui una teoria del complotto attecchisce nella mente delle persone.”

Di Miceli sembra non dirlo apertamente, ma pare chiaro che per lui necessita, in primis, ripristinare, attraverso un profondo cambiamento dall’interno, la fiducia nelle istituzioni siano esse politiche, scolastiche, sanitarie, giudiziarie o religiose.

Immagine di apertura di Markus Winkler, da Pixabay