Coldiretti all’attacco di EFSA: vuole “più scienza” sulla carne coltivata ma le richieste sono ideologiche
Mercoledì 19 marzo, Coldiretti ha organizzato una manifestazione nazionale a Parma, scelta strategicamente perché sede dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). Il corteo ha come punto d’arrivo programmato proprio i cancelli dell’ente, che, per motivi di sicurezza, sono stati chiusi.
Il motivo della protesta? Come spesso accade in questi casi, le rivendicazioni erano molteplici e talvolta contraddittorie: dalla richiesta di meno burocrazia e più risorse, al rifiuto delle cosiddette “etichette allarmistiche sul vino”, fino alla pretesa che i “cibi a base cellulare prodotti in laboratorio”, ovvero la carne coltivata, non siano trattati come nuovi alimenti, ma come farmaci.
È proprio quest’ultimo punto ad aver sollevato il dibattito più acceso. La manifestazione è arrivata pochi giorni dopo una dichiarazione del vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio (Lega), che ha affermato:
“La carne coltivata e altri cibi prodotti in laboratorio non possono essere messi ancora in vendita. A dirlo non è solo la Lega, ma anche gli esperti del Tavolo interministeriale sul novel food”.
In realtà, il divieto non è una novità: la normativa UE prevede che i novel food non possano essere commercializzati senza un’autorizzazione preventiva, rilasciata sulla base di una rigorosa valutazione scientifica. Tuttavia, Centinaio ha utilizzato questa presunta conferma per giustificare la legge che vieta la produzione di carne coltivata in Italia, affermando:
“Finché la scienza non avrà risposte chiare, noi tuteleremo la salute dei consumatori italiani”.
A partire da questa affermazione, Coldiretti ha lanciato lo slogan “più scienza in EFSA”, utilizzando il documento attribuito al tavolo tecnico come base per chiedere l’obbligatorietà di
“studi approfonditi di natura pre-clinica e clinica per verificare gli effetti della carne coltivata sul microbiota intestinale e sul metabolismo umano”.
Per comprendere la portata di queste richieste, è utile ricordare il ruolo di EFSA. L’ente è stato istituito con il regolamento europeo 178 del 2002, che ha separato la valutazione scientifica del rischio (assessment) dalla gestione politica dello stesso (management). Prima di questo provvedimento, entrambe le funzioni erano svolte dalla Commissione europea con un approccio simile a quello della Food and Drug Administration statunitense. È andato tutto più o meno bene fino a quando non è arrivato sul territorio europeo il morbo di Creutzfeld Jacobs o della “mucca pazza”, una malattia provocata da alcune proteine modificate chiamate prioni che si aggregano nel cervello dei bovini formando delle placche che portano inevitabilmente alla morte. La situazione è diventata preoccupante a metà degli anni Novanta, soprattutto nel Regno Unito, quando la malattia si è trasformata in epidemia a causa delle condizioni di allevamento dei bovini alimentati con farine animali, il cui consumo provocò la morte di quasi duecento persone.
La Commissione europea è un organo politico e gli organi politici subiscono pressioni che possono influenzare il processo di valutazione del rischio. Sulla vicenda della mucca pazza, la Commissione, anche per queste pressioni, si mosse tardi e probabilmente anche male, provocando una serie di reazioni a catena e conseguenze che si sono protratte per molto tempo.
Il regolamento 178/2002 è figlio di questi eventi e, come dicevamo, separa nettamente la parte di gestione del rischio che rimane in capo alla Commissione, da quella della valutazione che viene affidata a EFSA, un ente formato da scienziati che non prendono provvedimenti, non hanno potere esecutivo, ma forniscono un parere scientifico su un determinato tema che la Commissione userà come base per le proprie proposte o decisioni. E, soprattutto, lavorano in totale indipendenza.
L’Autorità si occupa di molte cose, ma il suo ruolo diventa fondamentale nella procedura di autorizzazione al commercio dei cosiddetti “novel food“, cioè quegli alimenti che non sono mai stati consumato all’interno dell’Unione europea in quantitativi significativi prima del Regolamento CE 258 del 1997. Questi alimenti sono vietati fino a quando non vengono autorizzati dalla Commissione. Possono essere cose davvero nuove, come un nuovo complesso proteico, oppure possono essere nuove per noi, ma già usate altrove, come gli insetti o i semi di chia che adesso si trovano dappertutto, ma che prima dell’autorizzazione al commercio in Europa erano vietati.
Per la sua valutazione, EFSA segue delle linee guida che vengono aggiornate periodicamente e che prevedono di analizzare dati di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione, ma anche dati di tipo tossicologico, acuto e cronico, oltre a dati che riguardano gli effetti genotossici e sul sistema riproduttivo. Questi dati possono arrivare da esperimenti in vitro o su animali e rappresentano i cosiddetti “studi preclinici” che, a differenza di quello che sostiene il documento diffuso dal Ministero, sono già richiesti.
Ci sono poi tutti i dati di sicurezza sugli esseri umani che possono arrivare dagli studi epidemiologici, in caso di alimenti già utilizzati altrove, oppure condotti ad hoc in veri e propri “studi clinici”, e che, a differenza di quello che sostiene il documento diffuso dal Ministero, sono già richiesti. Il punto di contrasto tra EFSA e il documento diffuso dal Ministero e ripreso da Coldiretti è che l’Autorità, in sostanza, li chiede se servono, mentre Coldiretti ne chiede l’obbligatorietà, come si fa con i farmaci, appunto.
Questa richiesta, presentata come garanzia di “sicurezza al 100%” per i consumatori, è in realtà un modo per complicarne l’approvazione, aumentando i costi e scoraggiando, di fatto, la ricerca. Coldiretti è un’associazione di categoria, un sindacato, che deve fare gli interessi dei propri associati. È sano e nell’ordine delle cose che interagisca con la Commissione e, più in generale, con la politica per avanzare le proprie istanze. Quello che non è sano è che cerchi di infilarsi a forza nelle valutazioni di un ente scientifico indipendente che lavora per garantire la sicurezza dei cittadini. E che se desse davvero retta alle richieste di Coldiretti perderebbe la propria indipendenza.
Non è però nemmeno sano ciò che emerge dal documento diffuso dal Ministero della Salute e utilizzato da Coldiretti per dimostrare che “la comunità scientifica chiede più scienza a EFSA”. Il tavolo tecnico è composto da dieci membri, cinque sono, come sempre, di nomina tecnico-politca e rappresentano i due ministeri coinvolti, l’Istituto superiore di sanità e il Consiglio per la ricerca in agricoltura. Curiosamente, gli altri cinque membri, quelli scientifici, fanno tutti parte del comitato scientifico della Fondazione Aletheia, un “think tank che ha l’obiettivo di fare chiarezza sull’indissolubile legame che oggi unisce cibo e salute”. Questa fondazione produce diversi documenti che vengono presentati in convegni ospitati negli spazi parlamentari, ha sede allo stesso civico della sede nazionale di Coldiretti a Roma ed è diretta da Riccardo Fargione che è anche il direttore del centro studi Divulga, affiliato a Coldiretti, che produce i rapporti che poi il sindacato utilizza per le sue campagne.
Al netto delle curiose coincidenze, il documento e la composizione del tavolo tecnico rappresentano bene il rapporto, tutto italiano, fra politica e scienza. In altri Paesi, o anche solo nell’Unione Europea (come abbiamo visto per il lavoro di EFSA), ci sono processi ben definiti che fanno sì che ai politici arrivi il consenso scientifico. In Italia le cose funzionano diversamente e più che di rapporto fra politica e scienza vediamo numerosi esempi di rapporto fra politica e “scienziati”. Che fa tutta la differenza, sia perché basta cercare bene e si trovano scienziati pronti a supportare qualsiasi affermazione, sia perché questo sistema è molto più facilmente manipolabile.
Foto: il primo hamburger coltivato, presentato nel 2013. Da Wikimedia Commons, immagini del World Economic Forum, licenza CC BY 3.0