Il mondo del negazionismo scientifico (e come affrontarlo): intervista a Luca Tambolo
Intervista di Mirco Romanato
Dall’allunaggio alla pandemia da Covid-19, passando per pagine drammatiche della storia umana come l’olocausto. La lista di fatti e avvenimenti messi in discussione dai sostenitori di teorie negazioniste e pseudoscientifiche sembra allungarsi anno dopo anno. Un fenomeno che ha radici profonde e antiche, e che non sempre la società e la comunità scientifica si dimostrano in grado di affrontare. Di questo problema si è occupato Luca Tambolo, filosofo della scienza e autore del libro Il mondo su misura, in cui analizza il ruolo del negazionismo scientifico nel mondo di oggi, delineando l’identità del negazionista e descrivendo come queste persone si riuniscano in gruppi intorno a teorie basate su dati parziali o errati. Il volume è stato presentato anche all’ultima edizione del Cicap Fest, che si è tenuta a Padova l’11, 12 e 13 ottobre 2024.
Dottor Tambolo, partiamo dall’affermazione “La scienza non è democratica”. Quanto è giusto dare spazio a scienziati che, pur avendo dei titoli di studio, sostengono posizioni opposte rispetto alla comunità scientifica su un determinato tema?
Dipende dal contesto. Nel dibattito scientifico, i titoli contano davvero poco: contano gli argomenti. Nel dibattito pubblico, invece, è difficile dire “tu puoi parlare” oppure “tu non puoi parlare”. Possiamo avere idee chiare su cosa sia probabilmente giusto e cosa sia certamente sbagliato, ma che qualcuno regoli la libertà di espressione è una prospettiva sempre preoccupante. Sarebbe invece importante dare spazio al dissenso in base alla sua rappresentatività. Facciamo un esempio. Data un’affermazione scientifica, se il consenso attorno a questa raccoglie il 97% degli esperti e il dissenso rappresenta solo il 3% della comunità scientifica, non può accadere che in una trasmissione si invitino due persone, una a favore e una contro, poiché il confronto sembrerebbe al 50%. Non è una regola da imporre per legge, dovrebbe essere una questione di buonsenso. I canali di informazione dovrebbero rispecchiare, nell’esposizione mediatica, le proporzioni che emergono dalla comunità scientifica, per offrire una rappresentazione più accurata del consenso scientifico.
Capita a volte che a veicolare delle bufale siano esponenti politici. Ad esempio, nelle discussioni sui social, citando articoli scientifici interpretati male, com’è accaduto per temi come vaccini e OGM. La politica, però, riflette la società. Com’è possibile aumentare la conoscenza scientifica nella cittadinanza?
Il problema non è tanto la conoscenza scientifica quanto il comprendere come funziona la scienza. Bisogna capire su quali basi attribuiamo valore a una certa affermazione: è la vecchia questione del metodo sperimentale di Galileo Galilei. Detto questo, la politica è orientata al breve termine perché si concentra sulle prossime elezioni: se ci fosse qualcuno di illuminato che opera a lungo termine dall’alto saremmo fortunatissimi, ma ciò accade raramente, o comunque meno di quanto vorremmo. Dobbiamo quindi inevitabilmente partire dal basso. È un processo lungo ed estenuante, ma non ci sono alternative.
Secondo lei, in futuro riusciremo a liberarci di negazionismi e pseudoscienze?
Negazionismo e pseudoscienza esistono da sempre e sempre esisteranno. Sono qui per rimanere, per un motivo semplice: sono spesso la scelta più “naturale”, più facile. La scienza, invece, richiede spiegazioni. E non è neanche da dare per scontato il fatto che si sia sviluppata così tanto. Considerando come funzionano le menti umane, mi sembra più realistico pensare che questi altri fenomeni rimarranno sempre con noi. Dobbiamo cercare, per quanto possibile, di mitigare i peggiori effetti della loro diffusione: questo sì che è un obiettivo realistico, per quanto difficile da raggiungere.
Lei si sofferma spesso sull’”incertezza” della scienza, che si evolve continuamente, mettendo in discussione di continuo anche fatti dati per assodati. È difficile far passare il messaggio che questa incertezza sia un bene?
Io sono convinto che bisogna sempre dire la verità, per come la conosciamo. Se io sostenessi che un’affermazione ha un certo grado di certezza e quindi, complementariamente, anche di incertezza, qualcuno potrebbe consigliarmi di non dire niente finché non sono sicuro, ma ciò risulta sbagliato. D’altro canto, far finta di avere certezze quando queste non esistono o ignorare i margini di incertezza è probabilmente controproducente nel lungo periodo. Col tempo, infatti, alcuni argomenti potrebbero venire sostenuti da prove più solide, prima sconosciute, con il rischio di essere smentiti. C’è anche una questione etica: se sei uno scienziato, non puoi decidere cosa accadrà quando racconti ciò che sai; se sai che un’affermazione ha margini di incertezza, devi comunicarlo. Qualcuno potrà sicuramente fare un uso distorto di queste informazioni, ma pazienza: non è compito dello scienziato decidere cosa il pubblico possa o non possa sapere.