Interviste

Pericoli e problematiche della comunicazione sul cibo: intervista ad Andrea Pezzana

di Eleonora Conca

Viviamo in un mondo in cui le informazioni sul cibo e sull’alimentazione non mancano e sono accessibili a tutti. Soprattutto online, sono innumerevoli coloro che pubblicano quotidianamente consigli e ricette che dovrebbero aiutarci, per esempio, a stare in forma o a perdere peso. Un monumentale flusso di notizie e dati in cui non sempre è facile distinguere il vero dal falso, con conseguenze potenzialmente serie per la nostra salute. Di questo ha parlato, sabato 12 ottobre 202, Andrea Pezzana, medico specialista in Scienza dell’Alimentazione e direttore della Struttura Complessa di Nutrizione Clinica dell’ASL Città di Torino, in occasione della settima edizione del CICAP Fest.

Dottor Pezzana, come si è evoluto e come funziona oggi il mondo dell’informazione sull’alimentazione?

Assai diversamente rispetto a pochi decenni fa. I nostri antenati non avevano idea di come fare ad avere un’alimentazione corretta, perciò sperimentavano. In questo modo, identificavano lentamente, a loro modo, gli alimenti migliori per il loro sostentamento, escludendo quelli dannosi dalla loro dieta e tramandando poi queste informazioni alle generazioni successive. Questo meccanismo si è ripetuto in modo molto simile fino a 50-60 anni fa, quando è fiorita l’industria alimentare. Il cibo è diventato un oggetto di consumo e il nostro rapporto con esso è molto cambiato, facendo nascere la necessità di fare informazione. Oggi ci troviamo però davanti ad un eccesso informativo e la difficoltà sta proprio nel fare una selezione, perché non è facile capire a chi si può dare credito. Le informazioni corrette si trovano, ma si affiancano ad altre meno accurate, diffuse a volte per ingenuità e a volte per interessi personali. E, purtroppo, le strategie di chi comunica fake news sono spesso più raffinate di chi cerca di fare una corretta informazione. Negli ultimi anni è emersa una forte e drammatica enfatizzazione dell’aspetto fisico e della fitness, con ideali spesso irraggiungibili. Per provare a conseguire questi obiettivi, molti influencer (o persone che a vario titolo hanno molto seguito) propongono indicazioni che possono essere anche molto pericolose per la salute: diete sbilanciate, utilizzo di integratori ecc. Metodi che in molti casi non presentano evidenze di un beneficio o, peggio ancora, presentano evidenze di danno per l’organismo.

Parliamo degli integratori alimentari. A parte i casi di prescrizione medica, ci sono situazioni in cui una persona può autonomamente valutare di assumerli?

Se vogliamo parlare in maniera generica, ognuno di noi dovrebbe sempre avere un’alimentazione varia, che comprenda almeno 3-4 porzioni di vegetali freschi al giorno, 2-3 porzioni alla settimana di legumi e un’alternanza delle varie fonti proteiche, senza esagerare. Se questa prescrizione è rispettata e non sono presenti patologie gastroenteriche o malattie infiammatorie croniche, non dovrebbe esserci alcuna esigenza di assumere integratori. La classe degli integratori può essere molto utile per alcuni casi clinici ed anche in aree del mondo contraddistinte da alcune carenze nutrizionali (poca disponibilità di frutta e verdura fresca, carenza di iodio ecc.). Tuttavia, spesso questi prodotti vengono utilizzati erroneamente come scorciatoia per “rimanere in salute”. Sembra quasi che si prendano più medicine per restare sani che per guarire dalle malattie! Si è ormai diffusa l’idea di assumere, per esempio, vitamine per contrastare la stanchezza, ma senza pensare di andare a cercare la vera causa del problema e, magari, mettere in discussione l’organizzazione del proprio stile di vita. Si potrebbe provare a inserire nella propria settimana un giorno in più di attività fisica o qualche ora in più di riposo. Ma tutto questo richiede tempo e impegno, c’è chi cerca scorciatoie per ottenere tutto il più presto possibile e senza sforzo. In ultima analisi, bisogna mantenere una sana curiosità e diffidare tutte le volte che ci viene garantito che raggiungeremo un obiettivo in modo rapido e facile, privo di qualunque fatica.

Per quanto riguarda le diete, invece, quali sono gli errori più comuni che osserva?

Le diete purtroppo, come molte altre cose, seguono le mode. Verso la fine degli Anni 80  è partito il periodo light, con una massiccia demonizzazione dei grassi, che ha portato in proporzione ad un aumento dell’assunzione di zuccheri. Oggi invece si punta molto sulle proteine, in quanto si ritiene che non facciano ingrassare e producano di contro un aumento della massa muscolare. Tuttavia, bisogna considerare che il carico proteico della dieta influenza l’attività dei reni, quindi bisogna fare attenzione a non esagerare, soprattutto nel quotidiano. Poi ci sono le diete monotone (per esempio la dieta dell’ananas), che prevedono l’assunzione continuativa di un solo alimento per vari giorni e possono causare pesanti squilibri. E infine devo citare la dieta chetogenica, un regime alimentare in cui si riduce drasticamente l’apporto di carboidrati, attivando nell’organismo un forte meccanismo di sopravvivenza. Questa dieta ha delle applicazioni cliniche, ma ha degli effetti molto pesanti e non va usata a sproposito o in autonomia: usarla per perdere qualche chilo è come usare una bomba atomica per distruggere un castello di sabbia.

Oggi c’è molta più attenzione ai disturbi legati all’alimentazione come obesità, anoressia e bulimia. Cosa c’è dietro la diffusione di queste patologie?

I disturbi che lei ha citato, pur essendo per certi aspetti molto diversi tra loro, hanno alcuni punti in comune e possono essere tutti inseriti all’interno di una cornice più ampia. Alcune di queste patologie, come l’obesità ed il diabete di tipo due, si stanno stratificando in situazioni di fragilità in senso lato, ovvero ridotta disponibilità economica e ridotto livello di scolarizzazione. Non c’è un’assoluta democrazia di accesso al cibo sano: chi ha meno strumenti economici e culturali si trova spesso ad avere anche una maggiore fragilità nutrizionale, perché molti dei cibi più pubblicizzati e più facilmente reperibili a basso prezzo hanno un’altissima densità calorica. A tutto ciò va aggiunto il fatto che, come esseri umani, siamo molto tutelati nei confronti della carenza di cibo, ma assolutamente non tutelati nei confronti dell’eccesso: abbiamo vie metaboliche che ci aiutano a sopperire alle carenze quando mangiamo meno, ma non ne abbiamo per bruciare più calorie quando mangiamo troppo. Inoltre, come società, ci troviamo in una situazione di riduzione del dispendio energetico medio, dovuta al fatto che nella quotidianità ci si muove di meno rispetto al passato, e questo aumenta la predisposizione all’obesità. Sul versante dei disturbi dell’alimentazione e della nutrizione, è in corso un cambiamento epocale. Si tratta di patologie che un tempo interessavano piccoli numeri, avevano una connotazione prevalentemente legata al genere femminile ed erano molto più localizzate negli strati medio-elevati della società, nel senso sia di cultura sia di disponibilità economica. La situazione oggi è completamente cambiata: c’è un disagio molto più diffuso. C’è stato un acceleratore drammatico nel lockdown, un po’ perché si mangiava di più stando a casa, ma anche e soprattutto perché, non potendo uscire, sono venute a mancare molte valvole di sfogo esterne. Tutto ciò ha colpito prevalentemente le fasce di età peri-adolescenziali, per le quali è stato registrato un grosso picco di insorgenza dei disturbi dell’alimentazione. La distribuzione sta diventando molto più equa rispetto al genere, anche se una leggera prevalenza femminile ancora permane, e si sta abbassando l’età iniziale di insorgenza. In più, oggi, queste patologie non si presentano più nelle loro forme pure, c’è molta fluttuazione: si oscilla da forme restrittive a forme di assunzione di cibo fuori controllo.