Approfondimenti

La (finta) Stonehenge italiana e il mistero delle Pietre Filosofali

di Silvia Ilacqua

Oggi facciamo un viaggio nel tempo e nello spazio, perché il luogo di cui parliamo si trova in Sicilia, in provincia di Messina, all’interno della riserva naturale orientata Bosco di Malabotta. Si chiama Argimusco ed è un luogo dove storia geologica e storia dell’uomo si intrecciano.

È qui che infatti, all’incrocio tra i paesaggi quasi marziani etnei, i massicci Nebroidei e la catena Peloritana, si ergono i megaliti dell’Argimusco. Vistosi, enormi, spuntano dal suolo prepotentemente nonostante milioni di anni di erosione. Ma occhio a come guardate queste rocce, perché assumono forme diverse, ora zoomorfe ora antropomorfe, e non sono opera della mano dell’uomo.

Una Stonehenge che Stonehenge non è

Questo luogo, oggi importante meta escursionistica e di grande interesse geologico, in realtà ha solo il legame antropologico con la più rinomata Stonehenge. Infatti, l’Argimusco, che si ritiene fosse stato designato già nel Paleolitico come luogo di culto, nonché luogo per compiere riti sacri ed osservazioni del cielo stellato, è del tutto naturale. Il più noto sito inglese è costituito da rocce che sono state trasportate e modellate dall’uomo. In Sicilia, invece, le rocce sono frutto solo dei processi naturali.

Partendo dal profilo del cosiddetto “Sacerdote”, passando per “L’Aquila” che punta verso l’Etna, fino ad arrivare al suggestivo megalite dell’Orante, che si erge per 25 metri nella Rupe dell’Acqua, sono numerose le rocce che hanno evocato figure mitiche nei popoli che hanno attraversato queste rupi, insomma, qui miti e leggende non si sprecano.

Qui però vogliamo parlare dell’aspetto geologico e scientifico di questo sito. Infatti, le forme particolari di queste rocce hanno portato anche ad evocare racconti un po’ fantasiosi, tra cui uno dei più particolari è quello relativo alle cosiddette “pietre filosofali”.

Percorrendo i sentieri e affiancando questi giganti rocciosi è inevitabile notare che sono caratterizzati da numerose cavità perfettamente sferiche, e, anzi, è addirittura possibile notare delle sfere di roccia in procinto di essere espulse via dalla matrice rocciosa.

Fig 1: Megalite con le cavità lasciate dall’espulsione delle sfere. (Silvia I., 2024)

Il caso più eclatante è sicuramente il megalite del Sacerdote, talvolta chiamato anche Iil Guerriero” per via della forma ad elmo che caratterizza la sua sommità. La particolarità di questa forma antropomorfa è però il suo occhio. Sulla cima, infatti, là dove la roccia sembra assumere la forma di un volto, vi è una cavità perfettamente sferica che va ad occupare la posizione dell’occhio del sacerdote. Il fascino che dà vita alle leggende, però, non finisce qui: in determinati momenti dell’anno, soprattutto osservando il megalite da est verso ovest è possibile ammirare al tramonto un raggio di luce che lo attraversa. La leggenda parla poi di un tesoro misterioso nascosto al di sotto del punto indicato dal raggio di luce.

Fig 2: Il Sacerdote osservato da est verso ovest. (Silvia I., 2024)

Queste storie fantastiche hanno preso maggiormente piede per via degli scritti di alcuni cronisti medievali siciliani. Stando alle notizie che riportano, sembra che sotto il regno di Federico III d’Aragona, Arnaldo da Villanova, medico, astrologo e alchimista di fama europea abbia frequentato il vicino borgo di Montalbano Elicona e l’altopiano dell’Argimusco alla ricerca di ingredienti come erbe medicinali per i suoi preparati alchemici.

In realtà, non c’è bisogno di scomodare l’alchimia e delle storie medievali: dietro queste forme rocciose e le loro “pietre filosofali” c’è la mano della geologia, che qui si fa tanto affascinante quanto complessa.

Svelare il fenomeno dell’Argimusco: una prospettiva geologica

L’altopiano dell’Argimusco riveste un’importanza geologica notevole. Fa parte dei Monti Peloritani, che, insieme alla catena della Sila e con l’Aspromonte costituiscono il complesso dell’Arco Calabro-Peloritano.

La catena montuosa peloritana ha una storia geologica che si estende per centinaia di milioni di anni e presenta un collegamento significativo con la microplacca Sardo-Corsa, i Blocchi Kabili (in Algeria) e la Placca Iberica (in Spagna e Portogallo) (Siravo & Speranza, 2024).

I Peloritani si sono formati principalmente durante l’orogenesi alpina, cioè, nel corso del processo che ha interessato gran parte dell’area mediterranea e che ha dato origine alle principali catene montuose dell’Europa, inclusi i Pirenei, le Alpi e gli Appennini. Durante il periodo che va dal Cretaceo superiore fino all’Eocene (ovvero da circa 100 milioni a 30 milioni di anni fa), la placca africana, nello specifico la placca Adria (una parte della placca africana) si è mossa verso nord-ovest entrando in collisione con la placca euroasiatica, portando così alla chiusura della Tetide, grande braccio oceanico disposto da est verso ovest, e al sollevamento della catena alpina. Uno dei principali eventi geologici di questa orogenesi alpina/appenninica è stato il processo di rotazione e arretramento della placca africana, iniziato circa 15 milioni di anni fa e che portò alla formazione del Mar Tirreno.

Questa rotazione separò settori di crosta dalla placca iberica, in particolare il blocco sardo corso prima e poi, da quest’ultimo, il settore calabro peloritano, che ruotò e arretrò fino a posizionarsi nell’area che oggi appartiene alla Calabria e ai monti Peloritani.

Le caratteristiche geologiche e i tipi di rocce presenti nei Monti Peloritani, come le rocce metamorfiche e le ofioliti nel territorio calabrese, pertanto, sono molto simili a quelle presenti nelle Alpi e testimoniano la loro comune origine tettonica.

Le fasi di sollevamento della catena peloritana furono seguite da diverse importanti fasi di deposizione di materiale sedimentario proveniente dall’erosione della catena.

Più in particolare, il paesaggio dell’Argimusco è costituito dal Flysch di Capo d’Orlando, datato all’Oligocene e al Miocene inferiore (da circa 30 milioni a 15 milioni di anni fa). In geologia, il nome Flysch in realtà, non ha un significato esclusivamente litologico, ma anche evolutivo evolutivo. Il Flysch è costituito da successioni di rocce sedimentarie in particolari conglomerati e arenarie, che a tratti evolvono in sedimenti più fini come le argilliti, e cherappresentano correnti di torbida generate da frane sottomarine – si parla in gergo di facies torbiditiche. La località di Capo d’Orlando è l’area della Sicilia in cui queste successioni sono meglio rappresentate nel record geologico.

Fig. 3: Carta Geologica dell’area dell’Argimusco (Carta Geologica d’Italia (1:50,000), foglio 613, ISPRA 2011). Distribuita in licenza CC BY 4.0.

Vediamo meglio che cosa sono queste correnti di torbida.

Da frane sottomarine a megaliti maestosi

Le correnti di torbida s’innescano quando fango e sabbia presenti sulla piattaforma continentale vengono smossi da terremoti, frane sottomarine o altri eventi geologici. In questi casi, i sedimenti scendono verso il basso come una valanga, raccogliendone altri lungo il percorso e accelerando via via.

Fig. 4: Schema sulle correnti di torbida (Immagine tratta dall’Ocean Service NOAA, pubblico dominio)

Si tratta di correnti in grado di trasformare il fondale marino, erodendo vaste aree e formando addirittura canyon sottomarini. Durante il loro flusso, depositano grandi quantità di sedimenti, di solito secondo un gradiente a ventaglio, dove le particelle più grandi si accumulano in profondità e quelle più fini si stratificano al di sopra. I megaliti, costituiti da materiale più fine e argilloso alternato a materiale arenaceo e conglomeratico, subiscono i processi di erosione differenziale. Inoltre, il contesto geologico ricco di faglie che sollevano e abbassano il territorio spiegherebbe l’alternanza di aree piane e pareti verticali.

Nel medesimo contesto geologico è da collocarsi anche l’origine delle famose “pietre filosofali” dell’Argimusco.

Il Flysch di Capo d’Orlando, nell’area di nostro interesse, è distinto in due litofacies note in letteratura geologica come CODa e CODb. Le litofacies rappresentano caratteri di una roccia sedimentaria che consentono di distinguerla ulteriormente per il suo aspetto litologico e di conseguenza distinguono una fase o un ambiente di sedimentazione. È proprio in quest’ultimo aspetto che possiamo andare a scovare l’origine delle sfere magiche dell’altopiano.

La litofacies CODa è infatti prettamente costituita da conglomerati, mentre quella CODb da sedimenti arenacei.

Dalle ricostruzioni sembra che la fase CODa costituisse le porzioni di sedimenti sul fondale semi-cementati, quindi più coerenti rispetto a quelli completamente sciolti e facilmente movimentabili, indicati come appartenenti alla litofacies CODb. Durante queste frane sottomarine, le correnti di torbida potevano avere un’energia potenziale tale da riuscire a perturbare anche le fasi semi coerenti del fondale, “strappando” pezzi di questo, che venivano presi in carica dal flusso, rotolando poi verso il basso.

È proprio durante questo rotolamento che questi sedimenti più coerenti hanno raggiunto le forme sferiche che oggi possiamo rivedere sull’altopiano dell’Argimusco e che, talvolta, hanno assunto dimensioni eccezionali, come nel caso della sfera di roccia battezzata da alcuni “mappamondo”.

Fig 5: Il mappamondo di roccia (Silvia I., 2024)

Chissà se i cronisti siculi medievali sarebbero rimasti soddisfatti da queste spiegazioni!

Bibliografia

  • Gori D. 2014. “L’Argimusco e il mistero delle pietre filosofali”.
  • Mineo, S., Pappalardo, G., Casciano, C.I., Di Stefano, A., Catalano, S., Gagliano, M. 2019. “Insights on the Capo d’Orlando flysch (NE Sicily) by means of geomechanics and sedimentology”. In Italian Journal of Geosciences 2019;; 138 (3): 404–417
  • Orlando, A. (2017). “Argimusco: Cartography, Archaeology and Astronomy”. In The Light, The Stones and The Sacred. Astrophysics and Space Science Proceedings, vol 48. Springer, Cham.
  • Tinterri, R., Muzzi Magalhaes, P. e A. Tagliaferri. 2012. “Foredeep turbidites of the Miocene Marnoso-arenacea Formation (Northern Apennines)”, Geol. F. Trips, Vol. 4, No. 2.1.
  • Siravo, G. & Speranza, F.2024. “Paleomagnetism of the Peloritan terrane (NE Sicily): From Greater Iberia to the Neo Apennine-Maghrebide Arc.” In Tectonics, 43.
  • Vitale, S., & Ciarcia, S. 2013. “Tectono-stratigraphic and kinematic evolution of the southern Apennines/Calabria–Peloritani Terrane system (Italy)” in Tectonophysics, Volume 583, 2013, Pages 164-182, ISSN 0040-1951.

Immagine di apertura: foto di Fistegi, da Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 4.0