Giandujotto scettico

La porta e la ragazza: storia di un poltergeist d’altri tempi

Giandujotto scettico n° 181, di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo

Nella puntata precedente di questa rubrica avevamo raccontato quanto, sotto il fascismo, in una provincia calma e relativamente lontana dai grandi centri come quella del Piemonte settentrionale, in particolare lungo le coste occidentali del Lago Maggiore, sotto il fascismo era facile imbattersi in fantasmi e in altri fenomeni “paranormali”. Suscitavano paura, breve agitazione, satire bonarie, senza che questo disturbasse troppo le autorità. Nei confronti di questi piccoli misteri locali e verso questi brividi innocui, almeno in apparenza il regime non esercitava una sorveglianza maggiore di quella che, prima del 1922, aveva messo in atto in casi simili lo stato del periodo liberale. 

Avevamo costruito una rassegna rapida ma che si estendeva sino alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, anche perché, tutto sommato, non c’erano storie di spicco particolare, o tali da suscitare l’interesse della stampa nazionale. 

C’è però un’eccezione, che ora vi racconteremo. Una storia breve e, per certi versi, dagli esiti poco chiari. Una storia di poltergeist di paese, che, però, attirò l’attenzione del maggior giornale della grande città, Torino, e di riflesso, quello della stampa milanese. 

Il caso esemplare di una lunga serie

L’attacco di questa storia ci arriva da La Stampa del 4 aprile 1932. Da qualche sera, gli abitanti del popoloso quartiere di San Bernardino, diviso dal centro maggiore, Intra, da un ponte sul torrente che dava il nome alla località ma in realtà parte del comune di Pallanza, erano “in vivo orgasmo” a causa di uno strano fenomeno che si verificava in casa della famiglia Maestroni. Un nucleo composto da padre, madre e quattro figli – e, fra questi, soprattutto, da “una ragazzetta di 12 anni, che da qualche tempo va soggetta a violente crisi nervose”. 

La ragazza, così riferiva il quotidiano torinese, da giorni aveva delle manifestazioni in cui “dava in smanie… spaventando con le sue altissime grida, non solo i familiari, ma anche i coinquilini”. Quello che più sorprendeva, però, era il fatto che, in quei frangenti, la porta si apriva e si chiudeva violentemente, senza che nessuno la toccasse. I familiari avevano fatto chiamare un medico che, constatata la condizione anormale della giovane, aveva però ritenuto “assai misteriosa” la situazione, tanto – almeno così scriveva La Stampa – da insinuare che “nella casa dei Maestroni si erano dati convegno gli spiriti e facendo accorrere parecchie centinaia di persone”. 

A quanto pare, la sera del 2 aprile la dodicenne aveva avuto una crisi più grave e, nell’impossibilità di tranquillizzarla, erano stati chiamati i Carabinieri della stazione di Pallanza. Si direbbe pensassero a una truffa, perché, nel tentativo di “acchiappare gli spiriti”, due si erano messi di vedetta sul tetto, due giravano intorno alla casa, altri guardavano la porta, e uno teneva in braccia “la presunta spiritata”. Mentre la ragazza si agitava ancora di più, due colpi violenti risuonavano sulla porta, “che per poco non veniva scardinata”. Gli uomini di guardia non riuscivano a venire a capo di nulla, e la famiglia veniva trasferita altrove, mentre la casa tornava tranquilla. 

Da Milano, quello stesso giorno, il Corriere della Sera riferiva sul caso in termini del tutto analoghi a quelli del quotidiano torinese. 

La “spiritata”

Il caso della famiglia Maestroni, dunque, ebbe l’onore delle cronache nazionali. Probabilmente, a inviare a quotidiani importanti la corrispondenza che abbiamo appena visto fu un qualche cronista che lavorava da quelle parti. Ed è proprio qui che emerge un aspetto che in quei decenni abbiamo incontrato più volte. I periodici locali ci tenevano a ribadire un ruolo di conoscitori approfonditi delle realtà e dei fatti del territorio. Per questo, poteva capitare che, dopo che i giornaloni di città che avevano tirato fuori storie clamorose – e il “mistero” era terreno ideale, da questo punto di vista – giornalisti delle testate di provincia reagissero, presentando spiegazioni razionali dei fatti, a volte senz’altro accettabili, altre, sulla base di ciò che sappiamo, meno limpide. Una cosa simile si verificò anche nella storia di casa Maestroni.

Due giorni dopo le prime notizie, cioè il 6 aprile, La Stampa pubblicò un secondo, stavolta davvero vistoso articolo su quella storia. Era firmato da Giovanni Corvetto (1884-1932), giornalista, autore di vaudeville teatrali e di testi musicali (sue le parole di A Tripoli, popolarissima canzone che, nel 1911, celebrava attraverso la voce di Gea della Garisenda la conquista italiana della Libia ai danni del morente Impero ottomano). 

La cronaca, datata 5 aprile, era dettagliatissima. La famiglia Maestrone (ma tutte le altre fonti la chiamano Maestroni) abitava in due modeste stanze più cucina, davanti al Cotonificio di Verbania. Il padre, prima operaio, di origine lombarda, era ora disoccupato, con la moglie e i quattro figli – la maggiore, Rosetta, diciassettenne (non dodicenne, dunque), era la “spiritata”. Corvetto, raggiunta l’abitazione, scoprì anche lui che la famiglia se n’era andata da qualche giorno, e che adesso ci abitava quella di un musicista, un certo Veneziani. Il cronista visitò la stanza dei “fenomeni”, e vide la porta posteriore, quella che si apriva e si chiudeva in modo misterioso, e che dava su un orto – ogni famiglia del caseggiato ne aveva una. Si fece dire dove si erano trasferiti gli spiritati, e ci andò. Ebbe modo di parlare con la madre della ragazza, che gli spiegò che la figlia era andata a lavorare, e che da un po’ stava meglio. 

Raccontò per filo e per segno come, secondo lei, stavano le cose. Tutto era iniziato la sera del lunedì di Pasqua, cioè il 28 marzo. Erano tutti a letto, in una sola stanza, quando, poco dopo le venti, spenta la sola lampadina elettrica, tre colpi fortissimi erano rimbombati sulla porta che dava sull’orto, simili a dei calci. Il padre disse che dovevano essere dei rumori esterni, e di rimettersi a dormire. Ma i colpi, dopo un minuto, si ripeterono, e così per una terza volta. Cominciarono le ricerche della causa, ma senza risultati. Sarebbe stato a quel punto, secondo il racconto, che Rosetta avrebbe cominciato ad avvertire “uno strano malessere”. 

I colpi continuarono, con crescente intensità, le sere seguenti, alla presenza di un numero sempre maggiore di persone, finché, la terza sera (dunque, si direbbe, il 30 marzo), la giovane fu colta da crisi convulsive, in preda a urla altissime. I colpi, ogni tanto, proseguivano. Tutti, ormai, erano convinti che non si trattasse di uno scherzo, ma di spiriti inquieti. 

Il giorno dopo centinaia di persone giunte dai dintorni attorniarono la casetta, mentre giovani del posto organizzavano delle ronde. Da Pallanza arrivarono anche i Carabinieri, guidati da un maresciallo. A quel punto, scriveva Corvetto, ciò che preoccupava di più non era “lo stato d’assedio, ma lo stato degli assedianti”. Un medico, il dottor Tamini, giunto anche lui da Pallanza, praticò due iniezioni a Rosetta, riuscendo a calmarla. Il fenomeno, raccontava ancora la donna, si era ripetuto anche il 30 marzo, alla presenza dei Vigili del fuoco di Pallanza, che, insieme al loro comandante, e insieme al dottor Tamini, avevano compiuto un’ulteriore ispezione priva di esito. Rosetta, raccontava la madre, era presa da una nuova e più grave crisi, e veniva portata fuori, a braccia. A quel punto, per la sua salute, Tamini avrebbe consigliato l’allontanamento dalla casa degli spiriti, a lei e all’intera famiglia. Fu così, dunque, stando alla ricostruzione della madre, che la parte più drammatica della vicenda si sarebbe conclusa, dopo quattro notti, con il cambio di abitazione fatto con la famiglia Veneziani, quella che Corvetto trovò il 5 aprile, quando si recò a investigare. 

Colpo di scena finale: il rientro in casa di Rosetta, che, dunque, sia pure per breve tempo, Corvetto riuscì ad ascoltare di persona. Era “una bella ragazza, alta, sottile, dalle fattezze delicate”. 

– Che cosa vi sentivate durante quella crisi? […] 

– Mi pareva che qualcuno mi afferrasse e tentasse di sollevarmi dal letto cercando di trasportarmi in alto… Ma ora tutto è passato e non pensiamoci più. 

– Saranno stati gli spiriti innamorati…

– E allora aspettiamo che qualcuno si presenti, ma in carne e ossa, a chiedere la mia mano. 

Si tratta della sola occasione in cui sentiamo le parole della spiritata. Argute, e, tutto sommato, volte a chiudere quella breve vicenda. La madre, invece, incalzava, assai più emotiva. Credeva che la figlia fosse vittima di qualche maleficio, convinta che in giro ci fossero tante streghe. E prendeva a piangere a dirotto. 

“Un fantasma in gonnella”

In questa storia il guaio più grosso, per noi che intendiamo ricostruire le fonti di questa storia lontana, doveva però ancora arrivare.

il giorno dopo la corrispondenza di Corvetto, cioè il 6 aprile, il bisettimanale di Intra, La Gazzetta del Lago, pubblicò un articolo piuttosto vistoso sotto il titolo “Un fantasma in gonnella”. Si trattava del primo – e unico intervento della stampa locale sul poltergeist di San Bernardino. 

Gli episodi, confermava il periodico locale, dal 28 marzo erano proseguiti ogni giorno, sempre fra le 20 e le 22. Colpi secchi e ripetuti si erano ripetuti sulla porta che dava verso la campagna, e quella era la sola cosa strana successa, se si escludevano i disturbi che presentava la ragazza. A ogni modo, gli inquilini dell’intero condominio erano entrati in agitazione, e qualcuno aveva preso ad aggirarsi intorno alla casa munito di fucile da caccia o di coltelli, evidentemente ritenute tutte armi in grado di arrecare danni anche agli spiriti

Giunte le forze dell’ordine, dopo tre sere le indagini erano state intensificate. La sera di giovedì 31 marzo, dunque, quattro giorni prima che su La Stampa e sul Corriere della Sera comparisse il primo reportage, e, soprattutto, cinque giorni prima del racconto fatto a Corvetto dalla madre di Rosetta, stando alla Gazzetta del Lago due carabinieri in agguato, dopo due nuovi colpi sulla solita porta, erano saltati fuori dal loro nascondiglio, cogliendo in flagrante la ragazza (stavolta data per sedicenne) già “facile preda di svenimenti e convulsioni e che la fervida fantasia del popolino crede sia stata stregata dagli zingari”. 

La Gazzetta del Lago, dunque, attribuiva la causa di tutto all’adolescente. Sulle modalità della presunta azione della giovane, tuttavia, niente era spiegato. Non sappiamo, per conseguenza, come avrebbe tenuto in scacco per quattro giorni tutti gli intervenuti – medico, pompieri, vicini, Vigili del fuoco. Subito dopo, però, la famiglia Maestroni aveva cambiato alloggio, e gli spiriti si erano fatti “completamente muti”.

Non saranno stati gli spiriti o le “energie psichiche” della ragazza a far sbattere una porte della casetta di San Bernardino d’Intra, nelle sere dopo la Pasqua del 1932, ma la domanda rimane: madre e figlia dissimulavano, quando Corvetto le intervistò? Erano sincere? La Gazzetta del Lago, nel raccontare il giorno dopo che la ragazza era stata colta in flagrante, riferiva correttamente l’accaduto? E, se sì, perché non riteneva di dover spiegare circostanze della scoperta, e modalità del trucco giocato per diversi giorni? I redattori de La Gazzetta volevano forse approfittarne per assestare un colpo alla credibilità del grande quotidiano di città? Dubitiamo che interrogando gli spiriti in una seduta medianica avremo risposte migliori di quelle più ragionevoli per questa storia, ma per noi, che siamo scettici, per tirare le somme è necessario disporre di spiegazioni chiare e distinte. E quello di San Bernardino d’Intra, per quanto capiamo dalle fonti, è uno di quei casi in cui una riga rossa non siamo in grado di tirarla.

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