Approfondimenti

La leggenda del cavaliere fantasma di Sassari

di Paola Frongia e Giuseppe Spanu

Un cavaliere fantasma, dal volto cereo e rigato dalle lacrime, appare quando le tenebre sono più fitte e si aggira per le brumose strade deserte. Il suo peregrinare termina sulla soglia di un antico portone dove, con voce straziante, invoca il perdono della sua amata… 

Questo strano spettro, che sembra spuntare fuori dalle pagine del Canto di Natale di Charles Dickens, è diventato molto popolare nella Sassari del nuovo millennio. Per scoprire la sua identità è necessario fare un passo indietro e ritornare al 1854, che vide sbocciare l’amore tra due giovani rampolli della nobiltà sassarese. 

Così racconta lo scrittore Enrico Costa (1841-1909): [1] 

“Lui era un giovane ed avvenente ufficiale; lei una bellissima e buona fanciulla […] Michele Delitala e Minnia [2] Quesada si erano veduti ed amati. In lei l’amore era soave come la sua anima; in lui era ardente come il suo carattere; quello di Minnia era l’amore della domestica colomba; quello di Michele l’amore di un tigre nel deserto”. 

Sembrava un idillio perfetto: Michele poteva frequentare tranquillamente la casa della sua dolce metà, s’incontravano spesso e si giurarono a vicenda amore eterno, però all’epoca i genitori non davano il consenso a un matrimonio solo in base alle affinità elettive… 

Un bel giorno Michele si fece coraggio e chiese la mano della fanciulla. Nonostante i Quesada avessero deciso di far maritare più convenientemente la loro figliola con un altro gentiluomo, per via del rapporto di parentela tra le due famiglie, preferirono essere cauti e con molto garbo gli dissero che era ancora presto per pensare alle nozze. [3] 

Per il giovane fu un brutto colpo: visse la dilazione come un diniego (e probabilmente lo era) e più passavano i mesi, meno accettava la dura realtà di dover rinunciare alla sua amata donzella. Nel frattempo, anche Minnia si opponeva al volere dei propri genitori, minacciando di volere farsi monaca e “appartenere al Delitala o a Dio”, e per giunta manifestò alla madre il timore che il ragazzo avrebbe messo fine alla sua vita se non avesse potuto unire a lei la propria sorte. I due aristocratici coniugi però non cedettero di un millimetro. 

La mattina del 30 agosto il giovane ufficiale decise di riprovarci; prese due pistole e uno stiletto e si avviò verso l’abitazione dei Quesada. È sempre Enrico Costa a rivelarci il triste epilogo di questa vicenda: 

“Suonò il campanello, e gli venne aperto. Per la prima gli si presentò la madre; a cui egli ripeté con calma la domanda. N’ebbe la stessa risposta; e allora, […] tolta una pistola la puntò verso di lei. La figlia Minnia, che vide il movimento […] corse a mettersi dinanzi alla madre per salvarla. Il colpo partì, ed il piombo penetrò nel seno della fanciulla, verso la spalla. Né il pallore di Minnia […] né il sangue che da lei usciva a fiotti bastarono a calmare il furore del tigre […] e tratta la spada, ferì la madre, ferì la domestica che gridava al soccorso, fece altro sparo sul padre e sullo zio che erano accorsi al rumore.” 

Incredibilmente sopravvissero tutti tranne Minnia, che morì dopo sei lunghi giorni di agonia. E Michele? Dimostrò di avere sette vite come i gatti: dapprima sopravvisse a vari tentativi di suicidio [4] e l’anno dopo, quando in città scoppiò una terribile epidemia di colera, fu tra i detenuti risparmiati dal morbo. [5] Eppure, anche in quell’occasione avrebbe desiderato tanto morire. Tuttavia, l’appuntamento con il destino era solo rimandato. 

Condannato a morte dal tribunale di Sassari, ribadita la sentenza da quello di Genova, i suoi genitori cercarono in tutti i modi di fargli ottenere la grazia, avvalendosi del sostegno di un noto penalista come Pasquale Stanislao Mancini, futuro Ministro Guardasigilli del Regno d’Italia. La richiesta però fu respinta dal re Vittorio Emanuele II: con lo Statuto Albertino si sanciva l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge; pertanto anche un aristocratico non poteva più evitare l’onta della forca. 

Al valente avvocato rimase ancora un’ultima chance: la Corte d’Appello di Torino, che nel gennaio 1857 avrebbe emesso la sentenza definitiva. [6] In quell’occasione Mancini, con grande vigore, cercò di far presente che era stato il “veemente amore” per Minnia a far perdere al suo assistito la ragione e la voglia di vivere. La corte non accolse favorevolmente questa attenuante e condannò il giovane di trentadue anni alla pena capitale. 

L’esecuzione ebbe luogo a Sassari il 16 maggio 1857: [7] 

“Alle ore 5 antimeridiane il paziente usciva dalle carceri, e veniva tratto al patibolo su di un carro: alle cinque e mezzo egli non era più! Malgrado l’ora si tosta, la folla che assisteva a quel miserando spettacolo era immensa.” 

Il suo unico privilegio fu quello di essere sepolto nel cimitero comunale. Fin qui la storia ufficiale e accertata, su cui però si è innestata una leggenda in cui si narra che, da ormai tre secoli, lo spirito inquieto del cavaliere Delitala vaghi in piazza del Rosario a Sassari, implorando Minnia di perdonarlo per il suo orrendo crimine. 

La vecchia chiesa di Santa Caterina a Sassari, nei pressi della quale si svolse la tragedia

Una storia affascinante, in cui però più di qualcosa non torna. L’esistenza di questo spettro non è mai stata menzionata né da Enrico Costa né da nessun etnografo che negli anni si è occupato di leggende sarde, ma soprattutto non fa parte della memoria collettiva e popolare dei sassaresi più anziani. L’unico luogo in cui è possibile reperirla è il Web. 

Nel tentativo di ricostruire la genesi di questa modernissima leggenda, bisogna risalire al 16 gennaio 2016, quando il blog “sardegnaremix” pubblicò un post in cui comparve per la prima volta la storia del cavaliere fantasma. Forse tale aneddoto sarebbe caduto nel dimenticatoio, se la sera del 31 ottobre di quello stesso anno, a Sassari non si fosse celebrato Halloween attraverso varie drammatizzazioni teatrali, in cui i fantasmi dei protagonisti di alcuni fatti di sangue del passato raccontavano al pubblico la loro storia; fra questi c’erano anche quelli di Michele e Minnia. 

Non vi fu alcun accenno allo spettro di piazza del Rosario, ma tale rappresentazione potrebbe aver spinto qualcuno a cercare la storia in Rete e forse a incappare in quel post di qualche mese prima. Il 5 settembre 2020 il blog “sardinialinks.altervista” diede nuovamente spazio a questa leggenda e, probabilmente per darle più credibilità, aggiunse che il palazzo dei Quesada aveva l’inquietante nomignolo di “casa dei fantasmi” sin dai primi del Novecento, quando ormai erano in pochi a ricordare il delitto raccontato da Enrico Costa. 

Peccato che tale dettaglio non sia poi così originale, e richiami una leggenda legata a un’antica dimora nobiliare nella località di Monte Furru (nell’agro di Sassari) soprannominata “casa degli spiriti”; che al contrario è ben nota ai sassaresi più anziani. In quest’ultima, che potrebbe avere influenzato quella del cavaliere fantasma, si narra che un viandante, come tutte le sere, si stava incamminando verso Sassari, quando a un certo punto fu attratto da alcune voci gioiose, provenienti da un’abitazione lì vicino. Guarda caso, era la villa del marchese De Quesada, [8] di cui esistono tutt’ora le rovine. 

Giunto sul posto, si trovò nel bel mezzo di una festa e fu immediatamente invitato a partecipare a un grande girotondo. Man mano che passavano le ore, la situazione diventava sempre più strana: iniziavano a mancargli le forze, mentre gli altri partecipanti sembravano ancora freschi e pimpanti nel proseguire le danze. Quando finalmente riuscì a divincolarsi, si accorse che la dimora era vuota e fatiscente. Capì di aver ballato con degli spiriti e di essere scampato da una morte sicura. Corse in tutta fretta verso Sassari e da allora la sua bizzarra avventura fu tramandata fino ai giorni nostri. 

Ritornando alla leggenda di Michele Delitala, il 10 settembre 2022 ci fu un salto di qualità: tramite il copia-incolla, la storia del cavaliere di piazza del Rosario apparve su una nota pagina Facebook dedicata a Sassari e da lì in poi, le ripetute condivisioni l’hanno pressoché tramutata in leggenda popolare ufficiale. Le ghost story sono sempre piaciute e siccome nell’epoca dei social attirano molti like o cuoricini, le varie piattaforme dedicano spesso post a vicende realmente accadute in cui però fa capolino un fantasma. In questi casi, si ricorre sovente al cherry picking, ovvero si prende solo ciò che è utile alla storia che si vuole costruire. 

L’autore di questa narrazione ha senz’altro spulciato l’opera di Enrico Costa, tralasciando però l’importante dettaglio che Minnia perdonò Michele prima di morire. A tale proposito, lo scrittore sassarese scrive: 

“a Minnia sola a diciannove anni [9] e nel fior della bellezza, toccò scendere nelle ombre del sepolcro. Morì il 5 di settembre, dopo sei lunghi giorni di spasimi, e dopo aver perdonato l’uomo che l’aveva colpita.” [10]

Per concludere, non si sa di preciso neanche dove fosse l’antico palazzo dei Quesada; di sicuro non era in piazza del Rosario ma nelle vie circostanti. Tuttavia, se per caso una notte vi capitasse di gironzolare per le vie del centro storico di Sassari, e aveste la sfortuna di imbattervi nel fantasma di Michele Delitala, riconoscibile per la folta chioma e l’uniforme sabauda, cercate di non irritarlo, potrebbe essere ancora armato!

Desideriamo ringraziare per il prezioso aiuto Sofia Lincos, Tore Sanna e Marco Atzeni.

Note

  • [1] Lo scrittore sassarese Enrico Costa, autore di romanzi come Il muto di Gallura e La bella di Cabras, era talmente innamorato della sua città, che chiamava “piccola patria”, dal dedicarle una vera e propria enciclopedia intitolata Sassari (Edizioni Gallizzi, Sassari, 1976), in cui racconta le varie fasi della sua storia. Le citazioni presenti nel testo sono tratte dal volume 2 di questa opera.
  • [2] Diminutivo utilizzato in Sardegna per Giovanna Maria.
  • [3] Enrico Costa utilizza il termine “rifiuto”, nel resoconto del processo pubblicato dalla Gazzetta dei Tribunali (pp. 267-271) si ricostruisce la vicenda parlando espressamente di “cortese dilazione”.
  • [4] Michele tentò più volte di togliersi la vita sia nell’abitazione dei Quesada, con due colpi di pistola e ferendosi con lo stiletto, che in carcere, togliendosi le bende e rischiando così di morire dissanguato.
  • [5] Fu una vera e propria strage: nel giro di due mesi morirono più di 5.000 persone su una popolazione di poco più di 20.000 abitanti. Se poi si tiene conto che molti abbandonarono la città, le vittime furono almeno il doppio. Il colera uccise anche parte dei detenuti.
  • [6] Il Delitala era già stato condannato a morte dalla Corte d’Appello di Sassari il 16 dicembre 1854; da quella di Genova il 15 gennaio 1856; infine, dalla Corte di Torino il 17 gennaio 1857. (Gazzetta dei Tribunali, p.48)
  • [7] La Gazzetta dei Tribunali pubblica la notizia dell’esecuzione il giorno stesso in cui è avvenuta, Costa però la colloca qualche giorno più tardi, ovvero il 19 maggio 1857 (Sassari, vol.2, p.364).
  • [8] I Dequesada (variante dell’odierno Quesada) sono un’antica famiglia sassarese di origine spagnola. Il proprietario era un certo Cristoforo, II Marchese di San Saturnino. La dimora era già presente nel 1864. Non si sa perché fu abbandonata, forse dopo la morte del proprietario avvenuta nel 1893.
  • [9] La leggenda del cavaliere fantasma riporta in maniera errata l’età di Michele Delitala, che aveva trentadue anni quando morì e non quando conobbe Minnia. 
  • [10] Il perdono di Minnia in articulo mortis è sempre citato nelle varie pubblicazioni sul caso e compare anche negli atti del processo (Gazzetta dei Tribunali, p.267).

Immagine di apertura di Henryk Niestrój, da Pixabay